Articles by: Letizia Airos soria

  • Facts & Stories

    9/11/2001 9/11/2021 - intervista all'Amb. Giorgio Radicati

    BELOW IN ENGLISH 

     

    Ambasciatore, prima di tutto grazie veramente a nome di tutti, sono passati 20 anni da quell’11 settembre, come tanti posso dire 'io c’ero2 - abitavo a poche centinaia di metri dalle torri gemelle -  ma certo il Console Generale italiano a New York deve aver vissuto intensamente decine di storie di italiani in quei giorni. Un’esperienza unica, molto dura e soprattutto umanamente indimenticabile. Sappiamo che lei ha anche scritto un bel libro intitolato “io c’ero”

    Vorrei chiederle di condividere brevemente con noi dei ricordi e delle riflessioni. Perchè lei c’era e con lei c’era tutta l’Italia di New York 

    Quando ha capito che sarebbe stato un evento molto grave?

    Innanzitutto vorrei ringraziarla per l’invito in video che ci permette di ricordare un episodio che rimarrà nella storia del mondo. Quando ho capito che si è trattava di un evento molto grave? Subito, quando vidi il secondo aereo schiantarsi contro le Torri Gemelle io capii che non era un semplice errore di guida o un semplice incidente di percorso aereo, ma che c’era un piano deliberato. Quel momento iniziai subito a prevedere cosa sarebbe potuto succedere e come il Consolato d’Italia avrebbe potuto fornire un’assistenza alle possibili vittime o a chi era stato colpito.

    Come si è organizzato il Consolato e quali sono stati i passi più importanti che ha dovuto fare?

    Il primo passo è stato mettersi subito in contatto con il Ministero degli Esteri, che a sua volta mi mise in contatto con il sistema diciamo di vigilanza che opera 24 ore su 24. E cominciammo già a scambiarci delle impressioni in tempo reale. Quello che io vedevo in televisione e quello che mi cominciava ad arrivare al telefono costituiva oggetto di in uno scambio di idee continuo con  i miei interlocutori  al Ministero degli Esteri. 

    Tanto lavoro in Consolato con il personale che ancora ringraziamo, perché sono stati eccezionali, ma anche tanto lavoro nella comunità italiana e nella comunità italo-americana. La presenza degli italo-americani presso le istituzioni, presso le forze dell’ordine, i vigili del fuoco è stata fondamentale.

    Esattamente e questo mi consente di continuare quello che avevo detto prima. Una volta stabilito questo contatto con gli headquarters, dovevo subito stabilire il contatto con i vari uffici del consolato che potevano essere coinvolti e soprattutto con la comunità, le associazion,i che subito pensai potevano costituire un punto di riferimento per la nostra assistenza. E poi subito il contatto con le autorità locali fu molto difficile perché, come poi si è saputo, gli uffici del sindaco e del governatore ricevettero tante tali chiamate da tutto il paese che decisero di non comunicare con le autorità consolari locali, proprio in previsione di richieste di assistenza. Dunque ci fu un blackout. Dovetti allora ricorrere all’assistenza preziosa della mia segretaria Lisa che non scorderò mai. E’ sempre stata un punto di riferimento per tutti i connazionali e chiesi a lei di entrare in contatto con questi interlocutori, ma non per le vie ufficiali. Chiamiamole vie sotterranee, io ci dovevo arrivare. Devo dire che con grande sforzo riuscii ad avviare un canale per avere delle notizie di prima mano che mi permettevano di orientarmi e soprattutto di fornire informazioni a Roma che poi doveva dare delle istruzioni.

    Quando ha realizzato che erano coinvolti tanti italiani e soprattutto tanti italo-americani. Quando ne ha avuto la percezione della gravità da questo punto di vista?

    Questo è stato un altro problema grosso. Stabilire in tempi rapidi quante persone potevano essere oggetto di aiuto, tenuto conto anche delle centinaia e centinaia di telefonate, il Consolato ricevette in 10/15 minuti qualcosa come 4000 chiamate.  Cercai di fare calcoli sovrastimati, molto meglio sovrastimare che sottostimare. Calcolai 2000 3000 persone che potevano lavorare, visitare, essere coinvolte. Cominciai a parlare con le persone delle associazioni e chiesi questo dato secondo voi è giusto? Vi risulta? Non c’è niente da fare. Non si poteva fare da soli. Occorreva una collaborazione globale. Io devo dire che l’ottenni.  Poi sorse il problema: quelli di cittadinanza o quelli di origine, gli italiani con il passaporto o senza? Era uno pseudo problema. Si trattava di salvare vite umane! 

    Vorrei da lei, a livello personale, considerando anche gli eventi delle ultime settimane, un commento, una riflessione oppure il ricordo di un’immagine che le viene in mente, soprattutto in questo periodo se pensa a quei giorni…

    Ci sono due cose. Primo la scena che più mi impressionò fu la caduta della prima e del seconda torre, fu terrificante, mi rimarrà sempre impresso nella mente. Il secondo è la forza morale delle autorità e di tutta la popolazione di New York, forza morale che fece pronunciare all’allora sindaco Giuliani questa frase che io ho poi stampato nel mio libro: "Abbiamo fatto del giorno più scuro il giorno più luminoso". 

    Mi lasci un attimo per mandare un caro saluto a tutti gli italiani d’america che ho nel cuore e soprattutto a tutte le nuove generazioni che dovrebbero trovare ispirazione in quello che quegli italiani hanno fatto, i loro genitori, per rendere non soltanto la comunità italiana all’estero ma l’America grande.

     

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    Ambassador, first of all thank you so much on behalf of everyone.  20 years have passed since that September 11th. Like many, I can say I was there - I lived a few hundred meters from the Twin Towers - but certainly the Consul General of Italy in New York must have seen dozens of Italian stories in those days.  A unique experience, very hard and above all unforgettable.  You have also written a book called "September 11. I was there" I would like to ask you to briefly share your memories and reflections. Because you were there and with you was the whole ‘Italy of New York’. When did you realize it was going to be very, very serious?

    First of all, I would like to thank you for this invitation that allows me to remember an episode that will remain in the history of the world. 

    When did I realize it was a very serious event? Immediately when I saw the second plane crash into the Twin Towers, I realized that it was not a simple driving error or a simple plane crash, but a deliberate attack. I immediately began to figure how the Consulate of Italy could provide assistance to possible victims.  

    How was the Consulate organized and what were the most important steps it had to take?

    The first step was to immediately get in touch with the Foreign Ministry which in turn put me in contact with the surveillance system, let's say, which operates 24 hours a day. And we already began to exchange impressions in real time. What I saw on television and what was beginning to arrive on the phone was the subject of a continuous exchange of ideas with my interlocutors at the Foreign Ministry.

    There was a lot of work for the Consulate, I’d like to thank once again all the staff, they have been exceptional.

    But there was a lot of work for the Italian community too, and  the Italian-American community.  The Italian-Americans serving in the city institutions, the police,  the firefighters were fundamental.

    Exactly. Once the contact was established with the headquarters,  I immediately contacted the various Consulate offices that could be involved and above all the community, the associations that I immediately figured could be a point of reference. 

    Then I tried to be in touch with the local authorities, which was very difficult because the offices of the Mayor and the Governor received so many such calls from all over the country that they decided not to communicate with foreign consular authorities precisely in anticipation of all the requests for assistance that could emerge. 

    So there was a blackout. Here I resorted  to the invaluable assistance of my secretary, Lisa, whom I will never forget. She has always been a point of reference for the Italian American community and I asked her to get in touch with them, but not through official channels.  Let's call it ‘underground channels’, I had to get there somehow. 

     I must say that, with great effort, I was able to open a channel to get first-hand news that allowed me to determine what to do and above all to provide information to Rome.

    When did you realize that so many Italians and above all so many Italian Americans were involved? 

    This was another big problem. Establishing quickly how many people could be needing help, also taking into account the hundreds and hundreds of phone calls ... the Consulate received something like 4000 calls in 10/15 minutes. ...

    I tried to overestimate, much better to overestimate than underestimate. I calculated that 2000 to 3000 people could be involved, between employees and visitors. 

    I started talking to the Italian associations and asked about this estimate, “Do you think it is right? Do you agree?”

    No way you could do it alone! Global collaboration was needed. And I got it. And then the problem arose: must we help only Italian citizens? Or also all the Italian descendants? Just those holding an Italian passport, or everyone? It was a pseudo problem. It was about saving lives! 

    I would like to ask you, on a personal level, a comment, a memory that comes to mind when you think about those days...

    There are two things. First, the scene that most impressed me was the fall of the first and second towers, it was terrifying, it will always remain imprinted in my mind. 

    The second is the moral strength of the authorities and of the entire population of New York, a moral strength that made the then mayor Giuliani pronounce this sentence that I then printed in my book: 

    “We made the darkest day the brightest day.” 

    Let me send a warm greeting to all the Italians of America, they’re all in my heart. And above all to the new generations, who should find inspiration in what those Italians have done, their ‘parents’, to make the Italian community abroad great -- actually to make America great!

     

     

     

     

     
  • 2014. Caccia al Tesoro del 2 giugno. Francesca Agneta (a sinistra) con Massimo Tommasoli ed il Console Generale di allora, Natalia Quintavalle
    Opinioni

    Grazie, Francesca. Sei stata la nostra esploratrice culturale a New York

    Ci lascia la cordialità, la disponibilità, la gentilezza, l'ironia, l'attenzione ai più deboli, ma soprattutto la curiosità pura di una donna che amava scoprire, scrutare, poi studiare e comunicare.

    Lettrice attenta, sempre in cerca di approfondimenti, Francesca Agneta era un’esploratrice straordinaria e per me una vera boccata d'aria a New York. Una città che spesso attraversi senza troppa attenzione e che nasconde tanti spunti culturali italiani. Lei li conosceva, ma soprattutto li cercava, li scopriva.  L'ascoltavi e sembrava di aprire le pagine di un eterno libro sull’italianità nascosta e non solo.

    Francesca è stata così fino alla fine,  nonostante una malattia terribile che piano piano l’ha  spenta. Era di Terni, prima di andare in pensione è stata funzionaria amministrativa del Consolato a New York, un costante punto di riferimento per la comunità italiana. 

    Era una donna che sapeva farsi amare, per la sua disponibilità, sensibilità, semplicità, ma anche per la sua rara discrezione.

    Aveva lavorato diversi anni in Africa, con progetti per la cooperazione, lì aveva incontrato e sposato  Massimo Tommasoli, oggi osservatore permanente presso l’Onu di Idea. Una bellissima coppia, Francesca seguiva con attenzione il lavoro di dibattiti, seminari ed eventi del marito ma non lo faceva in modo passivo, non era la classica moglie in pensione. Era riuscita a crearsi con grande intelligenza un suo percorso, un’incessante attività da esploratrice culturale,  con l’unico scopo di diffondere la cultura.

    E Francesca ha attraversato quest’ultimo anno -  che ci ha visto tutti più fragili e lontani per via della pandemia -  con grande coraggio accanto a suo marito. Nonostante la malattia non ha mai perso la sua curiosità ed il desiderio di scoprire, ancora e ancora 

    Si sa, è stato un periodo che ha isolato soprattutto le persone più fragili.  Non la vedo da molto quindi, la ricordo seduta sul suo divano di casa quando la malattia cominciava a manifestarsi e la rendeva già debole fisicamente, eppure era una vero turbine di idee, suggerimenti, domande a cui cercava di dare una risposta. Parlammo di scuola, di bambini, di strumenti culturali per loro, di divulgazione.

    Ha continuato nei mesi successivi a mandarmi aggiornamenti, articoli, approfondimenti via whatsapp. Amava commentare, condividere le sue passioni e divulgare. 

    In questo inizio di primavera, New York perde una sua straordinaria amica. Una straordinaria amica per tutti coloro che amano scoprire, ricercare, divulgare, che amano la cultura.

    Voglio ricordarla tra i suoi amici, straordinaria padrona di casa con le sue cene sotto il cielo in terrazzo e per le strade di Manhattan, magari nel corso della caccia al tesoro italiana organizzata per il 2 giugno. 

    Voglio ricordarla con le sue storie raccontate con sapienza e precisione,  Sapeva portare per mano, sapeva incuriosire, stupire. E mi rendeva anche un po' bambina.

    Grazie Francesca

     

  • Opinioni

    Quelle cose non dette di noi donne

    Ci sono molte cose non dette sulle donne, cose non dette da noi donne e certo da chi non è donna. Guardiamo la vita come se si dovessero osservare solo gesti importanti, gesti eclatanti, poi c’è la vita di tutti i giorni, quella vita nascosta. 

    Vi vorrei parlare di questa vita nascosta, vita legata all’esperienza personale, di quelle cose che in genere noi donne non raccontiamo mai perché pensiamo siano piccole, troppo piccole per essere raccontate.

    Vi voglio parlare di me, mia madre. mia nonna, il mio lavoro, delle persone che ho incontrato e di quelle che non ho incontrato. Vi voglio parlare della vita,  di quella vita che tutte quante noi viviamo giorno dopo giorno accumulando, accumulando, accumulando pensieri, reazioni cose non dette, che teniamo dentro per andare avanti.

    Il primo impatto sofferto con l’universo maschile l’ho avuto quel giorno, del mio diciottesimo compleanno, in cui mio padre protestò per un abito forse troppo trasparente. Non lo aveva mai fatto, ma la mia maggiore età lo aveva messo in crisi. Sua figlia diventava una donna e lui perdeva il controllo della sua vita. 

    Ricordo che reagii ma non tanto, rimasi in silenzio,  qualcosa stava cambiando e non lo capivo. Per me sarebbe stato uno spartiacque, da quel momento tutto sarebbe stato diverso. 

    Quella figlia, donna, avrebbe attraversato diverse fasi della sua vita, avrebbe combattuto, a volte vinto, avrebbe intrapreso spesso strade non proprio facili e lo avrebbe fatto tradendo in qualche modo, il desiderio, del proprio padre riassunto in una frase “Quando fai una cosa guarda sempre dove vuoi arrivare”. 

    Ecco, questo non l’ho fatto, ho sempre intrapreso un percorso guardandomi intorno, facendo attenzione alle persone che avevo affianco e che incontravo, pensando al viaggio che intraprendevo e non puntando solo alla meta. 

    Ho infatti cambiato spesso strada, pagandone ovviamente tutte le conseguenze. E ci sono stati tanti momenti di silenzio, momenti normali per noi donne, spesso momenti molto sofferti. 

    Ti accorgi troppo spesso che essere una donna completa vuol dire entrare anche in un campo maschile fatto da uomini e per uomini. Ho subito diversi atti poco gradevoli da parte di uomini, ne sono uscita sempre anche se con qualche ferita.  La cosa che più pesa è quel sentirsi un pesce fuor d’acqua e combattere per respirare senza le branchie che gli altri hanno e che tu non vuoi. E queste branchie, purtroppo, le vogliono anche le donne. 

    Ti accorgi che non ce le puoi fare perché in certi contesti non sei prevista. La tua diventa una battaglia silente perchè non vuoi usare le armi che gli altri usano. Prendi tutto il tuo coraggio silente e vai avanti.

    Mia nonna Maria  era una donna coraggiosa che, dopo aver sposato un uomo che non conosceva il giorno prima del matrimonio, lasciata la Sicilia è andata a vivere a Roma. In questa città che avrebbe di li a poco affrontato la seconda guerra mondiale, è  riuscita a crescere i suoi figli per arrivare a festeggiare, anche se troppo tardi, il giorno del referendum per il divorzio. 

    Ha accumulato certo tanti momenti di silenzio che non ha raccontato neanche alla sua migliore amica.  Io da nipote ho cercato di saperne di più, ma dovevo accontentarmi di cenni tra le righe.

    Mia madre, Concettina, dopo aver combattuto per studiare contro suo padre, che voleva solo il figlio maschio laureato, ha lasciato un’ottima carriera universitaria per dedicarsi alla famiglia continuando ad insegnare nelle scuole medie. Quanti sono stati i suoi silenzi? Quanti sono stati i momenti coraggiosi al contrario? Cosa significava per lei combattere andando avanti in silenzio? Tutto questo per non rompere un equilibrio che allora sembrava necessario.

    Dovremmo tutte condividere non solo i nostri momenti di successo,  dovremmo proporre al mondo il racconto della nostra quotidianità fragile ma coraggiosa, quella quotidianità che la cultura dominante ha lasciato da parte per celebrare un eroismo che ha una matrice e narrativa maschile.

    I social potevano essere un bel luogo per proporre storie vere, ma anche qui il protagonismo e soprattutto l’accodarsi a chi ha successo hanno preso il sopravvento.

    Mettiamo fuori tutte le nostre piccole debolezze, solo così possono diventare forza. La forza della dolcezza, la forza delle nostre fragilità, la forza dell’umanità.. 

    Ho perso contratti di lavoro, partner di lavoro e  anche amici,  anche io a volte ho dovuto sopportare quello che sembrava essere un mondo predominante. Ho schivato advances poco eleganti e anche discriminazioni, tutto sommato sembravano blande, ma con il senno di poi so che una dietro l’altra hanno condizionato il percorso della mia vita. 

    Il racconto, solo del periodo in cui ho fondato i-Italy, testata che dirigo anche attraverso tante difficoltà, potrebbe essere lungo e dettagliato.

    Mi sono immersa in un mondo maschile, ho deciso di rimanere come sono, ho pagato tutto questo e  forse anche io sono stata troppo in silenzio. La normalità va raccontata perché è un atto eroico, perché è un eroismo che contrasta quello imposto dalla cultura predominante. Cultura subdola di cui spesso non ci rendiamo conto, a cui siamo abituate. Cultura che ci vuole trattare da sub-cultura.

    Non lo sapevano mia madre e mia nonna, a lungo non me ne sono resa conto neanche io, non se ne rendono conto troppe donne ancora, donne che hanno paura di riscrivere la vita con le loro priorità, con la loro sensibilità. 

    Dico a tutte: proviamoci. Scrolliamoci di dosso la retorica maschile delle ‘eccellenze’ che, purtroppo va tanto di moda negli ultimi anni.

    E non dimentichiamo la grammatica italiana,  Il recente caso della musicista  Beatrice Venezi al festival Sanremo fa pensare. Ha detto di voler essere definita ‘direttore’.  Ho come l’impressione che lo abbia fatto per non sentirsi sminuita. Anche lei succube di un mondo al maschile. Di una retorica. Tutto questo non rende onore non solo alla ricchezza della lingua italiana, che prevede genere maschile e femminile, nasconde anche considerazioni e conquiste nella contrapposizione/dibattito tra generi. IL suo appellarsii ‘direttore’ invece di ‘direttrice'  non aiuterà certo ad aumentare il coefficiente terribilmente scarso di donne direttrici d'orchestra. 

     
  • Fatti e Storie

    #TheItalianResilience- OK ITALIA PARLIAMONE

    L’emergenza Coronavirus ha portato molti a ripensare la propria attività, lo stesso è accaduto a te che hai dato vita ad Ok Italia Parliamone. Quando e come  ti è venuta l’idea? Mi piacerebbe che tu ricordassi l’esatto momento in cui hai pensato di farlo. Insomma la tua esperienza di vita, vissuta in prima persona.

    A partire dai primi giorni del manifestarsi della fase di emergenza causata dal Covid-19, mi sono trovato di fronte ad un grande dilemma che penso sia stato comune un pò a tutti noi. Attendere passivamente lo sviluppo degli eventi oppure provare a reagire cercando di pensare da subito a come poter affrontare il futuro a cui saremmo andati incontro. 

    L’unica certezza che oggi abbiamo è che non si potrà più tornare alla normalità cui eravamo abituati, ma che anzi dovremo abituarci a convivere con una “nuova normalità” che nascerà, e già si inizia a vedere, da quanto è successo. 

    OK ITALIA PARLIAMONE è un progetto, un format televisivo, da me avviato nel maggio 2019 e che andava in onda sul digitale terrestre. Nel pieno della crisi legata alla pandemia covid19, nel momento in cui il lockdown ha messo in discussione tutte le nostre certezze ed abitudini, ho trasferito sul web la trasmissione prima con la campagna “io resto a casa”, che ha visto la partecipazione di parlamentari, imprenditori, giornalisti ed esponenti vari dell’associazionismo e delle professioni, poi con una serie di interviste che avevano la finalità di guardare al futuro con una rinnovata speranza, offrendo informazioni “corrette e trasparenti” sul reale impatto del Coronavirus nel nostro Paese e sulle misure del governo per la ripartenza di tutto il Sistema Italia.

    Si punta al confronto con gli ospiti per ragionare di idee e azioni utili per far ripartire il Paese. Come vengono selezionati gli  interlocutori?

    La scelta è semplice, intervisto chi realmente ha qualcosa da dire, ma soprattutto chi può aiutare gli altri nel trovare la strada per superare il momento di crisi economica attuale che ricordiamo essere la peggiore dal dopoguerra ad oggi.

    Lavorate in partnership con Finanziamenti News. Assocamerestero e ITALPLANET GROUP, quindi seguite in particolare le camere di commercio all’estero. Cosa comporta raccontare la loro attività?

    Sempre durante il lockdown è nata questa partnership, dopo esserci confrontati sulla situazione emergenziale in corso ci siamo trovati tutti sulla posizione di voler individuare dei percorsi che potessero aiutare le nostre PMI ad alzare la testa e a guardare con rinnovata fiducia ed entusiasmo al futuro. Abbiamo quindi deciso di guardare oltre i confini nazionali con una serie di interviste di Ok Italia Parliamone ad Ambasciatori e Presidenti delle Camere di Commercio italiane nel mondo. Un vero e proprio percorso di esplorazione, grazie a dei testimoni privilegiati, dei Paesi nei quali l’internazionalizzazione può rappresentare un’opportunità per la ripresa delle nostre PMI, facendo leva sull’attrattività del Made in Italy.

    Quale è il  target di riferimento? In Italia o all’estero?

    Quel tessuto economico produttivo fatto soprattutto di piccole e medie imprese che quotidianamente, pur tra mille difficoltà, contribuisce a tenere alto il nome del nostro Paese facendo del made in Italy una nostra bandiera nel mondo.

    E’ un momento difficile ma è chiaro che l’Italia deve puntare ora più che mai sull’internazionalizzazione. La sua vera ricchezza sono le piccole e medie imprese. Quali sono secondo te gli errori in comunicazione che non vanno fatti, soprattutto ora?

    C’è ancora una frammentata conoscenza dei mercati esteri e delle opportunità che questi possono rappresentare per le nostre PMI. Serve comunicare in maniera chiara e diretta, senza fronzoli. Una comunicazione che arrivi direttamente alla pancia, alla mente e al cuore dei nostri imprenditori, partendo proprio dalla narrazione di quanti hanno già affrontato i nuovi mercati. Nelle mie interviste ai Presidenti delle nostre camere di commercio all’estero l’ultima domanda è sempre la stessa, chiedo se ci sono delle “regole d’oro” che un’impresa italiana che punti ad avere successo in quel mercato deve rispettare per evitare amare sorprese. L’improvvisazione non aiuta, mai.

    Quali sono i più urgenti bisogni di informazione e formazione delle nostre PMI interessate ad internazionalizzarsi? Come potrebbero essere affrontati in particolare utilizzando le tecnologie digitali? 

    Il lockdown ha costretto tutti ad imparare ad utilizzare le tecnologie digitali, una positività  certa è che abbiamo ridotto il gap digitale con gli altri Paesi. Webinar ed anche b2b virtuali sono ormai sdoganati ed iniziano a dare i loro primi importanti risultati. Altro aspetto su cui dobbiamo ancora lavorare molto è l’informazione e soprattutto la formazione da fare ai nostri imprenditori per prepararli alle tante incognite cui possono andare incontro nel momento in cui decidano di internazionalizzare la propria azienda.

    I giovani. Quanto pensi che un progetto così possa aiutarli

    I giovani, e non è retorica, sono il nostro futuro. In loro dobbiamo porre la nostra fiducia e abbiamo l’obbligo morale di metterli nelle condizioni ottimali per poter traghettare l’Italia verso un mercato sempre più competitivo e globale, rivendicando per il nostro Paese il ruolo di attore protagonista che naturalmente gli compete. Il progetto di Ok Italia Parliamone guarda con attenzione ai giovani ed è anche per questo che abbiamo deciso di utilizzare gli strumenti offerti dal web per accorciare le distanze e garantire una comunicazione diretta ed  portata di mano, o meglio di mouse.

     

     

     

  • Op-Eds

    Together with "The Italian Resilience"

    Times of pandemics. Times of uncertainty but also of opportunities to rebuild, to restart. Times in which you can no longer ignore the details, those details that often go unnoticed but which are the real thrust of change. We can start over by treasuring our past experience, including the mistakes we may have made.

    “That precise moment of an epidemic, when everything can suddenly change, is the Critical Point,” writes Malcolm Gladwell in his most recent book, The Critical Point. The big effects of small changes.

    Do we realize it? Are we gearing up for change, and how? To ask these questions and seek the first answers i-Italy has decided to open a new space for reflection, following the red thread that unites all over the world what I would call the new "Italian resilience" that accompanies our life, something we may even be unaware sometimes.

    The dictionary says that the word “resilience”, so widespread today, evokes "the ability of a material to absorb a shock without breaking" or, in psychology, "the ability of an individual to face and overcome a traumatic event or a period of difficulty."

    In this virtual but very concrete space, we will collect stories of Italian resilience from all over the world, from New York to Milan, from Paris to Berlin to Buenos Aires ... There will be stories, interviews, and ideas. We will publish them in different languages, as they come to us, without necessarily looking for translations, but we will be happy if you will help us, perhaps translating and disseminating ...

    In the process, we will also publish some of the contributions received at #Standuptogether, our "antivirus communication project” born in the first months of the pandemic. Our very successful bottom-up, “social” campaign continues. Sharing collective projects leads to building a community, it transforms individual engagement into collective action. This is our aim.

    We believe that the words of Pope Francis, pronounced on March 27 this year in the churchyard of St. Peter's Square, were a turning point: "The storm unmasks our vulnerability and leaves uncovered those false and superfluous certainties with which we have built our agendas, our projects, our habits and priorities." We start by recognizing the value of such insecurity, and in so doing we will attempt to turn our fragility into our very strength.

    We embark on this new journey together with several friends whom you will meet in the coming months. First among the is Massimo Amorosini and his OKITALIAPARLIAMONE, a project that presents ideas and initiatives to relaunch Italy in the world, carried out in partnership with Italplanet.it.

    So let's get started. As Franz Kafka said “paths are built by traveling”. We are on our way.

     

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    Tempi di pandemia, si sa. Tempi di incertezza ma anche occasioni per (ri)costruire, per ripartire. Tempi in cui non si possono più ignorare i dettagli, quei particolari che spesso passano inosservati ma che sono la vera spinta del  cambiamento. Si può ricominciare facendo tesoro degli errori fatti che vengono in questi tempi al pettine come nodi cruciali.

    “Quel preciso momento di un'epidemia, quando tutto può cambiare all'improvviso, è il Punto Critico“ scrive il sociologo e giornalista Malcolm Gladwell nel suo recentissimo libro Il punto critico. I grandi effetti dei piccoli cambiamenti.

    Noi ce ne rendiamo conto? Ci stiamo attrezzando al cambiamento, e come? Per porre queste domande e cercare le prime risposte i-Italy ha deciso di aprire un nuovo spazio di riflessione, seguendo il filo rosso che unisce in tutto il mondo quella che chiamerei la nuova ”resilienza italiana” che accompagna la nostra vita, a volte senza che ne siamo consapevoli  -- The Italian Resilience.

    Il dizionario dice che questa parola oggi così tanto diffusa evoca, in fisica, “la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi” o, in psicologia, “la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà.”

    E dunque in questo luogo virtuale, ma molto concreto, raccoglieremo storie di resilienza italiana da tutto il mondo, da New York a Milano, da Parigi a Berlino a Buenos Aires... Saranno testimonianze, interviste, racconti. Lo faremo in diverse lingue, senza cercare necessariamente traduzioni, ma saremo felici se ci darete una mano magari traducendo e diffondendo...

    All’interno di questo percorso ci saranno anche gli interventi di #Standuptogether, il nostro progetto di “comunicazione antivirus” nato nei primi mesi della pandemia.  La campagna social raccontata dai diretti protagonisti continua.  Condividere progetti collettivi porta a costruire una comunità, passando dalla forma individuale all'azione collettiva. Questo è il nostro scopo.

    Crediamo che le parole di Papa Francesco, pronunciate il 27 marzo di quest’anno sul sagrato di Piazza San Pietro siano state  un punto di svolta su cui ragionare ancora.

    “La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità.”  Partiamo riconoscendo il valore di questa insicurezza.

    Intraprendiamo questo nuovo viaggio insieme a tanti amici che scopriremo nei prossimi mesi. Tra i primi OK ITALIA PARLIAMONE e il suo ideatore Massimo Amorosini, un confronto per ragionare di idee e azioni utili per far ripartire il Paese, realizzato in partneship con Italplanet.it, il magazine di Unioncamere e Italcamerestero.

    Cominciamo quindi. Come diceva Franz Kafka “i sentieri si costruiscono viaggiando”. Noi siamo in cammino.

     

     

  • Opinioni

    New York e le sue api operaie invisibili

    Hanno scritto e detto tante cose sulla New York di questo periodo, senza riflettere molto a mio avviso sui problemi strutturali, già presenti molto prima dell’arrivo del Covid-19.
    New York non è morta, come alcuni hanno detto, e non è neanche in agonia, ma certo non sta bene.  Era già malata e per anni ha preso le medicine sbagliate. Si era illusa di essere l’ombelico del mondo, in un mondo che non ha più bisogno di ombelichi.
     
    New York l'audace, la città delle novità, in realtà non lo era da molto, viveva di rendita, di immagine. 
    Non era più la città di punta del momento.  C'era qualcosa che le impediva di rinnovarsi,  così come ha sempre saputo fare.  Era  imbalsamata nei salotti, nelle sue gallerie d’arte, nella marea di turisti che la voleva toccare, quasi saccheggiare, nei suoi locali dove tutto era esagerato, nelle sue spa extra-lusso, nei suoi terrazzi dalla vista mozzafiato accessibili a pochi, nei suoi negozi flagship aperti ma sempre vuoti, nei suoi grandi magazzini pieni di sconti esagerati, ma soprattutto nel poco coraggio di rischiare per cambiare e scardinare certe contraddizioni..
     
    Il Covid ha dato la scossa. E' stato una sorta di elettrochoc. Molti se sono andati via, soprattutto i ricchi, tutti nelle loro seconde case al mare, in campagna, molti meno ricchi hanno perso il lavoro e quindi la possibilità di pagare un affitto, anche solo di una stanza, magari con più del 50 per cento dello stipendio, un’assurdità di cui però non ci si scandalizzava tanto prima.
     
    Da poco ho finito la mia quarantena e in questi primi giorni ho deciso di andare a trovare la New York meno conosciuta. Quella dove non si va quasi mai. I suoi quartieri più popolari, abitati da ispanici o neri, orientali, quella dei migranti.  Quei posti dove fino a sei mesi fa potevi trovare un dignitoso, colorato e spesso chiassoso modo di vivere, dove abita una comunità invisibile che fino a marzo si arrangiava, magari senza neanche una posizione regolare. Lì la parola clandestini non è così rara. Ci sono persone senza un visto regolare, ma con i figli a scuola e una famiglia da mantenere.
     
    Se devo descrivere quello che ho visto fino ad ora in poche parole, posso azzardare un paragone che nasce da una sorta di déjà vu che ho provato. Mi sembrava di essere tornata  in Unione Sovietica, dove ho vissuto, alla periferia di Mosca.
    Ho visto file per ottenere pacchi alimentari, gente vendere per  strada tutto e di tutto, dalle scarpe al ninnolo di plastica del bambino, senzacasa in giro senza neanche poter chiedere l’elemosina.  Non sono riuscita a fare delle foto, mi sembrava di essere invadente, di mancare di rispetto.
     
    Perché dietro le loro mascherine i loro occhi erano molto eloquenti, grintosi, veri testimoni dell’anima di New York, quella più semplice. La città viveva di queste persone apparentemente invisibili, presenti nelle case dell’Upper West Side o East Side come domestici, presenti nelle cucine dei ristoranti, presenti in tutti i locali dove si doveva fare pulizia, nei palazzi in costruzione, pronti a fare i lavori più umili. Affollavano la metropolitana di Manhattan andando a lavorare, magari alle 5 di mattina, mentre altri, tra turisti e newyorkesi, andavano a dormire.
     
    New York è anche questo, anzi soprattutto questo.  New York non è morta, sta provando a curarsi l'anima, quella che nascondeva tanti errori, differenze, contraddizioni, e lo sta facendo finalmente combattendo un quotidiano difficile,  guardando in faccia la realtà. 
     
    C'è dunque una New York di cui si parla poco, che non fa scintille, che non è glamour, ma che contribuisce alla vita della città con le sue tante incredibili api operaie. E' una New York disperata, al limite della povertà,  ma profondamente viva. 
    E' a questa che si deve guardare per ripartire, per una crescita sostenibile per tutti. Per un nuovo modo di vivere la città insieme.   Lo spero.
  • Opinioni

    Joseph Tusiani. «Inneggerò alla vita. ‘Oggi’ chiamandola, e non più ‘Domani.’»

    Le sue parole pesavano. Ma pesavano di leggerezza. Studiate, pensate e lasciate planare così semplicemente, dopo averle fatte fluttuare sapientemente  in schemi metrici. Le sue parole erano musica, amore, dolore, futuro. Le sue parole sono musica, amore, dolore, futuro, anche se lui ora non c’è più.

    Un onore per me averlo avuto come amico, negli ultimi anni della sua vita. Un privilegio aver parlato, scherzato, pensato con Joseph Tusiani, ‘il poeta dei due mondi’. 

    Ed in questi due mondi ti portava ogni volta che apriva la porta dei suoi pensieri, delle sue paure, ma soprattutto dei suoi sogni. Sì, sogni. Sogni di un novantenne, sogni che neanche un ventenne osa fare.

    Nato nella sua San Marco in Lamis, sul Gargano, nel 1924, Joseph Tusiani raggiunge l’America con la madre, subito dopo essersi laureato. Qui incontra per la prima volta il padre calzolaio, emigrato negli Stati Uniti d'America, pochi mesi prima della sua nascita.  Lo aveva, fino ad allora, conosciuto solo per lettera.

    La sua poesia rimarrà intrisa di questa assenza-presenza, prima del suo genitore che tanto aveva atteso di incontrare, poi della sua terra così lontana, ma sempre vicina, radicata dentro. 

    E ad aspettarlo, negli Stati Uniti, c’era una grande carriera da letterato: poesie e traduzioni, come latinista.  Ad attenderlo c’era una nuova vita. L’unica risorsa che aveva per superare i momenti difficili - gli italiani emigrati non erano certo visti bene -  era la cultura. Per lui è stata come un’arma morbida di riscatto, non solo per se stesso ma per tanti connazionali, per tanti pugliesi di cui ha continuato a difendere il valore/onore del dialetto.

    Con i suoi scritti assaggi, annusi, ascolti la sua terra, viaggi. Mentre leggi, contempli, mediti, rifletti e preghi. Altro momento saliente della sua vita l’incontro, quando era solo un ragazzino, con Padre Pio. Amava molto parlarne. Ma amava tanto altro. Amava la sua famiglia americana, angolo di prezioso amore per lui; amava i suoi amici lontani in Puglia; amava l’accademia e gli amici studiosi con cui si intratteneva; amava i suoi studenti.

    Amava profondamente la musica.  Ho sempre pensato che la sua meravigliosa voce fosse essa stessa uno strumento musicale usato sapientemente. Mi mancheranno molto certo le poesie lette da lui, ma anche quel suo armonico parlare di tutto, anche di cucina.

    Amava poi la natura e tutto ciò che era vero, semplice. E nella sua semplicità era raffinato come pochi. Forse nella mia vita ho incontrato, e avuto l’onore di conoscere bene, solo un altro grande uomo, che riusciva a rendere la semplicità straordinariamente raffinata ed essenziale, lontana anni luce dall’effimero. Era in un altro campo, il design, parlo di  Massimo Vignelli. “Quando qualcosa è effimero vale per quel che vale: niente.“, diceva. Già, il valore dell’essenziale. 

    Di Joseph Tusiani ricorderò, con profonda malinconia, anche i caffè preparati e portati al tavolo con le sue mani ferme, la casa piena di libri e di ricordi, fotografie di cui amava raccontare a lungo, quel divano su cui si sedeva a leggere e quella scrivania su cui troneggiava un computer. 

    E quel computer è stato un’altra sorpresa per me. Quello che Joseph Tusiani ha scritto  e poi ha cominciato a spedirmi da quel computer. La sua corrispondenza in versi, le sue parole intense, le sue parole spezzate.

    Quelle notti e quelle albe che accarezzava digitando su quella tastiera. Quel desiderio di viaggiare ed uscire, forse da se stesso, di esplorare.  E’ qualcosa di molto privato che conserverò preziosamente, nella memoria del mio freddo portatile. Un immeritato regalo per me.

    Saluto con affetto questo grande intellettuale dalla semplicità raffinata. Poeta dell’essenza della vita.

    Amo farlo  con una poesia che mi ha mandato anni fa e che, in questi giorni di Covid 19, assume un'intensità particolare.

    Racconta la vitalità che ha fatto di lui un uomo, tra due mondi ma al di là del mondo, che guardava sempre al futuro.

    Il futuro lo abbiamo dentro.

    --

    A QUESTA ETÀ

    A questa età mi chiedo se domani
    io sarò qui a domandarmi ancora
    quale amico destino mi ha tenuto
    legato a un nuovo giorno detto vita.
    M’accorgerei che non cambia la vita
    durante il corso della notte muto,
    e che, mentre io dormivo, sol l’aurora
    s’apprestava a riprendere i suoi piani—
    piani di luce per altro domani,
    piani di sole per altro saluto
    alla terra lontana senza vita
    perché assonnata e cieca e sorda ancora.
    Sicuro ormai di un’altra viva aurora
    e d’un novello dono ricevuto,
    inneggerei, inneggerò alla vita,
    “Oggi” chiamandola, e non più “Domani.”

    Joseph Tusiani

    New York, 27 ottobre 2016

     

     

     

     

     

     
  • Fatti e Storie

    Nello Musumeci "USA primo mercato per l’agroalimentare siciliano"

    >> English Version

    Perché è importante parlare di Export negli Usa?

    «Gli Stati Uniti rappresentano uno dei mercati più importanti del mondo da diversi punti di vista. Da un lato è importante come riferimento per le esportazioni, ma è anche un importante bacino per attrarre investimenti, nonché un esempio di innovazione nel business con particolare riferimento alle start-up innovative. La Regione Siciliana nel 2018 ha esportato in Usa prodotti e servizi per circa 680 milioni di euro, riportando un valore superiore all’anno precedente del 37 per cento. Per quanto riguarda i settori regionali, gli Usa sono il primo mercato per l’agroalimentare siciliano, con prospettive incoraggianti. Il 2018 si è chiuso con un +18% per l’export regionale (98 milioni di  euro) e il dato parziale disponibile al 2019 riporta un ulteriore +18% sul dato dell’anno precedente. Le recenti tensioni protezionistiche, che hanno portato gli Usa ad aumentare i dazi nei confronti di alcuni prodotti e di alcuni Paesi, inducono ancora di più a spingere verso questo mercato, supportando le imprese anche con azioni di accompagnamento istituzionali».

    L’Italia ha una suo punto di forza – spesso poco riconosciuto – nelle piccole e medie imprese. Come si può utilizzare questa risorsa negli Usa?

    «Per competere nei mercati internazionali occorre disporre di prodotti competitivi, ma anche dotarsi di personale e tecnologie adeguate. Le Pmi esportatrici, spesso di piccolissima dimensione, sono in grado di cogliere più opportunità laddove riescono a fare sistema, nelle reti, attraverso le associazioni di categoria, con i consorzi. D’altra parte, rispetto ai grandi player internazionali, sono in grado di essere più flessibili nell’adattamento dei prodotti alle richieste del mercato. La flessibilità di pensiero che accomuna le popolazioni del sud è inoltre un vantaggio che permette di cogliere immediatamente la variazione di tendenza del mercato. Il ricorso sempre maggiore all’export digitale, unitamente al ruolo dei social network, contribuisce ad accorciare le distanze e a permettere una veloce interlocuzione anche con Paesi cosi distanti».

    Cosa pensa che si aspettino gli americani dai prodotti italiani?

    «Gli americani associano l’Italia allo stile di vita sano e mediterraneo e ai prodotti del fashion e design di lusso. Per la Regione Siciliana è importante rappresentare il ruolo che ricopre all’interno del prodotto agroalimentare nazionale. Sempre più sono riconoscibili i vini siciliani, anche per le azioni promozionali degli stessi produttori, l’olio extravergine di oliva, i prodotti biologici, solo per citarne alcuni. L’apertura delle cantine all’enoturismo, i tanti siti Unesco della nostra Isola, l’alta percentuale di italo-americani di origine siciliana fanno sì che è migliorata la percezione della Sicilia e del prodotto regionale, tanto che diverse testate giornalistiche la indicano, sempre più, come una terra bellissima da visitare».

    Che percorsi legati all'internazionalizzazione  intende intraprendere la Regione Sicilia nei prossimi mesi?

    «La Regione Sicilia è impegnata in percorsi di internazionalizzazione sia con i fondi strutturali che con risorse regionali, anche in collaborazione con le istituzioni nazionali. Tali azioni prevedono la realizzazione di progetti di promozione all’estero destinate a imprese siciliane attraverso la partecipazione alle principali manifestazioni fieristiche internazionali (la cosiddeta azione "Po Fesr 3.4.1"). E' anche in corso l’attuazione di un’altra azione (la "Po Fesr 3.4.2") che concede contributi in regime “de minimis” alle imprese regionali che si promuovono all’estero con un progetto integrato di internazionalizzazione, finanziando i progetti fino all’80 per cento». 

    Da alcune edizioni partecipiamo regolarmente al Fancy Food Show, evento importantissimo per i prodotti agroalimentari che si svolge a New York in giugno e a San Francisco in gennaio. Quest’anno, per la prima volta, parteciperemo al più importante evento nel settore delle biotecnologie che si terrà a San Diego, per spingere questo settore strategico che ha in Sicilia rappresentanti di primo piano anche in partenariato internazionale con università americane. In collaborazione con le istituzioni nazionali vengono inoltre gestiti i programmi dedicati al vino per la promozione nei Paesi extra-Ue».

    ---

    Attendance to the "Italian Export Forum" is free-of-charge 

    January 27th  2020
    from 4.00 pm to 6.15 pm

    Please RSVP  team@youritalianhub

    NEW YORK
    SVA - School of Visual Art - SVA  - Theatre
    333 W 23rd St
    New York, New York

     

  • Facts & Stories

    Nello Musumeci "USA first market for Sicilian agri-food"

    >> Versione italiana 

    Why is it important to discuss Exporting to the US?

    “The United States represents one of the most important markets in the world, from various perspectives. On the one hand, it is an important reference for exports, but it is also an important hub for attracting investments, not to mention an example of business innovation particularly regarding innovative startups. In 2018, the region of Sicily exported about 680 million euros worth of products and services to the US, 37% more than the previous year. Speaking from a regional perspective, the US is the primary market for Sicilian food, with encouraging prospects. The year 2018 ended with a +18% for regional export (98 million euro) and the partial data for 2019 signal an additional +18% from the previous year. The recent protectionist policies, which brought the US to raise tariffs on products from certain countries, call for an additional push towards that market by by providing institutional backing and support to our businesses.”

     

     Italy has an often underrecognized secret weapon: small-to-medium businesses. How can this resource be utilized in the US?

    “Competing on international markets takes competitive products but also adequate personnel and technology. Small businesses looking to export are able to grasp more opportunities when they can work together, creating networks through associations, forming consortiums, etc. On the other hand, they are also able to be more flexible than large international players in adapting their products to market demands. The open-mindedness of Southern European populations is also an advantage, which allows them to immediately grasp shifting market trends. The increased use of digital exporting strategies along with the role of social media helps shorten distances and allows for faster exchanges with faraway countries.”

     

     What do Americans expect from Italian products, in your view? 

    “Americans associate Italy with a healthy Mediterranean lifestyle and fashion, design and luxury products. It is important to note the role played by the region of Sicily within the national food industry. Sicilian wines are increasingly recognizable partly thanks to the promotional campaigns carried out by the producers themselves -  together with extra virgin olive oil and organic products just to cite a few. The opening of wineries to enogastronomic tourism, the many UNESCO heritage sites present on our island, the high percentage of Italian-Americans with Sicilian origins are all factors that have helped to improve the perception of Sicily and of our regional products, so much so that several publications are singling it out as a most beautiful place to visit.”

     

     What are the paths that the region of Sicily plans to undertake in the coming months with regards to internationalization? 

    “The region of Sicily is involved in internationalization plans using both European funds and regional resources, sometimes in collaboration with national institutions. Such actions include the realization of foreign promotion projects to help Sicilian businesses to participate in international trade fairs (the so-called "Po Fesr 3.4.1"). The implementation of another promotional action ("Po Fesr 3.4.2") is also underway, financing projects up to 80% to regional businesses that intend to promote themselves abroad through an integrated internationalization plan.

    We have participated in the last few editions of the Summer Fancy Food Show, an extremely important event for the food industry taking place in New York and San Francisco. This year, for the first time, we will be participating in the most important biotechnology event, which will take place in San Diego, to push this strategic sector, which has first-rate representatives in Sicily who are often involved in international partnerships with American universities. We also collaborate with national institutions to manage programs dedicated to the promotion of Italian wine in non-EU countries.”

     

    Attendance to the "Italian Export Forum" is free-of-charge 

    January 27th  2020
    from 4.00 pm to 6.15 pm

    Please RSVP  team@youritalianhub

    NEW YORK
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    333 W 23rd St
    New York, New York

     

  • Fatti e Storie

    Il dovere di compiere fino in fondo il proprio dovere

    IN ENGLISH >>

    New York - Un improvviso pomeriggio di neve come quelli che solo questa città ti sa regalare. Ma non potevamo non incontrare di nuovo Pietro Grasso, ex magistrato ed ex Presidente del Senato, questo volta nel ruolo di membro della Commissione Parlamentare cosiddetta “antimafia”, che ha appena concluso una visita ufficiale negli USA.

    Non è la prima volta. Ricordiamo subito insieme il primo incontro del 2009, quando venne per commemorare  l’anniversario della morte di Joe Petrosino. Con lui c’erano Don Ciotti, il musicista Roy Paci e altri esponenti della cultura siciliana. Fu una delle mie prime “interviste eccellenti” per i-Italy, che era nata da poco ma già faceva parte dell’organizzazione di alcuni eventi e dibattiti a margine della visita di Pietro Grasso.

    Dunque, quando gli chiedo se può essere considerato, in un certo senso, “la  guida americana” in questa missione, mi sorride ricordando innanzitutto l’importante lavoro del presidente della commissione, l’on. Nicola Morra. Ma la storia del suo impegno racconta da sola.

    “Alla commissione porto prima di tutto la mia esperienza di tanti anni di magistrato, ma ne sono stato anche consulente quando ero più giovane, quando la Commissione antimafia, era presieduta da Gerardo Chiaromonte e poi Luciano Violante. Nelle mie varie funzioni ho incontrato più volte i rappresentanti governativi e istituzionali degli Stati Uniti. E’ sempre importante scambiare personalmente le informazioni, anche per aggiornare le nostre analisi sul fenomeno della criminalità organizzata. Ed io qui mi sento a mio agio."

    Nella vostra fittissima agenda, tra Washington e New York, c’era anche un incontro con il giudice Samuel Alito, uno dei 9 membri della Corte Suprema, l’unico di origine italiana. 

    “Con Alito è stato molto interessante. Ci ha raccontato le sue esperienza, mettendo anche a fuoco come la Supreme Court sia diversa dalla nostra corte Costituzionale.  Ma abbiamo anche parlato dei momenti comuni nella nostra storia professionale. Alito si era occupato di una parte del processo “Pizza connection” mentre io mi occupavo contemporaneamente del “maxi processo” contro la mafia a Palermo. E dunque entrambi abbiamo conosciuto, da diversi punti di vista, i legami tra la mafia siciliana e quella americana."

    La coincidenza tra  “Pizza Connection” e “Maxiprocesso” di Palermo fu una tappa importante di una lunga collaborazione tra l’FBI e gli investigatori antimafia italiani, fortemente voluta da Giovanni Falcone. E infatti la Commissione ha anche visitato la Base Militare di Quantico in Virginia, sede anche di uffici FBI e DEA. Lì c’è una statua di Falcone ai cui piedi avete deposto una corona di fiori...

    “Sì, sono stato a Quantico diverse volte. Ora mi interessava portare questa commissione antimafia a conoscere da vicino l’apprezzamento dell’FBI per il lavoro svolto da Giovanni Falcone. Li c’è una colonna spezzata che indica il fatto che il lavoro di Falcone venne interrotto e poi un busto adiacente all’ingresso. E’ importante. Entrando tutti gli allievi lo vedono e apprendono di una figura che ha sacrificato la sua vita in un percorso di giustizia.”

    L’attività di Falcone ha ispirato la  “Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale”, la cosiddetta Convenzione di Palermo. Fu il primo strumento giuridico a fornire le basi comuni nel contrasto al crimine organizzato e fu firmata da 188 Paesi.

    “Ero Procuratore a Palermo quando venne firmata, nel 2000. Ho partecipato alla fase preparatoria e organizzativa, anche quello è stato un proseguire l’azione di Falcone dopo la sua morte.  Dal suo assassinio nel 1992 fino alla data della firma... ci vollero 8 anni per poter mettere in campo quello che lui aveva illustrato proprio qui all’ONU.”

    Infatti ne avete parlato anche nel vostro incontro alla Rappresentanza Permanente italiana all’ONU.

    “Certo perchè è uno strumento giuridico fondamentale. E’ un trattato estremamente completo, semplice, duttile. Purtroppo non tutti gli Stati che lo sottoscrissero hanno poi adeguato la loro legislazione per poterlo attuare fino in fondo. Ma ora è partita finalmente la procedura di revisione che dovrebbe facilitarne l’attuazione. La Convenzione di Palermo è uno dei trattati multilaterali più importanti, insieme a quello sul contrasto alla corruzione e al riciclaggio.”

    All’ONU avete anche visitato l’Ufficio anti-terrorismo, il comitato anti-terrorismo del Consiglio di Sicurezza, avete avuto  incontri con UNODC, Interpol...

    “Abbiamo affrontato soprattutto il tema del finanziamento e dell’organizzazione dell’antiterrorismo. L’Italia è considerata all’avanguardia in questo campo. Sotto il profilo della prevenzione del terrorismo, siamo un punto di riferimento. Per la nostra legislazione, per la DNAA, la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, che ha un ruolo importantissimo di coordinamento; e per il Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo (CASA), che si incontra ogni settimana per uno scambio di informazioni in tempo reale.”

    Sempre al Palazzo di vetro avete visitato la mostra “L’Arte di Salvare l’Arte”, organizzata dai Carabinieri del nucleo per la protezione del patrimonio culturale insieme alla Rappresentanza permanente italiana. Perchè?

    “Sotto il profilo della commissione antimafia è  interessante perchè parecchie attività criminali sono collegate con il traffico delle opere d’arte, che sono usate come investimenti della mafia  o nel riciclaggio di capitali. 

    Ma i nostri Carabinieri hanno portato a termine una iniziativa di rilevanza mondiale: hanno creato una banca dati dove inseriscono tutte le opere rubate del mondo e che è accessibile e consultabile da tutti gli investigatori, quando si hanno dei dubbi su degli acquisti. Nella mostra all’ONU c’è anche un pezzo che viene da Palmira che a livello simbolico è molto importante. Richiama il tema delle guerre che possono distruggere l’arte, un tema purtroppo attuale”

    Cosa si porta con sé dopo questo viaggio la Commissione?

    “E’ stato molto utile. Abbiamo recuperato le fila di un discorso che risale alla “Pizza Connection” e alla guerra di mafia. Al fatto che alcuni della famiglia Inzerillo, collegati con la famiglia Gambino, si erano rifugiati  negli USA per sfuggire alla morte. Intorno al 2005-2006-2007, quando mi occupavo del processo, c’erano alcune intercettazioni da cui si apprendeva l’intenzione di farli tornare per riprendere in mano alcune attività come il traffico degli stupefacenti. Ritengo che oggi le nuove generazioni di mafiosi nate in America non siano più interessate a questo. Sono inserite in altri affari. 

    Certo ci si chiede ancora dove siano finiti gli enormi capitali di Pizza Connection... 

    “Alcuni erano in Svizzera, ma tanti non li abbiamo trovati. C’è il sospetto che il tesoro degli Inzerillo sia stato solo in parte investito, mentre un’altra parte potrebbe essere sotterrata in sacchi di juta da qualche parte. Non si fidavano delle banche!”

    Quanto e ancora attuale parlare di mafia oggi?

    “Domanda impegnativa. Il problema è che nonostante ci siano organismi come l’FBI ancora molto impegnati a monitorare il fenomeno, oggi negli USA si guarda più al terrorismo e al traffico di migranti.  Dopo l’11 settembre la lotta alla criminalità organizzata, da un punto di vista di utilizzo di risorse strategiche, ha subito un calo o sono state concentrate altrove.

    Le mafie sono meno visibili, la violenza mafiosa è meno visibile. Bisogna cercare le 'reti di sistema' tra potere amministrativo, governativo, mafioso, enti locali, imprese collegate ai fini di acquisire appalti pubblici, ci sono molte cose da controllare, anche in diverse città americane.

    In Italia e in Europa abbiamo poi ancora  il fenomeno dello “spostamento al nord” della mafia. Anche da noi la criminalità organizzata è sommersa, appare meno. La violenza si manifesta solo quando è ritenuta indispensabile. E’ una precisa strategia, che rende il fenomeno più difficile da individuare.”

    Ed i danni sono al Paese intero...

    “Il metodo mafioso  è contro la libertà dell’individuo, contro l’economia. Realizza un monopolio ed elimina le imprese legali. Crea un network di impresa da favorire che hanno i vantaggi. Gli imprenditori,  anziché subire le intimidazioni, la paura, il pagamento di tangenti, pagano e prendono i vantaggi del sistema. Sono collusi con il sistema anche se non ne fanno parte in maniera ufficiale. Non sono affiliati a Cosa nostra, ma fanno il suo gioco”

    Nella sue attività è molto vivo il “senso dello Stato”. In un momento in cui è sempre più difficile parlare di valori condivisi, soprattutto ai giovani, non pensa che forse si possa partire proprio dal Senso dello Stato?

    “Il senso del dovere e dello Stato è fondamentale, basilare. Anche in questo ho avuto la fortuna di avere come  punti di riferimento maestri come Falcone e Borsellino. C’è una frase attribuita a John Kennedy che Falcone citava spesso: “Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è in ciò che sta l'essenza della dignità umana”. 

    Falcone citava anche un’altra frase di JFK: “Gli uomini passano, le idee restano, e continuano a camminare sulle gambe di altri uomini”. La politica può avere un ruolo nel trasmettere ai giovani tutto questo? 

    "Io mi sono 'spostato in politica' continuando a cercare quello che serve per combattere l’economia criminale. Quello che non sono riuscito ad ottenere da magistrato. Ho cercato di dare il mio contributo sui temi della giustizia, dell’eguaglianza sociale, del lavoro, perché il problema della criminalità organizzata è un problema sociale. Non è solo un fenomeno criminale. Ci sono zone in cui la mafia riesce a dare lavoro, non solo lavoro criminale, ma anche lavoro nelle imprese illegali o legali camuffate. Sono certo che con più lavoro pulito i giovani sarebbero più liberi di contrastare il sistema mafioso.

    Per questo dico che mi sono ‘spostato in politica’, non che sono ‘passato alla politica’. Sono sempre alla ricerca di quei valori di legalità, libertà, verità, senso del dovere e dello stato che sono alla base della mia azione anche politica”

    Parlando di giovani con il Pietro Grasso “politico” viene spontaneo chiedere un commento sulla grande novità in termini di partecipazione oggi in Italia, il fenomeno delle “Sardine”.  Cosa ne pensa?

    “Incontro molti giovani, lo facevo  da magistrato e lo faccio da politico. E da quello che vedo mi sembra un fenomeno spontaneo e positivo, non politico in questa fase. Quando dico ‘non politico’ intendo che non è un partito, non è un movimento, ma un’esigenza delle persone di scendere in piazza per evitare così che la piazza la prendano altri. Tra di loro ci sono molte persone che non votavano più, non partecipavano, e la partecipazione è sempre positiva.”

    E’ anche una risposta concreta all’incattivirsi veicolato dai social media ...

    “Vero, Si può fare politica in senso buono, meglio se di persona invece che virtualmente, senza insultare, senza aggredire, senza violenza verbale.

    E’ apprezzabile l’apporto che le Sardine potranno dare in questo senso. Si vedrà in futuro. Certo è qualcosa che non va inquinato, cercando di tirare la giacca da una parte o dall’altra,  occorre lasciare che si sviluppi come vuole.”
     

     

     

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