Raccogliendo i pensieri su Expo a Milano
Secondo weekend di settembre 2015. Migliaia di autobus da tutta Italia scaricano fiumi di gente ai parcheggi, vastissimi, dell’EXPO. Superati i percorsi obbligati di scale mobili e corridoi kilometrici, si giunge all’ incrocio del decumano con il cardo, segnato sullo sfondo dall’Albero della Vita. I padiglioni più popolari creano code che arrivano fino a cinque ore. Troppe. Abbiamo potuto visitare Casa Italia grazie all’ ingresso prioritario riservato ad anziani etc. etc. Ma questa regola varia a seconda dei padiglioni.
Nonostante le difficoltà, siamo riusciti a visitare parecchi padiglioni di EXPO. Provo a sintetizzare l’impressione generale in poche parole: questo EXPO è un gigantesco festival del multimediale, sul tema del cibo. I partecipanti hanno usato i più aggiornati e sofisticati mezzi di comunicazione per mostrare al pubblico panorami, prodotti, usanze, riti, storie e personaggi. Dopo averne visitati un po’, resta nella mente una immensa confusione di immagini, suoni e colori che si fondono fra di loro, in un caos cangiante, fantasmagorico. Da tutto questo cerco di ricavare qualche pensiero.
Tutto nel mondo del virtuale, dunque, tranne la Francia. I francesi mi sono sembrati geniali ed anche spiritosi in concreta semplicità. Hanno occupato gran parte dello spazio loro riservato creando un orto vero, non virtuale, rigoglioso, curato da mani esperte, completo di verdura e frutta. Bravo chi riesce a capire cosa ci manca. Superato il vialetto che attraversa l’orto, si accede ad un capannone al centro del quale si trova una specie di torre coperta di padelle, tegami, pentolini e pentoloni. E tutt’intorno tavoli che mostrano il cibo. In vendita al termine del percorso croque baguette au jambon, delizioso. La cucina francese mostrata alle masse. E così i bambini capiranno che le patatine fritte non crescono nei supermercati.
Al contrario, deludente il padiglione dell’Iran, che mostra immagini multicolori ed accattivanti di decine e decine di specie diverse di melograni. Giunti dopo tutto questo guardare al loro bar, ho chiesto una spremuta di melograno, “No, noi non ce l’abbiamo”.
Memorabile una battuta semplicissima, sentita nel filmato del padiglione degli Emirati Arabi Uniti. Uno dei più popolari, creato dall’architetto inglese Norman Foster, ispirato al paesaggio ed alle architetture del deserto. Il filmato, protagonista una bambina che fa un viaggio indietro nel tempo, mostra come vivevano i suoi nonni nel deserto e come vive lei, oggi, a Dubai. La bambina porta una maglietta firmata vistosamente. E il dialogo del primo approccio con la nonna viene fuori così. La nonna: “Armani?” La bambina: “No, io sono Fatima”.
Un pentimento: essere andate a mangiare al ristorante cinese. Memore di bei pranzetti fatti a ristoranti cinesi noti, ho affrontato la fila sicura di trovare belle sorprese. Il contrario. Per sbrigarci alla cassa io e la mia amica abbiamo chiesto due menu fissi, l’A e il B, che sulla carta avevano tante belle cosette. Invece, abbiamo potuto gustare solo il brodino iniziale, gradevole. Quasi tutto il resto, è rimasto lì. Ed ho concluso il pasto addentando una mela che portavo con me. Come può spiegarsi questa cosa? è quello il vero cibo cinese? Ciò indicherebbe che i piatti offerti nei ristoranti sono adattati ai nostri gusti. Oppure quel cibo è di qualità scadente, preparato in modo frettoloso, e proprio sgradevole? Mistero.
E siccome non di solo pane si vive, il padiglione del Vaticano ha messo al centro del suo spazio un tavolo, tutt’intorno sono proiettate dall’alto una serie di mani che si muovono ed operano, al centro simboli religiosi che unificano e finalizzano l’attività umana. Bello, semplice e significativo.
Per quanto ho visto, posso dire che i padiglioni più popolari sono quelli dei paesi emergenti, penetrati da poco nella nostra cultura. Suscitano, infatti, una curiosità che crea file di ore ed ore. Non così, gli USA. File brevissime, lì. Sappiamo tutto del loro cibo e degli effetti sulla popolazione. Appena entrati nel padiglione americano il Presidente Barack Obama, snello, giovane e sorridente, dà il benvenuto, ricambiato da saluti e bacetti volanti.
Per concludere, ho notato che l’Abruzzo è rappresentato dallo Chef Niko Romito, dalla facciata delle Basilica di Collemaggio a Casa Italia, rielaborata da effetti ottici sorprendenti e coinvolgenti, e dallo zafferano. Per la prima volta ho sentito che una sua molecola potrà curare una seria malattia degli occhi, e dunque la sua produzione è oggi collegata con l’industria farmaceutica.
Infine, da ricordare che tutti i padiglioni, progettati dalle migliori menti dell’architettura e del design, al termine dell’EXPO Milano 2015, saranno smontati, trasportati nei paesi d’origine e rimontati a ricordo della partecipazione. Rimarrà dunque nella zona di Milano uno spazio enorme, vuoto, da riempire chissà come, segnato solo da Casa Italia e dall’Albero della Vita. Il futuro dei nostri figli e nipoti.
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