Carlo Pagnotta. Vivere il Jazz in Umbria
L’Umbria e’ terra di affascinanti suggestioni che attraversano secoli, anzi i millenni fin dagli antichi etruschi, un popolo che viveva nell’Italia centrale ancor prima dei romani. Chi la visita entra in un atmosfera che sa di antico e misterioso che si perpetua miracolosamente anche nel lifestyle di oggi.
Questo capita anche con “Umbria Jazz”, il più importante festival musicale jazzistico italiano, nato nel 1973. Con le sue edizioni—estiva a Perugia e invernale ad Orvieto—il festival raccoglie il meglio della musica jazz nelle più suggestive locations di questo angolo magico d’Italia. Luoghi unici a fare da contorno a esibizioni uniche.
Per saperne di più abbiamo incontrato il fondatore e direttore artistico di “Umbria Jazz”, Carlo Pagnotta, che viene spesso negli Stati Uniti per organizzare questo festival unico al mondo.
Quarant’anni fa era un giovane commerciante di abbigliamento a Perugia, appassionato di jazz e frequentatore dei maggiori festival europei—ma già sognava Umbria Jazz. Voleva fortemente un festival a casa sua ed è riuscito a realizzarlo grazie anche all’aiuto di due lungimiranti assessori della regione Umbria. “Ho sempre desiderato il meglio per la mia regione. Anche quando avevo un negozio di abbigliamento maschile questo era uno uno dei migliori nel centro d’Italia. Così proprio come mi ha insegnato mio padre. Aveva un ristorante ed era uno dei migliori negli anni 50, uno dei primi con le stelle Michelin”.
Il meglio, dunque, anche per la musica, la musica Jazz che tanto amava. E grazie al suo sogno l’Umbria è diventata, ormai si può dire, la patria europea del Jazz.
“Negli anni 70 in Italia esisteva un solo festival importante, quello di San Remo dedicatoalla canzone. C’erano divesi Jazz club, ma si non erano organizzati insieme. Quella che la regione Umbria allora accettò di intraprendere fu una vera scommessa.” Era il 23 agosto 1973 quando si tenne il primo concerto del Festival. Fu l’inzio di un’avventura che venne sospesa solo negli anni della grande contestazione, tra il 1978 e il 1982. Erano i cosidetti Anni di Piombo. Grandi artisti come Chet Baker e Stan Getz, furono fischiati, criticati perchè bianchi e borghesi. “Ma noi non volevamo fare un festival di contestatori , ma di appassionati” continua Pagnotta ricordando quel periodo.
Comunque dall’82 il Festival riprese la sua corsa: “La regione Umbria ha continuato a crederci e ha investito registrando il logo. Ha fatto più di quanto ogni altra regione abbia mai fatto. I risultati si sono visti. Oggi l’Umbria è conosciuta non solo per San Francesco, ma anche per Umbria Jazz.”
Qualche ricordo, qualche emozione dal suo fondatore.
“All’inzio erano ancora viventi mostri sacri della musica Jazz. Calcarono le scene per esempio Art Blakey e Dizzy Gillespie. Momenti straordinari. Poi siamo passati a quella che fece nascere la cosidetta ‘contaminazione” con l’idea di mettere Sting a disposizione dell’orchestra di Gill Evans. Fu un concerto unico. L’inzio di una svolta. E’ inutile negarlo, la musica Jazz non è di massa, ma di nicchia. La manifestazione con Sting portò 40.000 persone in piazza. E fece così conoscere ancora di più Umbria Jazz al mondo.”
Nel 1985, per volontà della Regione, nacque la Fondazione Umbria jazz, che ha il compito di garantire le risorse finanziarie di parte pubblica. L'attuale presidente della Fondazione è Renzo Arbore, un uomo di spettacolo conosciutissimo anche negli USA e che contribuisce in maniera indiscutibile alla diffusione del festival nel mondo.
Descrivere il clima in cui si svolge Umbria Jazz è quasi impossibile. Sono sensazioni, piene di grandi contrasti tra presente e passato in mezzo a tanta musica. “Ne hanno parlato tanti inviati giornalisti da tutto il mondo. La differenza tra un altro festival e Umbria Jazz è che ci troviamo in luoghi intrisi di storia. Questa magia non può succedere altrove e bisogna venirci per capire davvero cosa intendo” ci dice Pagnotta orgoglioso. E non a caso le strutture di accoglienza per il turismo sono cresciute in maniera direttamente proporzionale alla fama del festival.
Ma come nasce, come si costruisce un’edizione di Umbria Jazz?
“Prima di tutto, facciamo parte dell’International Jazz festival. Ci incontriamo con i promoter quattro volte l’anno. Ci vuole tanto lavoro ed esperienza, ma se non ci fossero i finanziamenti pubblici (sempre in diminuzione) e gli sponsor privati non si potrebbe fare.” Ma nonostante la crisi economica Umbria Jazz presegue: la regione Umbria ha investito 600.000 mila euro quest’anno per le edizioni di Perugia e Orvieto. “Nessun’altra regione ha fatto tanto. In Italia si investe ancora solo per l’Opera e la musica classica, non per il Jazz. Eppure gli italiani hanno avuto un ruolo importantissimo nella nascita della musica Jazz. Ma in Italia i politici penano che con la cultura non si mangia”.
E tuttavia Umbria Jazz è riuscita a far sapere al mondo che esite anche un Jazz italiano… “Il festival di Newport ha festeggiato i 60 anni la scorsa estate. E per la prima volta era presente un italiano: StefanoBollani, portato priprio da Umbria jazz.
Venti anni fa potevamo citare pochi nomi italiani in questo campo - magari Enrico Rava o Giovanni Tommaso. Oggi sono tantissimi i giovani jezzisti italiani di valore e sono molto richiesti. Possiamo dire che ormai il Jazz italiano è il secondo al mondo, dopo quello americano.”
Ed il rapporto con gli Stati Uniti di Umbria Jazz è naturalmente molto intenso. Negli anni sono state tante la presenze di Umbria Jazz che ha portato jazzisti italiani nelle città americane. “Abbiamo cominciato nel 1983 nel Nord Carolina, fino a giungere a Boston e New York più di recente. All’inizio gli italiani suonavano il lunedi, nel day off e in locali secondari. Oggi invece suonano dal matedi alla domenica nei locali più importanti”.
E un filo rosso unisce Umbria Jazz anche con le università americane. Con il Berkley College of Music di Boston per esempio. “Quest’anno festeggiamo 30 anni di collaborazione. Per due settimane ogni anno venogno a Perugia 250 studenti sia dagli USA che da tutto il resto del mondo.”
Ultima inevatibile domanda. Ha un sogno nel cassetto Pagnotta?
“Si parla ancora di quando il Jazz entrò al Carnegie Hall per la prima volta. Sarebbe bellissimo se potesse entrarci qualche jazzista italiano”.
i-Italy
Facebook
Google+