“L’anno vecchio è finito ormai” ma resta ancora nell’aria quell’aria irrespirabile dell’ultimo mese che ha dato spunto a polemiche e a preoccupazioni sulla salute del pianeta che, imprigionato in polveri sottili, ne compromette il clima sciogliendo ghiacciai ai poli, improvvisando primavere impensabili a latitudini glaciali e tuffi fuori stagione alle nostre.
Fatto sta che l’anno che è appena arrivato porterà nelle più grandi città italiane la tornata elettorale per il rinnovo delle amministrazioni locali e se questa non è una novità lo diventerà perché passerà alla storia per il fatto che per la prima volta dopo i totalitarismi del passato a scendere in campo non saranno più i partiti, ormai scomparsi quasi totalmente dalla scena politica per dissoluzione del loro pensiero progettuale, ma “rappresentanti del popolo” a cui i partiti chiedono soccorso per poter esistere ancora. Convinti che se non troveranno l’uomo giusto, se non sapranno inventare l’uomo della provvidenza dal sorriso accattivante che sappia meglio fare scena, non solo perderanno le elezioni ma sarà il loro ultimo treno dopo il quale scenderanno tutti, politici e portaborse.
Sarà l’anno in cui verrà consacrata definitivamente la logica dell’uomo solo al comando inaugurata in stile naïf dal dispotismo morbido berlusconiano. In realtà mai pienamente attuato dal cavaliere, non avendone capacità e struttura, ha però ben orientato i successivi anni della politica italiana e burlescamente quella amministrativa locale, dove il trionfo della demagogia, quel gioco perverso che attraverso false promesse vicine ai desideri del popolo mira ad accaparrarsi il suo favore, fa vincere le elezioni al populista di turno per poi far trionfare il disastro municipale.
Eppure si sa che un uomo solo al comando non può dare risposte a una realtà complessa come lo è una grande città, una regione, non può inventare percorsi virtuosi per inaugurare stili di vita capace di coniugare insieme nuove abitudini dei cittadini, che vanno convinti, orientati, governati, ammoniti, e il rispetto dell’ambiente, per promuovere atteggiamenti corretti che se non potranno da soli proteggerci dall’incursione di climi sballati, potrebbero aiutarci a difendere noi e i nostri figli da irrespirabili sostanze.
L’anno che verrà, ormai è chiaro, porrà al centro di ogni proposta elettorale la questione ecologica ambientale che di per se stessa è una questione politica nel senso più nobile del termine. È uno sguardo diverso sulla vita, sul vivere insieme, una visione, un programma educativo, uno stile di vita, che impongono scelte rivoluzionarie. Chiunque sarà il nuovo sindaco delle grandi città italiane, e chiunque lo sarà a Napoli, non potrà che avere a cuore l’interesse della gente e la loro salute.
Ma dire aria da respirare è dire traffico da regolare, fumi tossici da controllare, è dare spazio a una nuova qualità del trasporto pubblico, giusta proporzione tra costi e servizi, mezzi gratuiti per le fasce più deboli.
Dire traffico è dire percorribilità delle strade, significa liberare la questione urbanistica prigioniera di falsi e fuorvianti chiavistelli che impediscono alla città di coniugare passato e presente e soprattutto proiettarsi in un futuro in cui le pietre non siano solo memoria ma presente da consumare; dire inquinamento è dire città annonaria, orari di apertura e chiusura dei negozi e dei mercati, carico e scarico di merci, rispetto delle diverse fasce orarie di apertura scuole, attività produttive e amministrative.
Dire clima è dire presenza dei controllori nelle strade, del rispetto delle regole condivise, della tolleranza zero per chi infrange la legge, per il rispetto del ciclo delle acque e dei rifiuti.
Dire controllo è dire nuova organizzazione della macchina burocratica che sovraintende alla correttezza dei processi e al rispetto etico delle scelte dei controllori.
L’anno che verrà è già arrivato ed chiaro che non “sarà festa tutto l’anno”. Resistere alla demagogia è degli uomini liberi o sarà il caso di dire che “l’anno vecchio è finito ormai e qualcosa ancora qui non va”.