Articles by: Francesca Di folco

  • Arte e Cultura

    Con il Summer Jamboree Festival Senigallia celebra i mitici anni '50 a ritmo di rock'n roll

    Si accendono i riflettori sul set del sogno anni Cinquanta che da 14 anni richiama appassionati da tutto il mondo. 

    Sabato 3 agosto a Senigallia,  in provincia di Ancona, inizia il “Summer Jamboree”, Festival

    Internazionale di Musica e Cultura dell'America anni '40 e '50 in programma fino all'11 agosto.

    Sarà una spumeggiande sferzata di eventi ad animare la cittadina nelle Marche con concerti live di swing, rhythm&blues, rockabilly. Si ballerà Jive, lindy hop, boogie, anche in spiaggia, a piedi nudi, durante l'Hawaiian party. Ci si muoverà a suon di bughi bughi...

    A Senigallia arrivano da tutta Europa appassionati dei cimeli, della musica rock'n'roll e della cultura di quel periodo: novelli Elvis Presley, seducenti pin up, Betty Boop dei giorni nostri si radunano per ritrovarsi in stand, dj set, concerti, party, cibi tipici, stage di ballo e lezioni di trucco e parrucco tutti a tema.
     

    Per l'occasione la città si trasforma, compresa la sua spiaggia di velluto, al pari di un ideale set cinematografico, facendo un salto nel passato e negli anni d'oro del rock and roll. Vestiti, scarpe, acconciature, make-up, accessori, espositori del mercatino vintage, tatuaggi e gadget, auto e moto, ogni dettaglio è in perfetto stile anni '50. 

    Leggende anni Cinquanta si possono incontrare nei locali del centro cittadino e in giro per le strade...

    Per 9 giorni si susseguiranno oltre 45 concerti live e tantissimi dj set in ogni angolo di Senigallia, busker band, dopo festival e swing dance party alla Rotonda a Mare, si alternano a occasioni di balli in stile nell'incantevole contesto dei giardini della Rocca Roveresca, Piazza del Duca e Via Carducci.
     

    La giornata di apertura, sabato 3 agosto,  è subito battezzata dall'esclusiva e prima italiana assoluta di una leggenda degli anni ruggenti del rock: Duane Eddy, direttamente da New York.

    Re della twang guitar, soprannominato dal popularity poll del britannico “New Musical Express” come “the World's outstanding musical personality”, Eddy è l'icona musicale del genere. Dietro di lui, al secondo posto della classifica popolare, addirittura scalzato dalla vetta, figura Elvis.

    Il nome di Duane Eddy è legato alla twang guitar che ha lasciato tracce udibili in tutta la storia della musica. Basti pensare alla twangy guitar di Bruce Springsteen in “Born to run” o alle eco twangy che si rintracciano in canzoni dei Beatles, George Harrison e Paul McCarthney sono suoi grandi fan e l'hanno coinvolto in diversi progetti e incisioni alla fine degli anni Ottanta, dei Creedence Clearwater Revival, Chris Isaak tra gli altri. 
     

    Duane Eddy fu infatti il primo a inserire il riverbero nel rock and roll: quel suono basso lavorato allora con le prime tecnologie dell'elettrica, ottenuto attraverso il picking sulle corde basse di una Gretsch, che con l'utilizzo del tremolo e di un effetto eco, divenne il suo marchio di fabbrica, oltreché quello della generazione a seguire.

    Chissà quante volte ci sarà capitato di ascoltare lo stesso riverbero in “Rebel Rouser” in cui corrono anche i fotogrammi del film “Forrest Gump”...

    Way of music, artistic style, creative mood che hanno il sapore del wild west e l'immage delle frontiere del rock and roll...
     

    Gli artisti che animeranno questa edizione arrivano dagli Stati Uniti, così come da tutta l'Europa, per una scorpacciata di rock and roll, swing, rhythm 'n'n blues, rockabilly, doo wop. Tra gli altri i Paladins, Ray Gelato, Deke Dickerson, Bricats, Junior Watson e la all star band dei Big Six attesa per il Rock on the Hills il 5 agosto, l'appuntamento in trasferta del Festival, che porta i fan in uno dei borghi più belli d'Italia, a pochi km da Senigallia nel suo entroterra, ovvero Corinaldo. Tante le presenze al femminile tra cui The Ranch Girls, Miss T and the Mad Tubes, Ladyvette. 

    Palco al femminile anche nella notte del 9 agosto per il Burlesque Show and Cabaret al Mamamia, che ospita tre performer internazionali, tra cui la sensualissima LouLou D'Vil, incoronata Miss Exotic World 2013 a Las Vegas. Sarà lei a condurre, il giorno successivo, lo speciale workshop per imparare l'arte della seduzione in stile. Ci si sposterà tutti sul lungomare all'Acquapazza per l'immancabile Big Hawaiian Party on the beach, nella giornata del 7 agosto, ma anche in quella dell'8.

    Quest'anno infatti l'appuntamento in spiaggia raddoppia per la gioia dei fan e di quegli artisti che anno dopo anno restano incantati dall'atmosfera, paragonando la spiaggia satinata alla famosa isola del Pacifico. Sul palco in entrambe le serate ci saranno Greg, Max Paiella e i Jolly Rockers, oltre a diverse altre band. 
    Decine di artisti si alterneranno nella stessa notte per il travolgente Rock and Roll Show del 10 agosto, con il supporto puntuale e magnetico della big band di 22 elementi, la Abbey Town Jump Orchestra. Per partecipare a questo evento e esibirsi nella staffetta di artisti, ci arrivano anche appositamente, come nel caso di Dionna Dal Monte, superospite l'anno scorso e innamorata del Festival. 

    Per chi sente il richiamo dei ritmi Jamboree e desidera buttarsi in pista a ballare durante i concerti o nei dopofestival notturni, ci sono tutti i giorni le lezioni gratuite dalle 18 alle 19 all'UniCredit Stage oppure il Dance Camp. Tre giornate, 9, 10 e 11 agosto, per apprendere diverse specialità di ballo dell'epoca direttamente da docenti esperti, professionisti e campioni internazionali.
     

    Tra le tante iniziative e i tanti momenti che daranno vita alla “hottest rockin' holiday on earth” ci sono anche un omaggio al grande uomo in nero con una prestigiosa mostra in arrivo da Bologna: “Johnny Cash: we are all men in black”. La mostra, allestita a Palazzetto Baviera - Sala del Fico, raccoglie scatti unici realizzati da Jim Marshall, fotografo ufficiale e amico di Cash; e poi presentazioni di libri a tema, come nel caso di Op op trotta cavallino. Epopea dello swing italiano di Tiziano Tarli (Armando Curcio Editore), di cui parleranno l'autore e l'esperto Dario Salvatori nel pomeriggio del 9 agosto. Il Festival punta infatti a proporre accanto alle occasioni di musica, anche occasioni di approfondimento di una cultura e di un'epoca i cui riflessi sono tangibili anche oggi.

    A coronamento del tutto, ci sono il Rocking Village, il park di auto d'epoca con sfilata finale, il ristorante Cajun e Tex Mex dove gustare i sapori forti dell'America multietnica a cui quest’anno si aggiungerà lo spazio di Via Carducci. 

    Specializzati in modernariato e memorabilia sono gli espositori del grande Mercatino Vintage dove trovare oggetti anche da collezione. Per chi lo desidera, ci sono la parrucchieria old style quest’anno firmata da L’Oreal, sponsor del Festival e l'ormai immancabile “Travel Ink Tatooes”, lo studio mobile di Greg Gregory per tatuaggi dentro un magnifico Airstream d’epoca in perfetto stile Fifties. 

    Tra le iniziative riconfermate c'è anche il “Progetto Palloncino” in collaborazione con la Lega del Filo d'Oro onlus, Partner Etico del “Summer Jamboree” per il secondo anno consecutivo.

    A presentare le tante meraviglie del Festival quest'anno ci sarà Grace Hall, "la regina italiana del Burlesque", mentre a sostenere il ritmo e l'energia di diversi artisti solisti sul palco principale, ci sarà una backin' band eccezionale, quella dei Good Fellas che si conferma la house band del Festival, a garanzia di baldoria.

    Insomma dopo questa costellazione di eventi italo-americani non resta che statenarsi in balli calamboleschi e gustare il ritorno degli sprint del sound targato anni '50...
     

  • L'altra Italia

    Il vento di Sardegna soffia sulla Ostar

    Vento di Sardegna ha impiegato 17 giorni, 10 ore e 22 minuti mantenendo una media di circa 7 nodi.

    Lo skipper cagliaritano Andrea Mura è il primo italiano ad aggiudicarsi l'edizione 2013 della Ostar "Original Singlehanded Trans-Alantic Race", organizzata dal "Royal Western Yacht Club", a bordo del suo monoscafo Open Felci 50.
     

    Nel 2005 Ciccio Manzoli aveva vinto con un multiscafo mentre Giovanni Soldini continua a detenere il miglior tempo di traversata con un gigante del mare di oltre 50 piedi. 

    Quando in Italia era notte fonda il suo Vento di Sardegna ha messo la prua oltre la “line honours” della Ostar, la storica traversata atlantica per navigatori che affrontano in solitario le 3.000 miglia che separano la linea di partenza a Plymouth, nell’Inghilterra del sud, dalla linea d’arrivo a Rhode Island, con New York sullo sfondo.

    La lunghissima giornata del Vento di Sardegna Day era iniziata all'alba, con Andrea che giungeva nella punta più a sud di New York da Newport, dopo una navigazione notturna passando all'interno di Long Island ed entrando a Manhattan dall'East River per poi girare sull'Hudson River facendosi largo nel North Cove.

    Nella notte americana Vento di Sardegna ha trovato una calda accoglienza da parte degli appassionati nostrani e newyorkesi e Mura, all'arrivo, ha improvvisato un'impavesata con il Tricolore e la bandiera sarda dei Quattro Mori a poppa della barca che hanno brillato nella punta di South Manhattan, davanti alla Statua della Libertà...

    "Ladies & gentlemen, the winner of the Ostar, transatlantic solo crossing, Andrea Mura and his futuristic boat Vento di Sardegna " sè  gridato a gran voce...

    Il momento clou della giornata è stato alle 18,30 quando Andrea, chiamato a gran voce dai nostri microfoni sistemati sul tettuccio di Arabella, è uscito fuori da Vento di Sardegna parcheggiata di fianco al grande veliero carico di ospiti, ha scavalcato i parabordi ed ha raggiunto il palchetto  tra gli applausi e gli 'high five' del fortunato pubblico su Arabella e le altre centinaia di newyorchesi che seguivano divertite dalla banchina.
     

    A celebrare la vittoria italo-sarda organizzata dal prestigioso Manhattan Yacht Club davvero tanti nomi istituzionali: oltre al benvenuto da parte di  Michael Fortenbaugh, Commodore del Manhattan Yacht Club e della North Cove Marina, al saluto del Cav. Mico Licastro Delegatodel Coni per gli USA, hanno voluto esserci ai festeggiamenti  il Console Generale, Ministro Plenipotenziario, Natalia Quintavalle, accompagnata dal Console aggiunto Lucia Pasqualini, l' Ambasciatore Italiano all'Onu Cesare Maria Ragaglini, grande appassionato di vela,  Eugene Nardelli membro della Corte d'Appello dello Stato di New York, il Direttore dell'ENIT Eugenio Magnani, il presidente della Conferenza dei Presidenti delle Maggiori Organizzazioni Italo-Americane, Joe Sciame.


    Un modo per far avvertire l'importanza per le imprese sportive nostrane dal fiorte sapore identitario...

     

    La carriera del velista sardo, 48 anni, si intreccia da oltre 40 con la passione per la vela...


    I successi a bordo del suo Open Felci 50 hanno odore di leggenda...

    Otto anni di squadra nazionale, dieci titoli italiani in varie classi, due titoli Europei, due campagne olimpiche la prima gareggiata nell'84 e la seconda nell'88, una Tornado nel 2004, la Vela d’Altura e  due titoli Mondiali Coppa America e 50 foot...


    Conquiste che parlano da sole e proiettano Andrea Mura nell'Olimpo delle regate stargate Usa...

    Con una Coppa America come randista de “Il Moro Di Venezia” nel ‘92, è primo italiano a scrivere il suo nome nell’albo d’oro della Route du Rhum nel 2010, le imprese d'oltreoceano continuano aggiudicandosi il 1° posto con la Twostar 2012, Two Handed Transatlantic Race da Plymouth in UK a Newport negli Usa sia in reale che in compensato insieme a Riccardo Apolloni, stabilendo un nuovo record assoluto di traversata dell’Atlantico da Est verso Ovest in 13 giorni 12 ore e 47 minuti.

    L'inarrestabile Mura prosegue i suoi attracchi vittoriosi anche a brevissima distanza l'uno dall'altro:  ad un mese di distanza organizza e vince la è 1° alla Québec – S. Malò abbassando il precedente record di circa 25 ore stabilito nel 2004 da Giovanni Soldini, stabilendone uno nuovo di traversata in 11 giorni 15 ore e 59 minuti... 

    La prossima sfida è l'appuntamento del Fastnet... Chissà cosa riservà il mare a questo indomito moderno Cristoforo Colombo!

  • Fatti e Storie

    L'universo americano di Cesare Pavese

    Herman Melville, Walt Whitman, Sherwood Anderson, Sinclair Lewis, O. Henry e alla lista si aggiunga anche l’irlandese Joyce, sono solo alcuni degli autori americani che Cesare Pavese ebbe la bravura di tradurre nella sua carriera. 

      

    Moltissimi altri come Hemingway, Lee Masters, Cummings, Lowell, e la Stein furono analizzati dal nostro perché ritenuti pietre miliari, pilastri fondanti, radici vive permeate della cultura e perpetranti nella letteratuta americana...

    Studi che Pavese approfondì fino a divenire membro del comitato direttivo della rivista "La Cultura", per cui scrisse il primo saggio sull'autore di BabbittSinclair Lewis, iniziando così la serie detta "Americana".

    Al 686 di Park Avenue, sede dell’Istituto Italiano di Cultura, la prof.ssa Francesca Parmeggiani, docente presso la Fordham University nel Bronx, ci ha condotto lungo un viaggio affascinante nella vita di scrittore, traduttore ed insegnante di Pavese e fra le opere più rilevanti tra cui spicca quella che da il titolo all’incontro, La luna e i falò.

     

    L'interesse di Pavese per il mondo americano nasce presto: già negli anni dello studio universitario tra il 1926 e il 1930 infatti il futuro scrittore predilige film d’avventura americani, si distingue come intenditore dell'arte di attori, attrici, registi fino ad arrivare a scegliere come tesi di laurea, l'analisi della poesia di Walt Whitman.
     

    Sempre in quegli anni inizia la sua attività di traduttore: tra gli scrittori americani il prediletto era Herman Melville di cui, per un compenso di 1000 lire, tradusse Moby Dick.
     

    Nel 1931 a Firenze vede la luce la sua prima traduzione con relativa recensione: si tratta del romanzo "Il nostro signor Wrenn" di Sinclair Lewis, primo autore americano ad avere ottenuto il premio Nobel nel '30.

    Fu la volta di "Riso nero" di Sherwood Anderson per il quale scrisse un saggio e ancora de "La Cultura", poi di un articolo sull'Antologia di Spoon River, uno su Melville e uno su O. Henry.

    Nel 1933 tradusse Il 42º parallelo di John Dos Passos e The Portrait of the Artist as a Young Man di James Joyce.

    Francesca Parleggiani ci racconta di una febbrile attività del Pavese traduttore...

    Il mestiere di traduttore ha una grande importanza non solo nella vita di Pavese, per ciò che concerne la sua crescita in ambito letterario, ma per tutta la cultura tanto da aprire uno spiraglio ad un periodo nuovo nella narrativa italiana.

    Nei primi due articoli di recensione alle opere di Lewis e Anderson risulta chiara la ricerca di Pavese: nel primo, infatti, lo scrittore pone in rilievo quelli che ritiene i due meriti più grandi di Lewis, cioè la provincializzazione dei personaggi e l'utilizzazione della nuova lingua americana, lo slang e pone l'enfasi sulla ricerca della provincia, innesto della lingua parlata nella scritta, rottura con la tradizione accademica nazionale. 

    Nel secondo lavoro su Anderson Pavese propone un parallelismo fra l'Italia e l'America, nel senso che ciò che gli italiani, e soprattutto i piemontesi, hanno tentato invano di fare, cioè raggiungere l'universale attraverso la scoperta e l’approfondimento dei caratteri regionali, gli scrittori americani sono già riusciti a metterlo in atto.

    Pavese afferma che nei romanzi americani è indicata la via da seguire anche per i letterati italiani...

    Dall'amore per la traduzione a quello per sfumature e gherghi ben definiti...

    L'analisi su Pavese si fa sempre più speculare e minuziosa specificando l'enfasi che l'autore pose  sullo slang... 

     

    L'aspetto più innovativo è l'introduzione nei romanzi proprio dello slang che risulta elemento unificante dal punto di vista linguistico, poiché era "la lingua volgare parlata da tutti in contrasto con l'inglese colto e aulico insegnato nelle scuole". Il lavoro di ricerca linguistica portato avanti dagli scrittori americani si era rivelato ben più proficuo di quello intrapreso dall'Italia, dove la grande frammentarietà dei dialetti ostacolava l'utilizzo di un linguaggio quotidiano comprensibile a tutti.

    Ad un amico italoamericano, Antonio Chiuminatto, Pavese scrisse: "Ora io credo che lo slang non è una lingua distinta dall'inglese come per esempio il piemontese dal toscano... Lei dice: questa parola è slang e quest'altra è classica. Ma lo slang è forse altra cosa che il tronco delle nuove parole ed espressioni inglesi, continuamente formate dalla gente che vive, come lingue di tutti i tempi? Voglio dire, non c'è una linea che possa essere tracciata tra le parole inglesi e quelle dello slang come tra due lingue diverse..."

     

    Dalla critica letteraria ora il piano della lectio magistralis ora si sposta sulle opere di Pavese concentrandosi su una in particolare La luna e i falò...

     

    Il romanzo si apre con le riflessioni del narratore e protagonista, Anguilla, che, nelle vesti di io-narrante, spiega le ragioni del suo ritorno nelle Langhe piemontesi dall’America, ripercorrendo la storia della sua vita, dal momento in cui la madre lo ha abbandonato sugli scalini del duomo di Alba. Il ritorno diviene fonte di ricognizione della propria infanzia, alla ricerca costante di radici e delle proprie origini.

     

    Questi due temi nodali de La luna e i falò, il mito delle origini e l’infanzia, sono la chiave per comprendere a fondo la narrativa di Pavese, ma il desiderio di rincongiungersi alla propria fanciullezza viene ostacolato dallo scorrere del tempo, che allontana sempre di più l’uomo da questa età felice. Il ritorno quindi diventa un confronto inevitabile con i cambiamenti subiti dalla realtà:

    “Dalla straduccia che segue il Belbo arrivai alla spalliera del piccolo ponte e al canneto. Vidi sul ciglione la parte del casotto di grosse pietre annerite, il fico storto, la finestretta vuota, e pensavo a quegli inverni terribili. Ma intorno gli alberi e la terra erano cambiati. la macchia di noccioli sparita, ridotta a una stoppia di meliga [...] Non mi ero aspettato di non trovare più i noccioli. Voleva dire che era tutto finito [...] mi faceva l’effetto di quelle stanze di città dove si affitta, si vive un giorno o degli anni, e poi quando si trasloca restano gusci vuoti, disponibili, morti".

     

    Ma questo ritorno porta Anguilla anche ad interrogarsi sulla sua condizione di orfano e sulle sue origini, ciò che la sua riflessione evidenzia è l’assenza di un luogo natale, a cui sentirsi attaccato:

    “Qui non ci sono nato, è quasi certo; dove son nato non lo so; non c’è da queste parti una casa né un pezzo di terra né delle ossa ch’io possa dire ‘Ecco cos’ero prima di nascere’ [...] chi può dire di che carne sono fatto? Ho girato abbastanza il mondo da sapere che tutte le carni sono buone e si equivalgono, ma è per questo che uno si stanca e cerca di mettere radici, di farsi terra e paese, perché la sua carne valga e duri qualcosa di più che un comune giro di stagione”.

     

    Il protagonista sembra sentire il bisogno di identificarsi in un luogo, ma dall’altra sente anche il desiderio della scoperta e della novità, come afferma il protagonista stesso:

    “C’è qualcosa che non mi capacita. Qui tutti hanno in mente che sono tornato per comprarmi una casa, e mi chiamano l’Americano, mi fanno vedere le figlie. Per uno che è partito senza nemmeno averci un nome, dovrebbe piacermi, e infatti mi piace. Ma non basta. Mi piace anche Genova, mi piace sapere che il mondo è rotondo e avere un piede sulle passerelle”.

     

    Ed è in questa celebre frase che Pavese riesce a riassumere la natura contraddittoria di Anguilla, che rappresenta l’alter ego dell’autore, tra il desiderio irrealizzabile di ritorno alle origini e il bisogno di novità e cambiamento:

    "Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti".

    Parallelismi con lo stile americano? La Prof.essa Parmeggiani ne scorge davvero tanti...

    Il linguaggio di periodi brevi, asciutti, dalla semplicità solo apparente, certamente affini alle scelte linguistiche della letteratura americana, conduce Pavese ad una scrittura "epica e solenne" che risente del legame con la tradizione classica italiana.

    Eppure questa similarita' di stile conduce ad una fondamentale differenza di situazioni storiche: se il problema degli autori americani era quello di dare un linguaggio, una maturità nuova all'America del loro tempo, una nazione in cerca di se stessa, di un Paese alla ricerca di una sua tradizione, Pavese invece aveva saldamente questa tradizione, e talvolta in maniera opprimente, alle spalle.

     

    In possesso di una perfezione formale di tradizione, il suo problema artistico non era quello di inventare, sotto diverse e più contemporanee forme, questa tradizione, ma di inserirsi in essa, di ripeterla nella propria vicenda. Nel linguaggio non poteva contare su quel fortissimo organismo linguistico che è lo slang americano, una sorta di parlata media estesa per tutto il gran corpo della nazione, ma si ritrovava, come Verga, alle spalle una ufficialità letteraria e negli antipodi la realtà viva della tradizione locale e dialettale.

  • Art & Culture

    Empire State. Art in New York Today

    Michele Abeles, Uri Aran, Darren Bader, Antoine Catala, Moyra Davey, Keith Edmier, LaToya Ruby Frazier, Dan Graham, Renée Green, Wade Guyton, Shadi Habib Allah, Jeff Koons, Nate Lowman, Danny McDonald, Bjarne Melgaard, John Miller, Takeshi Murata, Virginia Overton, Joyce Pensato, Adrian Piper, Rob Pruitt, R. H. Quaytman, Tabor Robak, Julian Schnabel, Ryan Sullivan. 

    Empire State. Arte a New York oggi”, Empire State. New York Art Now,  is an exhibition organized by Alex Gaterfeld  MOCA Museum North Miami curator and co-curated with Norman Rosenthal, former exhibitions secretary of the Royal Academy of Arts in London, that asks how artists might reimagine urban life, and how the city of New York might continue to be a site of contestation.

    Bringing together an intergenerational selection of artists from the city’s five boroughs and related suburban and exurban regions, the exhibition includes works that meditate on the city as a means of distributing power. It comes at a crucial time, when people are anxiously reassessing the political, cultural and economic role of the United States in world affairs.

    Here, contemporary art is a tool to reflect on the media pervasive in today’s cities.
    The title “Empire State” references, among many other things, Empire—Antonio Negri and Michael Hardt’s 2000 treatise on global, American-led capitalism—and Jay-Z and Alicia Keys’s 2009 boosterish song, “Empire State of Mind”. 

    "The exhibit follows 20 years of the re-urbanization of the Western world after a half century of suburbanization," Gartenfeld says. "It asks, ‘How are artists approaching living in a city that is constantly redefining the way we see the world?' "

    Contemporary art, like the city of New York, has seen massive growth over the past five decades. This rapid development has manifested new possibilities for visual artists, but simultaneously forced the reevaluation of traditionally critical strategies.

    The artists in “Empire State” are grounded in institutional critique and studies of media and economics, but above all, they engage technology and abstraction to present new models of subjectivity. Dan Graham’s mirrored pavilions combine minimalist art and architecture to reflect and double the human form, while Jeff Koons’s new “Antiquity” works manifest the artist’s mythical pursuits, but also the incredible technical force harnessed to produce them.

    As the art community contends with its new, near-industrial scale, artists in New York must question the conventions that define their social networks. Beyond merely documenting historical genealogies of artists, “Empire State” proposes new connections.

    For the first time, R. H. Quaytman will show as a group her portraits of New York artists. A net artist like Tabor Robak, whose work primarily circulates online and asks fundamental questions about how we define and privilege the art-world community, will be presented for the first time in an international context.

    Artists in New York often manipulate their authorship through collectives, and a significant number of artists in “Empire State” have been involved in such groups, among them Orchard, Reena Spaulings, 179 Canal, and Art Club 2000. 

  • Arte e Cultura

    Empire State. L'Arte targata New York approda a Roma tra kitsch e old fashion...

    Tramite la pittura, la scultura, la fotografia, i video e le installazioni, gli artisti di "Empire State" esaminano il ruolo di New York nel contesto globale, in un momento in cui la vita urbana è ovunque oggetto di una ridefinizione sempre più veloce.

    Dal 23 aprile e fino al 21 luglio 2013, ha aperto i battenti al Palazzo delle Esposizioni nella Capitale del Belpaese, "Empire State. Arte a New York oggi", art-exhibition concepita da Alex Gartenfeld scrittore, editor online e art director indipendente  newyorkese, nominato quest’anno curatore presso il MoCA Museum of Contemporary Art di Miami e dal critico britannico Norman Rosenthal.

    Kermesse d'arte intergenerazionale dal carattere ambizioso, Empire State punta i riflettori e porge all'attenzione critica del pubblico le opere di venticinque artisti newyorkesi, tra emergenti e affermati: il lavoro di ciascuno emerge con taglio approfondito,  piglio risoluto, ed è valorizzato da una sferzante sequenza di opere inedite, che nella location di via Nazionale sono alla loro prima esposizione.

    Da cosa ha origine il titolo dell'exhibition? E' presto detto, ma la risposta, per nulla univoca, porta con sé sfaccettature multiformi...


     Il particolare appellativo fa riferimento da un lato all’inno hip-hop creato nel 2009 dal re del rap Jay-Z con la musicista Alicia Keys e dall’altro a Empire, un trattato sul capitalismo globale guidato dagli Stati Uniti, pubblicato nel 2000 da Antonio Negri, filosofo, intellettuale e politico italiano e Michael Hardt. 
     
    Non basta, Empire State può essere considerata la risposta del XXI secolo al celebre ciclo pittorico "The Course of Empire" di Thomas Cole, artista americano nato in Inghilterra. Realizzate a New York tra il 1833 e il 1836, le imponenti tele di Cole raffigurano l’ascesa e il declino di una città immaginaria situata, proprio come Manhattan, alla foce di un bacino fluviale.

    Con queste premesse a metá tra le tele pseudo immaginarie, che hanno tanto di reale di Cole, il sound in bianco nero targate A-Jay e Alice Keys, il nostro Think Tank fluttua anche tra il filosofico, il commento critico ed il pensiero impegnato partorito da Antonio Negri e, librandosi in alto, possiamo solo immaginare il mix di State of Mind che ci attende... 

    Ci addentriamo in Empire State...

    L'impressione che si ha muovendoci fra painting e stampe è quella di un'exhibition capace di dar vita ad un'allegoria illustrativa per svelare trasformazioni socio-economiche degli Stati Uniti, le loro ripercussioni sulle distribuzioni di ruoli, la fiducia in sé e l'impatto del potere nella nazione.

    L’Empire State Building, un tempo il grattacielo più alto del mondo, è ancora un’attrazione turistica, ma oggi la sua mole sembra piccola in confronto ai mega edifici costruiti nei centri urbani in rapida espansione in remoti angoli del mondo.

    Metafora degli andamenti altalenanti delle philosophy of life? Forse...

    Davvero tanti gli artisti presenti in mostra: Michele Abeles, Uri Aran, Darren Bader, Antoine Catala, Moyra Davey, Keith Edmier, LaToya Ruby Frazier, Dan Graham, Renée Green, Wade Guyton, Shadi Habib Allah, Jeff Koons, Nate Lowman, Daniel McDonald, Bjarne Melgaard, John Miller, Takeshi Murata, Virginia Overton, Joyce Pensato, Adrian Piper, Rob Pruitt, R. H. Quaytman, Tabor Robak, Julian Schnabel e Ryan Sullivan. 

    Ci muoviamo tra l'americanità dei padiglioni a specchio di Dan Graham che gettano un ponte tra arte minimalista e architettura per riflettere e moltiplicare la forma umana...

    Scrutiamo i tredici nuovi dipinti della serie "Antiquity", dove Jeff Koons utilizza la tecnica per manifestare il proprio interesse nei confronti del classicismo e della mitologia greca e romana nello sfondo newyorkese...

    Le nuove fotografie di Michele Abeles includono le sue vedute di installazioni, in un costante processo di revisione e adeguamento al contesto della propria autobiografia che trasuda origini Usa.

    Ed eccoci a rimirar vecchie stampe di una stazione allo stesso tempo pietra-miliare, base, fondamenta, pilastro portante dell'archittettura newyorkese, dove l'ingegneria fa rima con la mitologia del viaggio a Manhattan: Penn Station...

    Per una nuova e singolare opera su commissione, Keith Edmier reinventa il monumentale baldacchino barocco della basilica di San Pietro seguendo il linguaggio vernacolare dell’antica Pennsylvania Station.

    Progettata da McKim, Mead & White e realizzata nel 1910, all’apice della rivoluzione industriale americana, la Penn Station d'epoca era un capolavoro di architettura neoclassica d’impronta romana che, ispirata alle terme di Caracalla, attestava il ruolo di New York quale capitale culturale e commerciale del Nuovo Mondo. Demolita nel '63, al culmine della smania newyorkese per la "modernità", fu sostituita dall'attuale costruzione definita dai più "anonima e scomposta", ma lascia ben impresso il ricordo della stazione nell’immaginario collettivo come la testimonianza perduta di un impero, Empire, per l'appunto, passato e futuro.

    Artists di stanza nella Mela ci consegnano una metropoli dove immagini e simboli diventano icone universali: le loro opere d'arte visive prendono vita cos'ì in un laboratorio fotonico, articolandosi lungo un percorso di mutamenti a 360 gradi e trasformazioni eclettiche, per capire come nasce un’idea, cambiare prospettive e point of view, rovesciare le situazioni e creare relazioni inedite...

    Gli occhi degli artisti capovolgono e stravolgono il mondo, insegnandoci a pensare al contrario...
     

    Nel suo percorso espositivo la rassegna suggerisce i diversi modi in cui è possibile per gli artisti re-immaginare il rapporto tra la loro Comunità e la City, focalizzando l’attenzione sulle eterogenee reti di potere che ne condizionano la vita, in un eterno andirivieni di up and down, dandone una chiave interpretativa non sempre positiva.

    Nell'addentrarci in Empire notiamo subito che i quadri ritraggono source of life, linfa creativa, insight artistici insiti nella Grande Mela, eppure allo stesso tempo ne segnano battute d'arresto, limiti e incetezze vere o presunte

    "Manhattan è un accumulo di possibili disastri che non avvengono mai", ha scritto il celebre architetto e teorico Rem Koolhaas, "su New York si abbattono  a cadenza più o meno regolare ed altalenante previsioni, stime e ipotesi tra le più nefaste: la leggenda più diffusa è  quella di un possibile pseudo declino artistico, la sua eclisse creativa".

    Nell’era della globalizzazione, mentre gli esperti ne annunciano incomprensioni di stili, fraintendimenti di generi, scambiati per decadenze,  Empire State ci racconta come la Comunità d'arte della Mela ammetta qualche defaiance dettata da commistioni convulse di lavori, ma rimane pur sempre una forza egemone delle arti visive, un autentico shake di dialogo-interazione con la più eterogenea concentrazione di musei, enti, organizzazioni, gallerie, fondazioni e spazi pubblici, un moto continuo e costante di empatie artistiche che si nutrono dell'anima della City, la interpretano a dovere, sviscerandone emozioni, sensazioni, stati d'animo, sviluppando un che di simbiotico...

    Mahnattan-Empire State, è l'araba Fenice del terzo millennio che risorge sempre dalle sue ceneri...

    Girovagando nei meandri della esposizione l'impressione che abbiamo è che da Empire State scaturisca una genealogia di artisti...

    Dovendo confrontarsi con un mondo dell’arte che assume sempre più una dimensione imprenditoriale e si espande a livello globale come una novella Torre di Babele in odore di Bisanzio, gli artisti attivano una serie di reti in perenne movimento: relazioni, collaborazioni e scambi che vanno al di là delle barriere imposte dalla generazione, dal genere, dall’ottica o dalla tecnica individuale.

    Così, R. H. Quaytman propone una nuova selezione dei suoi ritratti di artisti newyorkesi, espressione visiva dell’atto del lavorare in rete e dell’invisibile disegno tracciato dal potere e dallo scambio...

    L'exhibition presenta, per la prima volta in un contesto internazionale, l’opera di Tabor Robak, la cui arte circola principalmente in rete e solleva domande fondamentali sul nostro modo di definire la comunità internazionale dell’arte e sui suoi privilegi.

    Gli artisti di New York non sono nuovi alla manipolazione dell’autorialità attraverso i collettivi: un numero significativo di quelli presenti in "Empire State" sono stati coinvolti in gruppi come Orchard, Reena Spaulings, 179 Canal e Art Club 2000.

    Dall’interno di questa struttura socio-creativa, gli artisti di “Empire State” aprono spazi di potere e portano alla luce alcuni dei canali attraverso i quali la marea di comunicazione, immaginazione e persuasione fluisce all’interno della loro Comunità per poi defluire nel mondo esterno attraverso la presa di coscienza di movimenti di pensiero, scambi culturali, emergere di ideologie sociali...

    Empire State scandisce così rilevanze ed enfasi di intrecci tra arte & indole politica...

  • Facts & Stories

    The Women Workers' War. An Italian docu-film wins Workers Unite Film Festival

    "Italy is a democratic republic founded on work.

    Sovereignty belongs to the people and is exercised in the manner and within the limits of the Constitution. »

    Article 1 of the Italian Constitution

    It must have been the solemnity of Article 1 to spy out Rosa Giancola, former workers, working in the factory of the pontine Tacconi Sud, when she chose to have it transcribed on her bare back ...

    As to mark the principles of which she felt cheated, to mark those ideals remained unfulfilled, to forge symbolically jokes that, although part of the cornerstones of our Constitution, all too often are not respected ...

    And 'the striking intensity, the disruptive force, the Power Workers' dignity, the souls of all of us workers  transform the history of the Tacconi Sud the precariousness of the layoffs, the nightmare of closure and layoffs, the hell of not -work in a docu-film reality able to shine the spotlight on the situation of use Italian to win the United Workers Film Festival in Manhattan.

    On stage at the Village Cinema Greenwich, in the district, at the awards ceremony on 20 May rose the director Massimo Ferrari and authors Gaia Capurso and Maurizio Di Loreti who worked for MaGa Production in association with Thalia Group.

    A documentary that describes true and moving stories that are capable of bringing

    important aspects of our time to light. Stories where the main players are women and

    their relationship with their work, because by talking about work we are talking about

    the human and civil conditions that we experience.
     

    It's the story of two women; we could say that both are very special women in their own

    field, women who have acted in a personal and virtuous way during the economic and

    moral crisis that we are experiencing.
     

    The first is Rosa and she is a factory worker at “Tacconi Sud” in Latina. 
    She lead 28 of her colleagues in an active and civil resistance; occupying the factory 565 days after receiving letters of redundancy. 

    The Women Workers' War filmed the lives of these women from inside the factory; keeping the company alive and looking after it being their unique way of resistance, a company that was practically abandoned by its owners. 

    Rosa kept a diary of this occupation on Facebook, a diary that is rich in reflections and thoughts, a sort of logbook from the Titanic in which they seemed to be sailing over the last few years. For this reason Rosa has received honours in the news and has been invited onto a number of Italian TV shows to talk about her experiences and the occupation that has been

    continuing for more than a year.
     

    The other special woman is Margherita, business woman and owner of the biscuit

    factory Dogliani of Carrara, who decided to use a different entrepreneurial model

    based on a civil relationship with employees who have the possibility of participating

    in cultural workshops and the organisation of a festival that has been held in the factory

    car park for 6 years.

    This festival involves actors, philosophers and writers who discuss a different theme each year, the most recent was that of “wishes”.
     

    “This factory makes cakes and produces thoughts” says the slogan written on the

    entrance of the building; a slogan that clearly summarises Margherita’s goal.
     

    These two women meet, they meet each other first on Facebook where Margherita

    was able to read and appreciate Rosa’s diary and then each one visits the factory of

    the other with the resulting reflections and sensations.

    The story of Rosa and her colleagues begins with the lines of a diary, written at night,

    right from the heart of the defence and of an emergency that is evidently a national one.
     

    "My name is Rosa Giancola, I’m a Tacconi Sud factory worker. This is the

    second night of defence inside the factory. The first was a sleepless night

    with one eye always on the gate in case of a forced evacuation.

    My colleagues are here with me, one of them is talking to her youngest

    son and she knows, as only a mother does, how to explain to her son that

    “mummy isn’t sleeping at home tonight”. They say goodnight to each

    other on the telephone. We hadn’t ever heard our factory at night: a

    surreal silence takes over the place where we have worked and shared

    our lives every day for 19 years. We are here in the hope that this gesture

    overcomes the obliviousness and arrogance of our employer in the face

    of his personal responsibilities! We are here in the hope of not being

    forgotten (…)

    Rosa Emilia Giancola, factory worker Tacconi Sud, Latina (20 January 2011)
     
     

    Words that seem to have come from onboard the Titanic, written from the occupied cabin on a transatlantic “that they told me couldn’t sink…”

    What Tacconi Sud is not only the story of a garrison: as with all human endeavors is transformed into the dynamics of life that intertwine leaving room for comparisons, debates, exchange of ideas among the workers themselves who become companions of life, forging their own existences, sisters condividenti the same battle that became a source of human growth, personal and intimate ...

     

    Women also are able to empathize with each other and create mutual compaggini defensive, even in unexpected areas ... And among male and female workers lit it goes even beyond the gender differences, there is no longer the antithesis of man and woman ...

    Operate, collaborate, join forces to deal with layoffs, layoffs, crises and economic recessions, alters the discrepancies related to the dichotomy that sees owners of leadership roles oppose to workers ...

    Because when the dynamics of employment are working to improve the lives of workers between them and the Masters, there are more differences, but similarities of views for the construction of a common good called WORK ...

    That's one of the factories is a microcosm in the macrocosm, immersive worlds, sectors and areas of application related to problems, universes that share similar needs, parallel reality of companies that are close in adversity: 550 days in the defense of Tacconi Sud attract the attention of another woman, seemingly ideologically and professionally far away ...
     

    Some people dance, some argue but from the occupied cabin the iceberg seems clear. So we decided to try and visit this Titanic, starting with the eyes of the women who are watching the sun go down on an era without seeing light on the horizon from the inside of a closed factory. (…) A flexible world, more liberalistic than free, full of puppeteers, courtesans of every type, all of them busy “resisting” in their arrogance,

    sitting comfortably with their bums gilded on the low hum of the

    desperation of many.
     

    This noisy and indecent porno dictatorship makes me prefer the silence of this courtyard, the department with the rocks in a line on the machines, the dressing rooms empty, the lockers with our names, all this has been our lives for 20 years.

    Here time passes in a different way, we are here to manage it because we

    don’t have anything else, our factory is all that remains. We know very well what awaits us beyond the gate together with all the other workers, in the “free” market of slaves.

    Rosa Emilia Giancola (240th day of occupation)

    We travel through contradictions and emotions, through the wound that is hurting us

    and the disappointment that is eroding our fantasies, searching for perspective and the

    strength to rebuild beyond this debris, towards a new possible land.

    What are the steps can be seen from most touching entrepreneur Carrara in The Woman Workers' War ...

    For Margaret Dogliani is necessary to "Forget the spread, GDP, Capital ... Profit from the jungle ..."

    "Understanding the needs, requirements and necessities of workers means have at heart the well-being, and give life to a human and professional growth continues" ...

    "Focusing on men and women, emphasizing differences, merits, virtues, to stimulate interest"

    Just when Rose Giancola visits the factory of the co-Carrara came news of the victory, the Tacconi Sud is safe ...

    The diaries of Captain Rose Giancola the one hand, and the statements of Margaret Deaglio the other two sides of the same coin ...

    Workers who are leaders in their fields, working pasionaria and visionary entrepreneur, react virtuous and unconventional to the economic crisis that surrounds us ...

    Both put everything on the Scales of Morality ... They attribute the work in the degeneration of the trigger lever Human decay we are experiencing ... The non-respect of Legality is the first principle, the prevailing dynamics based on the mere bureaucratic hyper-gain rampant at all costs ...

    "It is not the job market to be in crisis, not only the High Finance to disintegrate future employment prospects and the Global Economy to defraud the job."

    The Deaglio is lapidary ...
     

    "The real instability is given by the Human condition, it is from here that we need to start" ...

    The Captain-Rosa Giancola asserts in one of the scenes sharpest The Woman Workers' War that his "paycheck is just 1050 euro how much is that in terms of return to sexual? Maybe a toccatica, a Palpatine" ...

    "We are not showgirls, but we live in the country Reale, with which we are confronted all Girne and we want to be treated as befits Working Women."

    "Honoring our profession. With Dignity. Respect!"

  • Fatti e Storie

    The Women Workers' War, docufilm sul lavoro nelle fabbriche italiane trionfa al Workers Unite Film Festival di Manhattan

    « L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

    La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. »  

    Articolo 1 della Costituzione Italiana

    Deve esser stata la solennità dell’Articolo 1 ad ispiare Rosa Giancola, ex-operaia, lavoratrice nella fabbrica pontina della Tacconi Sud, quando ha scelto di farselo trascrivere sulla schiena nuda...

    Come a marcare quei principi dei quali si è sentita defraudata, a segnare quegli ideali rimasti disattesi, a forgiare simbolicamente battute che, pur facendo parte dei capisaldi della nostra Carta costituzionale, troppo spesso non vengono rispettati...

    E’ l’Intensità eclatante, la Forza dirompente, il Potere della dignità Operaia, anime di tutti noi lavoratori a trasformare la storia della Tacconi Sud di Latina dalla precarietà della cassa integrazione, l’incubo di chiusura e licenziamenti, l’inferno del non-lavoro in un docu-film reality capace di puntare i riflettori sulla situazione d’impiego italiana fino a vincere il Workers Unite Film Festival di Manhattan.

    Proprio nei giorni che precedono la festa della nostra Repubblica, il trionfo di un corto nostrano in quel di un concorso cinematografico indipendente sul lavoro nel cuore di Manhattan, suona come un monito, un leit motiv amaro...

    Dal nostro cantuccio provinciale, local-nazionale, fin’oltre i meandri dell’internazionalità, quello del Lavoro è davvero un tema che non conosce limiti, non ammette confini...

    The Women Worker's War, questo il titolo del reality, trasposizione internazionale dell’italiano Atlantis, è il documentario realizzato con il contributo della Regione Lazio, che ha ottenuto il premio come miglior documentario al Workers Unite Film Festival di New York, che ogni anno premia le migliori produzioni tra un ventaglio di proposte provenienti da tutto il mondo.

    Sul palco del Greenwich Village Cinema, nell'omonimo quartiere, alla premiazione del 20 maggio è salito il regista Massimo Ferrari e gli autori Gaia Capurso e Maurizio Di Loreti che hanno lavorato per la MaGa Production in collaborazione con Thalia Group.

    Il docufilm costella una storia al femminile, detta i cardini della lotta alla precarietà a tinte rosa, alza il sipario sulla storia di donne, due in particolare, che combattono ognuna a modo proprio per mantener aperta la fonte della loro sopravvivenza: la fabbrica.

    La prima è Rosa Giancola, operaia della Tacconi Sud azienda di Latina, che conduce 28 sue colleghe ad una resistenza attiva e civile, occupando per 550 giorni lo stabilimento in cui lavoravano da più di 20 anni. La loro lotta nasce dopo aver ricevuto delle raccomandate di licenziamento alla vigilia di natale del 2010, senza nessuno preavviso da parte della proprietà e senza la liquidazione di tutte le loro spettanze.

    The Women Workers' War segue la vita di queste donne-coraggio all'interno dello stabilimento, documentando il loro modo civile e originale di combattere la loro battaglia. Come? E’ presto detto... Rosa e compagne non vedono altra soluzione che  simile a quella degli anni ‘70: tornare a far valere i propri diritti con la forza oltre che delle parole, anche dei fatti...

    Se le orecchie di chi conta sono sorde agli scioperi, ecco la presa di coscienza e la decisione più dura, più ferma, la più cruda, coercitiva: Occupazione.

    Presidi, picchetti, bloccare la Tacconi Sud. Per farla Rinascere.

    Ma non solo, non basta.

    Obbiettivo della donne diventa anche mantenere in vita i macchinari dopo l’abbandono dei proprietari...

    Per far capire che l’impegno può e deve esser propositivo, e positivo, per non gettare nel vuoto 20 anni di lavoro, per dare il segno incisivo di una realtà dove è possibile volendo, re-investire, le donne della Tacconi Sud s’impegnano fino a trovare nuovi acquirenti...

    Rosa ha tenuto scritti dell’occupazione su Facebook, spunti, ricchi di riflessioni e pensieri, diventati una sorta di diario di bordo pubblico della nostra crisi, dalla cabina occupata del Titanic in cui sembra di vivere nella follia dell'ideologia d'impiego di questi ultimi anni...

    "Mi chiamo Rosa Giancola, sono un'operaia della Tacconi Sud. Questa è la seconda notte di presidio all'interno della fabbrica. La prima è passata in bianco, con lo sguardo sempre verso il cancello per paura di uno sgombero con la forza.

    Insieme a me le colleghe, qualcuna parla con il figlio più piccolo e, solo come una mamma sa fare, spiega a quest'ultimo perché “la mamma non dorme a casa stanotte”. Si salutano dandosi il bacio della buonanotte per telefono.

    Non avevamo mai ascoltato la nostra fabbrica di notte: un silenzio irreale avvolge il luogo dove ogni giorno per 19 anni abbiamo lavorato e condiviso le nostre vite.

    Siamo qui nella speranza che questo gesto pieghi l'incuranza e la strafottenza del nostro datore di lavoro ai suoi doveri di persona per bene!

    Siamo qui nella speranza di non essere dimenticate(...)penso se riusciremo a resistere, se e per quanto tempo, e se non sarà stato inutile tutto questo.

    Affido queste righe a facebook, e le dedico soprattutto alle mie colleghe.

    Dedicato a tutte le donne coraggiose".

     
    Estratto dai diari di Rosa Emilia Giancola, operaia Tacconi Sud (20 Gennaio 2011)

    Con queste parole dritte al cuore e poi con una serie di riflessioni e racconti quasi quotidianamente Rosa ha documentato e dato senso alla sua esperienza, balzando agli onori della cronaca anche grazie all’attenzione della televisione italian nelle cui trasmissioni di approfondimento come Anno Zero di Michele Santoro e Piazza Pulita di Corrado Formigli, è stata più volte ospite per raccontare la sua esperienza e la sua idea in merito al periodo che stiamo vivendo.

    Quello della Tacconi Sud non è solo la storia di un presidio: come tutte le vicende umane si trasforma in dinamiche di vita che si intrecciano lasciando spazio a confronti, dibattiti, scambi di idee tra le operaie stesse che divengono compagne di vita, forgiatrici delle proprie esistenze, sorelle condividenti la stessa battaglia che diventa motivo di crescita umana, personale ed intima...

    Le donne tra loro son capaci di solidarizzare e creare compaggini difensive vicendevoli, anche in settori inaspettati...                                                                                                                                                    E tra lavoratrici e lavoratori illuminati si va anche al di là delle differenze di genere, non esiste più l’antitesi uomo-donna...    
    Operare, collaborare, unire le forze per affrontare casse integrazioni, licenziamenti, crisi e recessioni economiche, altera le discrepanze legate alla dicotomia che vede titolari di ruoli di comando opporsi ai lavoratori...

    Perchè quando le dinamiche d’impiego lavorano per migliorare la vita degli operai tra questi e i Padroni, non ci sono più diversità, ma similarità di vedute per la costruzione di un Bene Comune chiamato LAVORO ...

    Ecco che quello delle fabbriche è un microcosmo nel macrocosmo, coinvolgente mondi, settori ed ambiti d'impiego affini per problematiche, universi che condividono necessità simili, realtà d’imprese parallele che, nelle avversità si avvicinano: i 550 giorni di presidio della Tacconi Sud attirano l’attenzione di un’altra donna, solo all’apparenza ideologicamente lontana e professionalmente distante...

    L'altra protagonista di The Women Workers' War è Margherita Dogliani, titolare della industria dolciaria Dogliani di Carrara.

    Imprenditrice illuminata, la Dogliani decide di seguire un modello d’investimenti ispirato ai principi espressi da Simone Wiel...

    La filosofia di vita lavorativa è tutto un programma: la manovalanza è vincente solo se supportata dal confronto con la cultura, perchè la forza-lavoro sia procreatrice si deve investire nel Sapere e la classe operaia dà il meglio di sè solo se accanto ad ogni catena di montaggio, c’è un’Università del Saper-fare...

    Margherita intesse rapporti civili con i propri dipendenti: alle lavoratrici ed ai lavoratori viene data la possibilità di frequentare laboratori culturali, partecipare ad attività ricreative, cimentarsi nell'organizzare festival...

    Rosa e Margherita si incontrano, dapprima su Facebook, dove Margherita legge ed apprezza il diario di Rosa, poi ognuna visita la fabbrica dell’altra, dando spazio alla contaminazione di Saperi: dall'incontro delle due nasce il confronto tra diverse esperienze, con conseguenti spunti per riflessioni e sensazioni...

    "Questa fabbrica sforna dolci e produce pensiero" è la scritta che campeggia all'ingresso dello stabilimento di Carrara, uno slogan che scandisce in modo eloquente modus operandi  e Volontà Alte di Margherita.

    Quali sono lo si evince dai passi più toccanti dell’imprenditrice di Carrara in The Woman Workers' War...

    Per Margherita Dogliani è necessario “Dimenticarsi dello spread, del Pil, del Capitale… del Profitto da giungla...”

    “Comprendere bisogni, necessità e esigenze dei lavoratori significa averne a cuore il Benessere, e dar vita ad una crescita umano-professionale continua”...

    “Mettere al centro gli uomini e le donne, valorizzandone differenze, pregi, virtu, incentivare gli interessi”

    Proprio quando Rosa Giancola visita la fabbrica della collega di Carrara arriva la notizia della vittoria, la Tacconi Sud è salva...

    I diari di Rosa Giancola alias il Capitano da una parte e le dichiarazioni di Margherita Deaglio dall’altra, due facce della stessa medaglia...

    Lavoratrici leader nei propri settori, l’operaia pasionaria e l’imprenditrice lungimirante, reagiscono in modo virtuoso e non convenzionale alla crisi economica che ci attanaglia...

    Entrambe pongono tutto sulla Bilancia della Moralità...                                                                              Attribuiscono la leva scatenante della degenerazione lavorativa nella decadenza Umana che stiamo vivendo...                                                                                                                                                              Il non-rispetto della Legalità è il principio primo, imperante delle dinamiche burocratiche basate sul mero iper-guadagno sfrenato a tutti i costi...

    “Non è il Mercato del lavoro ad esser in crisi, non solo l’Alta Finanza a disintegrare prospettive d’impiego future e l’Economia Globale a defraudare dal lavoro”.

    La Deaglio è lapidaria...

    “La vera instabilità è data dalla condizione Umana, è da qui che bisogna ripartire”...

    Il Capitano-Rosa Giancola asserisce in una delle scene più taglienti di The Woman Workers' War che la sua "busta paga è di appena 1050 euro a quanto corrispondono in termini di ritorni sessuali? Forse ad una toccatica, ad una palpatina"...

    "Noi non siamo veline, ma viviamo nel paese Reale con i quale ci confrontiamo tutti i girni e vogliamo esser trattare come si conviene a Donne Lavoratrici". 

    "Onorando il nostro mestiere. Con Dignità. Rispetto!" 

    A caldo i-italy ha chiesto sia a Massimo Ferrari, regista di The Workers Woman War, che a Rosa Giancola di rilasciare interviste che, a margine del prestigioso riconoscimento, hanno gentilmente concesso.

    Intervista a Massimo Ferrari

    Il 20 maggio tu da regista e gli altri autori avete vissuto l'emozione di un riconoscimento internazionale tutto newyorkese...


    Che accoglienza ha avuto The Woman Workers' War sul palco del Greenwich Cinena, nell'omonimo district al Worker Unite Film Fest? 

    Dalla distribuzione Italiana ne è in programma anche una negli States?

    Il 12 con la presentazione e il 20 Maggio abbiamo avuto la notizia di aver vinto con il nostro The Women Workers' War il premio come miglior documentario al Workers Unite Film Festival di New York.

    E' stata una grandissima gioia, soprattutto ripensando al lungo iter per arrivare la compimento del documentario, autoprodotto da MaGa Production e co-prodotto poi insieme a Thalia Group che è entrata nel progetto per la post-produzione.

    Un anno e mezzo di riprese, tre mesi di post-produzione, un lavoro davvero impegnativo ma ricco di emozioni, che ci ha portato fino alla vittoria americana. 
    Il documentario ha una distribuzione che crede molto nel progetto, la GAeA, e speriamo che possa trarre dalla vittoria la giusta spinta per proseguire il suo cammino.

     

    Hai vissuto questa avventura umana che ti ha investito in primis come spettatore, condividendo emozioni, sensazioni e stati d'animo "da vicino" e, sotto il profilo professionale, ti ha certo impegnato come regista... 

    Quanto il coinvolgimento della tematica sociale per eccellenza, l'esigenza del lavoro, ha condizionato scelte di stili, modalità  e tecniche di ripresa?

    E' stata un'avventura umana prima ancora che professionale, in cui siamo partiti senza sapere bene come sarebbe andata a finire, credendo fortemente nella validità e necessità di raccontare queste storie.
    Tutto è nato dall'idea di Mara De Longis e Federica Miraglia, due amiche mie e di Gaia Capurso, co-autrice e produttrice del documentario, che ci hanno ci hanno segnalato la vicenda della Tacconi Sud e  suggerito di leggere i diari di Rosa su Facebook...         

    La lettura dei diari e poi la conoscenza personale delle lavoratrici ci hanno confermato l'intensità dei fatti, la levatura morale della questione, e il valore universale del difendere il Lavoro... e prese piede l'intuizione iniziale: dovevamo filmare, riprendere, immortalare quei momenti di lotta operaia...
    E senza sapere ancora bene se ne avremmo tratto un' intervista, un servizio tv o un documentario...

    Coadiuvati dal Centro Studi Tomassini di Latina, abbiamo pensato che valeva la pena ragionare su un vero e proprio docufilm e pensato al modo in cui sviluppare le storie per dare maggior valore al tutto...

    Ricordi una inquadratura, uno spaccato, una frammento di vita in particolare che avresti voluto immortalare ma che, riflettendo, hai preferito lasciare all'intimità delle lavoratrici e, al contrario, un frame d'intensità d'impatto emotivo che hai voluto catturare nel docu-film?

    Ovviamente la mia attenzione è sempre stata quella di rispettare l'andamento reale dei fatti, che filmavamo proprio nel momento in cui avvenivano, interpretandoli però attraverso le sensazioni e le emozioni delle protagoniste, in special modo di Rosa.

    Per cui abbiamo seguito il continuo alternarsi di emozioni, le delusioni, le gioie, le speranze, la disillusione...provando a fermarle attraverso le riflessioni a voce alta o i silenzi non meno espicativi della Pasionaria, Rosa il Capitano...

     

    Il mio obiettivo sin dall'inizio non è stato quello di fare un documentario "di denuncia", perchè mi sembrava che potesse essere poco interessante, qualcosa di simile a tante cose purtroppo già viste ed ascoltate, avevo la sensazione che potesse essere meno di impatto rispetto alla portata di un documentario in grado di entrare all'interno di una ferita, che tutti stiamo vivendo sulla nostra pelle all'interno di questo Titanic in cui sembra essersi trasformato il mondo del lavoro senza più certezze.
     

    La storia di Margherita entra nel documentario proprio in risposta all'esigenza di capire se esista un modo diverso di rispondere alla crisi, se sia possibile e applicabile. La realtà di Margherita Dogliani e della sua "fabbrica che sforna dolci e produce pensiero" a Carrara conferma che la crisi che stiamo vivendo è forse soprattutto una crisi morale e di prospettive. Rosa e Margherita si incontrano e il documentario trova un epilogo inaspettato e davvero straordinario...

    Dalla realtà pontino-romana, comunque facente parte della sfera nazionale a quella internazionale. Avevi già lavorato per una produzione poi sfociata in ambiti e contesti esteri?

    Prima di questo lavoro avevo lavorato molti anni a Cinecittà, dove ero stato anche responsabile del settore documentaristico proprio insieme a Gaia Capurso con la quale poi abbiamo fondato MaGa Production.

    Ho firmato molti documentari per Sky Cinema sui grandi del cinema italiano quello su Totò ha aperto un festival proprio a New York nel 2005 e una docu-fiction di 80 puntate sulla Dolce Vita.
    Poi ho realizzato una serie per Vite Straordinarie in 0onda su Mediaset, sui grandi dello spettacolo, prima di produrre e realizzare per MaGa Production una docu-fiction su uno scandalo della sanità pubblica laziale "Lady Asl" uscito in dvd a Roma e Provincia.

    Poi molti altri lavori per Rai News e una docufiction sulla storia di Armando Picchi, capitano dell'Inter di Herrera anni 60, che ha vinto due premi al FICTS , Festival internazionale del documentario sportivo nel 2011.  

    Quali sono le principali somiglianze e/o differenze, se esistono o, tra parametri filmici italiani  e quelli statunitensi?

    Nei budget della produzione e distribuzione... Limitati, ristretti e corcostritti quelli italiani...

    Negli States ci sono ben altri standard: si fanno investimenti copiosi, pubblicità onerose, campagne galattiche che sono sotto gli occhi di tutti, insomma non si bada a spese... 

    Intervista a Rosa Giancola

    Donna operaia, consigliera eletta alla Regione Lazio, "attrice" interprete del ruolo più importante: te stessa alle prese con il problema per eccellenza, il lavoro... 

    Ruoli di spessore anche per una soprannominata "la Pasionaria" o "il Capitano"...

     

    In quale di questi ti rispecchi, identifichi e vedi meglio?

    Cerco sempre e solo di assomigliare a me stessa...

    Sono poi i contesti che suggeriscono i ruoli...

    Non mi riconosco "a prescindere" in nessuno di questi... li ho tutti percorsi perché in certi momenti della mia vita ho trovato giusto incarnarli appieno.

    Vale il principio d'emergenza in fisica, un po' come la formazione di un tornado che non esiste di per sé, ma dipende dall'aggregazione di particelle tra caldo e freddo e lo generano...

    Parafrasando e giocando sulla metafora, alcuni spettacoli nascono senza copione nascono proprio dal contesto, interpretandolo senza rigidità, in maniera flessibile, accogliendo quello che accade e rimandando l'immagine più giusta, corretta, quella che aveva ragione di esistere in quel momento...

    Tacconi Sud di Latina. 550 giorni di presidio, il secondo più lungo nella storia italiana, primo di una fabbrica femminile. 

    Complesso far riaffiorare gioie e dolori, vittorie e sconfitte, conquiste e battute d'arresto...

     

    Puoi condividere comunque con noi spaccati, frammenti di quelle emozioni, sensazioni e stati d'animo: in particolare ricordi un frangente buio e un momento di trionfo, che avete provato tu e le tue compagne? 

     

    Come cambia anche il rapporto tra donne, di solito in antitesi per antonomasia, che in queste situazioni, diviene sodalizio di colleghe di vita...

    E' stato un anno e mezzo denso di esperienze di vita, di intensità, di vissuto, di sconvolgimento, di situazione estrema...

    Dove ci si rende anche conto che una parte di intendere vari aspetti del proprio credo politico sono errati o quanto meno distorti e fraintesi da noi stessi: si cresce con una certa indifferenza rispetto alla concezione di Democrazia, che sia cioè un fatto di inerzia, non un esercizio quotidiano... 

    Vivere in un Paese democratico, esercitare i diritti, mantenerli significa che noi nel nostro pensare, nel nostro operare, nel nostro fare, dovremo tutti sempre esercitarli, mai viverli in passivo, mai darli per acquisiti.

    Nella situazione d'occupazione bisognava mostrare di avere ragione e far valere i propri diritti in quel particolare contesto non è scontato...

    Ricordando che tali diritti hanno conosciuto storie di sofferenze nella nostra Nazione, che sono stati consolidati in decenni di lotte e guerre intestine e che sono passati attraverso il sangue delle conquiste nel Paese, dovremo riflettere sul loro esser sale del regolamento democratico. 

    Essenza stessa di quella della Democrazia fin troppo ostentata...

    Siamo in uno stato di Diritto. Ricordiamocelo.

    Emozione negativa è stato il momento quando la Tacconi Sud è andato verso il concordato fallimentare e quando il giudice ha respinto il fallimento in molte hanno avuto un crollo emotivo e l'abbandono di alcune colleghe perché si son intrecciate anche le amicizie nate e quelle finite...

    I rapporti tra donne, non diversi da quelli risentono di debolezze, fallimenti, delle dinamiche di vita...

    Il momento positivo è stato il 23 luglio quando ho aperto il cancello della fabbrica e delle porte a volte si "chiudono" in un modo diverso da tutte le altre e ci si chiede: "Adesso che cosa succederà?"...

    C'è la sensazione di perdita, come quando si termina un lungo viaggio, liberatoria, sensazione di lasciarmi alle spalle questa esperienza che mi ha totalmente trasformata... e molto di me è rimasto lì dentro...

    Dal "rumore del silenzio" come lo chiami tu degli apparati industriali fermi, alla "fabbrica che sforna dolci e produce pensiero"...

     

    In The Woman Workers' War irrompe un'altra figura femminile forte: l'imprenditrice Margherita Dogliani, titolare della Dogliani di Carrara.

     

    L'incontro altera le differenze preconcette di ruoli, supera le divisioni storiche operai-padroni, scardina vecchie diatribe tra classi sociali differenti, svelando similarità di prospettive lavorative.

     

    Raccontaci il confronto con Margherita Dogliani, nuova "compagna", solo all'apparenza "dall'altra parte della barricata", in realtà "schierata" con voi operaie...

    Aggettivo calzante questo "illuminata", le contrapposizioni possono esistere ma dipende sempre da chi è la nostra controparte...

    Margherita Dogliani è venuta a trovarmi, da imprenditrice e datrice di lavoro di una trentina di donne operaie, per capire quale fosse la nostra condizione umana.

    L'esperienza che io ho tratto da questo incontro è stato l'aver scoperto che al centro di ogni azione, se c'è la relazione umana, è indifferente se si veste il ruolo di operai o padroni, se si è subalterno o se si gestisce una fabbrica...

    Non è rilevante chi si è, ma come si operi nei contesti lavorativi e d'impiego: Margherita Dogliani è una imprenditrice, ma, nell'esser tale, basa i suoi rapporti sull'Umano, sul Riconoscimento dell'Altro, sul valorizzare ed apprezzare l'operato del Lavoratore, vedendo il benessere dello stesso come Valore Aggiunto che lo sproni a dare sempre il meglio...

    Logiche d'imprenditoria e condizione umana. 

     

    Margherita Dogliani afferma che non è solo il lavoro o l'economia ad esser in crisi: a cadere, mancare, dissolversi è l'Umanità di tutti Noi, forgiata di principi che non esistono più, infarcita solo di profitto...

    Credo che la più grande svalutazione che ha colpito il nostro tempo sia un certo Nichilismo che oggettifica le persone rendendole quasi cose...

    Gli individui hanno un prezzo, possono essere comprate, si possono vendere e, di conseguenza, addirittura corrompere...

    Nessuno ha un valore unico...

    Lei, nel suo imprendere ha messo al centro la relazione umana ricavandone non solo un clima positivo per la sua azienda facendo in modo di tradurre il tutto in un modus operandi in cui traspare la responsabilità in positivo: se i lavoratori operano al meglio, sono a proprio agio e se con soddisfazione conducono la maggior parte del loro tempo integrante nelle fabbriche tutto questo è motivo di Crescita Aggiunta... 

    Primo Levi scrisse che "Se c'è qualcosa che approssima alla felicità è far bene il proprio lavoro"...

    Il 40% degli Italiani secondo l'Istat incarna appieno l'esser "cervello in fuga". Ora più che mai la ricerca dell'impiego passa per il recarsi all'estero. Nel 2013 la tendenza per trovare lavoro è ad espatriare. 

     

    Pensi sia questo il motivo per il quale The Woman Workers' War ha trionfato ottenendo il premio come Miglior Documentario al Workers Unite Film Festival di New York...

    Il documentario si apre con il Ruby Gate, in un momento in cui l'America guardava all'Italia in uno stupore tra il comico e l'assurdo in un Paese che ha anche un notevole peso internazionale, vederlo ridotto ad una corte di burattinai e ballerine era deprimente per tutti e, a maggior ragione per gli italiani all'estero che hanno dovuto guardare quello scempio...

    Il documentario ha colpito perché mentre prendeva piede lo scandalo di Ruby,-il documentario si apre con una immagine della escort e si chiude con le lacrime della Fornero - c'è tutta la parabola del Canto del Cigno del Sultano del Berlusconi che poi lascia un Paese in ginocchio...

    In questo contesto, ribattezzato da me Titanic, la nave alla deriva, 29 donne stavano occupando una fabbrica: c'è tutto il senso della distanza con il paese reale... 

    Infatti durante la puntata di Anno Zero, programma di Michele Santoro, mostro la mia busta paga di 1.050 euro e mi chiedo ironicamente a cosa corrisponda... e ancora oggi asserisco che forse è paragonabile ad appena una toccatina... 

    Ecco la forza,l'intensità il potere del docufilm dato dalla calda attualità, negli States avranno pensato che in Italia qualcuno si sta ribellando alla parte nefasta e corrotta del Paese...

     

    Zingaretti conosce la storia della Tacconi Sud, la tua in particolare e ti ha voluto nel suo listino bloccato.

    Alla scorsa tornata sei stata eletta in Regione dove ti occupi di temi legati al lavoro.

     

    Da leader dei comizi operai ai vertici di quelli politici verrebbe da dire...

    Nicola Zingaretti crede molto nell'Umano... altrimenti non avrebbe scelto 10 storie da inserire nel listino, strumento che durante le tornate elettorali serve a metter dentro i "raccomandati", quelli che non hanno bisogno di esser votati, che ci stanno di diritto...

    Lui trasforma il listino in un contenitore in cui inserisce 10 storie rappresentative della Regione Lazio, tra queste sceglie me... 

    E con tutti gli equilibri di poteri ed i ricatti di voti che si possono avere in queste circostanze, lui ha forgiato una piccola Arca di Noè... ha organizzato un laboratorio dell politica che faccia crescere persone che hanno avuto esperienze totalmente diverse . A differenza del solito listino che dopo le elezioni si scioglie e tutti confluiscono in quello che ordina il capo, qui Nicola ci ha lasciato come soggetto politico, noi siamo gruppo per il Lazio.

    Cosa si porta via dal mondo della politica che crolla? Per quanto ne ho potuto avvertire lui, si porta via 10 storie per ricominciare...

    L'attività è libera, c'è tanto da studiare, la macchina di Regione Lazio è complessa, stratificata, a volte infangata e stagnate in nomenclature di potere che l'anno governata.

    Lavoriamo a molte leggi che riguardano non solo il lavoro ma anche il diritto allo studio come coesione sociale, stiamo portando avanti diversi progetti, ce la stiamo mettendo tutta per avviare un buon lavoro...

    E sperando di avere il tempo necessario perché l'angoscia La paura è che l'emergenza detta i tempi della progettualità, contrario del progetto è la fretta... Il progetto ha bisogno di decantarsi e si convive tra una riunione dalla quale sono appena uscita di lavoratori in difficoltà e l'altra dove magari parlo di un progetto...

    Emergenza e progettualità vanno insieme, si evolvono di pari passo e si deve gestirle entrambe...

    Si hanno più responsabilità, accompagnata anche dall'impotenza, non si ha mai la certezza di riuscita.

    Speriamo di ottenere ciò per cui dibatto e combatto..

    Se Rosa Giancola non avesse vinto al sua battaglia per la riapertura della Tacconi Sud dove sarebbe ora?

    Avrebbe terminato gli studi, mi mancano pochi esami al triennale, ma sono una studentessa modello, dunque trovo disdicevole prendere un 28 e avrei finito il percorso universitario augurandomi che questo investimento mi avrebbe condotto su strade soddisfacenti...

    Nel guardarti indietro rifaresti tutto? 

    Ci vuole un certo grado di follia per far certe cose: 550 giorni di presidi, picchetti ed occupazione di una fabbrica non sono uno scherzo... 

    Non esistono modalità preordinate di vita, standard preconcetti nell'esistenza d'ognuno, tanto meno cardini di ragione da seguire con l'ostinazione dell'esattezza...

    Si certo, sono soddisfatta del mio operato e degli esiti ottenuti: rifarei tutto come l'ho fatto, ma queste cose non si programmano, né pianificano, si fanno al di sotto della soglia della coscienza del momento, si vivono con la forza e l'intensità della passione perché solo di questa in realtà si nutrono...

  • Art & Culture

    Beholding Beauty. American Stars Shine in the Firmament of Art Capitolina...

    Where is beauty in art? What is beautiful? How does contemporay art respond to these questions? Does a sort of Unicum exist, a Common Principle which inspires artists to to create their own art, or are all forms of art relative?

    This is a broad theme that has for centuries animated the debate among philosophers, art critics and artists themselves. These are questions that drive us to investigate, to meet artists and art lovers, to discover the significance of beauty beyond time and space.

    These are the topics that filled the evening of April 19th, in the midst of spring, at the Artrom Gallery, the first home gallery of Rome that indulged artists, painters, sculptors, and above all, lovers of different genres of creative versatility.   

    Elizabeth Genovesi and Art Manager Dafne Crocella presenteted the event introducing the cornerstones, the technical principles and the artistic essence of the protagonists of "Beholding Beauty," the ArtRom vernissage. 

    The exhibit, was very New York-like, held in a warm and friendly atmosphere, with the nuances and connotations of a Roman intimacy. 

    The ArtRom is a home gallery located in the heart of the Prati district, containing an inner artist presentation space. Over the years, the gallery has hosted many events and exhibitions. Having made a commitment to creativity, collaboration and experimentation, it has created alternative methods for artists and the viewing public to relate to the works, by offering "art experiences" within an intimate and congenial atmosphere.

    The atmosphere gives the impression of a private apartment, with the advantage of being able to offer visitors a casual and warm welcome, the know-how alongside art exhibitions during cultural evenings, debates regarding creative courses and concerts. The diversity of approaches and styles of exhibitions has opened the gallery to countless intellectuals, musicians, NGOs and patrons from different backgrounds.

    In front of us, the small jewelry-gallery is full of guests...Many people have just arrived and commented on the works of the painters. Others sit on the sofa listening music, while all are lost together in the rooms, discussing the art and issues related to it.

    Events and vernissage at ArtRom gallery go from party to party...


    i-Italy walks between the art pieces and artists and listens to the hustle and bustle of creative exchanges...


    The Artist Talk with the painters is spontaneous...

    “How is your art born?” asked Christine, an Erasmus student from Massachusetts.

    Marella echoes her question, asking: “What feeds your art?"

    “It seems a creative meditation, or a reflection” comments Lavinia in response. 

    The artists and spectators in front of paintings overcome their insecurities and hesitation dictated by shyness, immersing themselves into a direct comparison, open minded in its entirety.

    The enlightened viewers approach the paintings on tiptoe and then launch into precise questions, progressing into engaging comments and stimulating responses. 

    One can witness unique moments of confrontation, the fruit of an interaction between the audience and the artists, rare pearls of analysis tout-court of reciprocal exchange between them, in a ballet-association of perspective, double directions that hound one another. 

    It is the thirst of art that takes over …

    Wandering through the maze of the home gallery,we approach yet another group of people: there is Katy Woodroffe, extolling a compelling Story Telling. 

    The author talks about her four acrylics on paper, where the beauty of the human construction meets the nature mirrored within: an investigation of the links between the real world and imagination.

    The "Story Telling" includes breakers of “told”art, split critiques of tested techniques, creative words and itineraries in frames of inspiration and stimuli, where the works are ideas for new oral and written creations.

    Every corner of the venue comes alive and becomes an angle with an approach to the artistic experience: in front of the works of Canadian Donna Balma viewers are putting into practice the technique of Slow Art.

    Slow Art, is a slow and personal approach that allows one to not only to see, but to hear the work itself, to live it as a creation “creamed off” by the thinking of others, free from external influences, in a call for a new enjoyment, free from constraints and unshakable impositions.

    The scenes exclaim, “Take the time you want, there's no rush, the work is also yours!”

    A fourth pillar of the philosophy of Artrom Gallery is the pieces of creative writing that here, in this moment, are transformed into creative interpretation.

    The whole evening is full of labs of creative interpretation.

    The magic of the gallery consists in precisely this: giving the opportunity to those who attend to get lost in the labyrinths of themselves, even before the gallery, of their souls, even before that of reason, of his or her own psyche rather than the stylistic techniques, and find that life is already Art and Beauty in itself.

    i-Italy has requested an interview with the two American artists, Rene Romero Schuler and Francene Levison. The different creative interpretations had us kidnapped, transporting us into their vision of art.

    Is your art and your life more spiritualism and meditation or a preconceived idea, no-rationality experiences, intuition, insight or analysis of reality? Which Which of these parts is stronger?

    Renè Romero Schuler I would definitely say that my life is more spiritualism and meditation. Though I don't put the latter into a formal practice, I have a very deep, spiritual nature that I try to tap into in every aspect of my life. The teachings of Thich Nhat Hanh have been very influential in how I approach my day to day philosophies.

    My work, on the other hand, is, without a doubt, an extension of how I think and how I live my life. As far as which is stronger, I can only say that I hope my work conveys the same strength that I feel in my convictions. I am a very passionate thinker, and my work is my vehicle for expression.

    Francene Levison I rely on my analysis of reality. I look for dynamic line, geometric beauty of the total form and unusual textures and patterns for my inspiration

    To Renè Romero Schuler: In "Indian Ink on Paper" the canvas withdraws people, in "Transcendessense" there are only individual people and in "A world view," there is a mix of people and single people, but never scenery... In your statement, you have said that you are fascinated by and curious about the mystery of the Human Condition. So, is it the Protagonist of your art? What is the most important element you get inspired by?

    The different mediums I choose to work in, and the varying styles and content, are all very deliberately chosen for how they help me to say what I want to say.  I am not done experimenting.  As an artist, there is no end to the dreams and ideas and forces that drive me to the different types of work I do.  The mystery of the human condition is, as they say, a mystery, wrapped in a riddle, wrapped in an enigma...  There is no end.  What inspires me most, however, is the strength that humans have.  Beyond physical, and often beyond reason or understanding, the strength that humans innately possess is what fascinates and motivates me most.  Pain, discrimination, oppression, and abuse are a paltry few of some of the hardships that we endure in this life, and yet, human nature dictates that we all not only survive, but become stronger and persevere. Our character strengthens. Our solitude is fortified. It is this that I paint and sculpt about.

    On the negative side of human nature, we are quick to pass judgement on people, based only on face value. This is also what my work is about. I do not put emphasis on the physical attributes of the characters in the work, in order to portray them more like spiritual beings. In the words of Deepak Chopra, "we are spiritual beings in rented bodies....the body is temporary, but the spirit endures." My work is about what exists beneath the surface.

    To Francene Levison
    In "Bird Life Paper Sculptures" the canvas features birds, in "Ocean Life Paper Sculptures," there are a lot of plants, flowers and blossoms, but never any people....
    So, are birds, plants and nature the protagonists of your art? What are the most important elements you get inspired by? 

    I am a resident of the state of Florida, USA. The natural environment sustains our lives. It is fragile and powerful at the same time.The sweep of a diving bird fishing for prey, the texture of shells and coral, the dancing forms of marine life are captivating to my artistic eye.


    To Renè Romero Schuler

    In "Indian Ink on Paper," your art has the power to make peace with the world around you and helps you see light in the darkness.

    You are living and working in Chicago. Does the strength of reality and the hectic rhythm of the city conditions stimulate the fantasy in your art? Is it possible to consider your canvas a mirror image of American society?

    I think that my life, overall, has influenced my work more than anything else. I have been through a lot in my life, and every bit of it is reflected in my work. The fantasy in the work is something that is absolutely intended to be a contrary point to the harsher realities in the world. I definitely play with many dichotomies in my approach to what I do. There is beauty, and stress; vivid color, and surface tension; sparkle, and texture.


    To Francene Levison

    With “Zhe Zhi" art, your sculptures have the power to make peace with world around you and helps you to see light in the darkness.

    Knowledge of paper making and the technique of folding it to create forms was spread throughout Asia by Buddhist monks performing their rituals and ceremonies...

    You grew up in Brooklyn and are now living and working in Florida. Does the strength of reality and the hectic rhythm of the city conditions stimulate the fantasy in your art?

    Is it possible to consider your paper sculptures a mirror of the American society, influenced by Chinese philosophy?

    Yes, the strength derived from the unity of many is a universal truth.We are all more alike than we realize. E Pluribus Unam is printed on American money. From many - one. Many societies base their collective strength on common ideas; ideals and rules.The Chinese ideal of the unity of many is not so different from western cultures. Many examples of modular thinking may be seen in ancient Chinese architecture and the production of identical modular building elements; automated production in the west began at the dawn of the 20th century. Chinese pictograph writing is composed of modular strokes recombined in a variety of ways;our western alphabet only has 26 letters recombined in multiple ways to form millions of words in multiple languages; the Chinese presentation at the opening Olympic ceremony was a wonderful example of the art of unified modular dance movement. So, modular paper folding is part of that same way of looking at forms.I have been greatly influenced by Chinese modular paper folding and look at forms in a mathematical way. Each separate unit of paper is a point on the circumference of a circle. The increase or decrease in the number of points on successive circles determines the slope. This type of sculpture is analytical. I am constantly trying to push the media beyond what I already know it can express.

    Chicago and Florida, like New York, are kaleidoscopic, eclectic cities. The artists have the chance to enrich and improve their talents thanks to the multiethnic charms of these cities.

    Are there any particular aspects of Chicago for Renè and of Florida for Francene that you get inspired by? What do you like best about living in this metropolis? How does it affect your art?

    There are many things I love about my home, Chicago. This city has supported and embraced me immensely throughout my career, but that is something that Chicagoans "just do." We are "the biggest small town in the world." Despite any challenges we face in this city, people here always tend to find the positive. We persevere, yet another influence in my work, I suppose. I hadn't really thought of it before - that being in Chicago could impact my perceptions in this way. But it truly does. Chicago is a great place to live, and there is no place I would rather be.

    The lush environment of Florida has been a greater influence on my creativity. I experienced the multi-cultural influence of the students in my Florida art classes and shared their art. That is how I learned of Chinese modular paper folding. My students taught me an art form I had never learned in art school.

    To Renè Romero Schuler

    You have already exposed your works around the world in Chicago, Parigi, Miami, Palm Beach Garden.  

    Is this the first time that some of your canvases are in Rome? What are the similarities and what are the differences between Italian and American modern art?

    This is my first exhibition in Rome, and I am so honored to be a part of this show. I have always been told that my work has a strong European sensibility, and I always figured that was because I am Latin-American. I think that living in Quito, Ecuador as a child had a great deal of influence on how I think and conduct myself, as did having an immigrant father. We are all shaped by the things we experience in life. I believe that most American Modern Art has its roots in Europe, so while there are clear differences between American and Italian, I don't know that my work, in particular, is so easily categorized.

    To Francene Levison

    You are a member of WITVA, Women in the Visual Arts. And you have been selected to exhibit at The Rosen Gallery “International Biennial Exhibit”, Boca Raton, Florida in 2008. You are also a member of The Boca Raton Museum of Arts Artist Guild and a Juried Signature Member of this distinguished group of artists.

    You have already exposed your works around the States... and you have an international experience about your artistic vision that you acquired through Chinese folk art. Constructing the dynamic lines of organic forms has given you the opportunity to share your contemporary paper sculpture with the world.

    Is this the first time that your paper sculptures are in Rome? What are the similarities and what are the differences between Italian and American modern art?

    Yes, this is the first time my paper sculptures have been recognized outside the United States.I am so happy to have the recognition of a Roman gallery. The essence of all great art is found in the principals of art. The great sculptors surround the artists of Italy. Their knowledge of the principals of art are infused into the contemporary artistic mind.The genres may differ, but the principles are eternal. There is good and bad art everywhere. The hunt for that essence is what makes experiencing art so important and enriching to our lives. Some American contemporary art has drifted from the ideals of great art. Only when they capture those basic principles, do they succeed in any media, any genre.


    You have winner "Beholding Beauty 2012". So you can expose your Art in Artrom Gallery in Rome... What do you expect by this Italian exhibition?

    Renè Romero Schouler My hope, with this exhibition, is to gain some notoriety within the city of Rome. I am very excited to be working with Elizabeth Genovesi of ArtRom Gallery, and I am looking forward to my experience of showing my work there, and hearing how the patrons of the gallery respond to the work. I am also looking forward to being there and meeting people and talking about my work with everyone.

    After the closing of the "Beholding Beauty 2012" Show, I fly directly to Paris - where I will live through June and July - during my show at Galerie Boicos, which opens June 20th 2013. I will be showing with some very prominent and established American artists - Tony Fitzpatrick, Doug Stapleton, Michael Goro, Peter Ambrose, and Cindy Bernhard.

    Francene Levison I am impressed with the jury process. Creating beauty is difficult, finding it is rare.I am honored to have my sculptures found.

  • Arte e Cultura

    Beholding Beauty. Nel firmamento dell'arte Capitolina brillano stelle statunitensi...

    Cos'è la Bellezza nell'Arte? E' giusto tentare di raccontarla?
    Dov'è il Bello? Come risponde l'arte contemporanea a questi interrogativi?
    Esiste un unicum, una base di raccordo, alla quale tutti gli artisti devono rispondere per reputarsi tali o tutte le forme sono d'arbitraria interpretazione?

    Sono alcuni delle miriadi di interrogativi che ci spronano ad indagare il panorama creativo, incontrare artist e amanti d’arte, a dar vita a discussioni tra gli estimatori di exhibition e leggere, scrivere e poetizzare all’interno di una realtà che va ad di la del tempo e degli spazi... 

    Questi i temi d'ampio respiro che hanno riempito la serata di piena primavera del 19 Aprile, quando presso l'ArtRom Gallery, prima home gallery di Roma, si sono assecondati artisti, pittori, scultori, ma soprattutto amanti di diversi generi della versatilità creativa.

    Padrona di casa dall'indole discreta, profonda conoscitrice degli stili trattati, è la gallerista Elizabeth Genovesi che, accompagnata dalla manager event Dafne Crocella, ha lanciato la serata introducendo i capisaldi tecnici e l'essenza artistica dei protagonisti di Beholding Beauty, vernissage di ArtRom.

    Il tutto, come da tradizione spiccatamente newyorchese, si è svolto in un ambiente caldo ed amichevole, con le sfumature e le connotazioni proprie dell'intimità romana... 

    ArtRom Gallery è una home gallery situata nel cuore del quartiere Prati con all'interno un artist presentation space, spazio espositivo delle stassa...

    L’ambient  regala le caratteristiche di un appartamento privato avendo il pregio di poter offrire ai visitatori un’accoglienza informale e calorosa: il know how vede affiancare le esposizioni d’arte a serate di carattere culturale, dibattiti su tematiche creative, corsi, concerti, dove la poliedricità di approcci e stili ha aperto la galleria ad intellettuali, musicisti, ong e mecenati di diverse estrazioni...

    Dinnanzi ai nostri occhi la piccola galleria-gioiello pullula di ospiti.

    Molti già ammirano e commentano le opere in un clima familiare, altri si siedono si divani ascoltando sottofondi musicali, tutti si perdono nelle stanze per conversare di arte e tematiche ad essa legate.
     

    Eventi e vernissage all'ArtRom Gallery sono una festa nella festa...

    Cominciamo a muoverci tra le opere d’arte e gli artist...
    ed è un andirivieni di scambi creativi tra autori e pubblico...

    Passeggiando tra le opere, gli Artist Talks con gli autori sgorgano spontanei... 

    “Come nasce la tua arte?“ chiede Christine studentessa del Massachusetts in Erasmus.

    Le fa eco Marella quando esclama: “Di che si nutre? Cosa ti ispira?”

    “Sembra un meditare creativo...” s’infervora Lavinia...

    Gli spettatori davanti a tele ed artisti superano insicurezze, retrosie e titubanze dettate dalla timidezza... s’immergono in un confronto diretto, è un open minded in toto...

    Viewers illuminati s’avvicinano alle tele in punta di piedi, per poi lanciarsi in interrogativi precisi e stringersi in quesiti coinvolgenti, fino ad arrovellare mente ed anima cimentandosi in commenti e paragoni propri...

    Assistiamo ad istanti unici di confronto, frutti di interazione tra spettatori e artists, perle rare di analisi tout court di scambi reciproci tra gli stessi, in un balletto-sodalizio di points of view double directions in cui gli uni incalzano gli altri...

    E’ la sete d’arte che prende il sopravvento...

    Peregrinando nei meandri della home gallery ci avviciniamo ad un altro gruppetto di persone: c’è Katy Woodroffe che si sta decantando uno Story Telling avvincente...

    L’autrice racconta i quattro acrilici su carta dove la bellezza delle costruzioni umane incontra quella della Natura rispecchiandosi in essa, in un’indagine sulle connessioni tra mondo reale e immaginazione...

    Gli story telling sono frangenti d’arte narrata, spaccati critici di tecniche sperimentate raccontate, parole creative in itinere in cornici d’ispirazioni e stimoli dove le opere diventano spunti per nuove creazioni orali e scritte.

    Ogni corner dell’appartamento si anima e diventa un angolo approccio all’esperienza artistica: dinnanzi alle opere della canadese Donna Balma ci sembra che gli spettatori stiano mettendo in pratica la tecnica della Slow Art...

    Slow Art, un avvicinamento lento e personale che permetta oltre che vederla, anche di sentire l’opera in sè, di viverla come creazione scremata da thinking altrui, scevra da condizionamenti esterni, in un invito a una nuova fruizione libera da imposizioni incrollabili...

    A veder la scene viene da esclamare prendete il tempo che volete, non c’è fretta, l’opera è anche ‘vostra’!

    Altro quarto pilastro portante della ArtRom Gallery philosophy sono frammenti di creative writing che qui si trasforma in creative interpretation...

    Tutta la serata è stata carica di laboratori di interpretazione creativa.

    La magia della gallery consiste proprio in questo dar la possibilità a chi la frequenta di perdersi nei labirinti del proprio io prima ancora che della gallery, dell'Anima, ancor prima che della Ragione, della propria Psiche invece che delle tecniche stilistiche e scoprire che la Vita è già Arte e Bellezza in sè...

    i-Italy ha chiesto un intervista alle due artiste statunitensi, Renè Romero Schuler e Francene Levison. Le diverse interpretazioni creative ci hanno rapito, trasportandoci nella loro visione d’arte...

    La tua arte e la tua vita sono d’impronta più spirituale e meditativa, o incentrate su idee preconcette? Si fanno spazio più esperienze non razionali, intuizioni, insight o analisi della realtà? Quale aspetto prevale?

    Renè Romero Schuler  La mia vita è spiritualismo e meditatione puri. Provo a riflettere in ogni aspetto della mia esistenza. Gli insegnamenti di Thich Nhat Hanh sono stati molto influenzanti pe come mi approccio alle mie filosofie di tutti i giorni.

    Il mio lavoro, d'altrocanto,  è senza dubbio un estenzione di cosa penso e come vivo la mia vita: spero che comunichi, trasmetta e lasci vibrare la stessa forza che sento nelle mie convinzioni.

    Sono una pensatrice con l'anima, una artista sanguigna, una creativa passsionale...

    Il mio lavoro è veicolo di tutte queste espressioni...

    Francene Levison Di rado faccio analisi della realtà. Io cerco una linea dinamica, esploro la bellezza della geometria della totalità della forma forgiata da consistenze inusuali e disegni, fantasie per la mia inspirazione.

    Per Renè Romero Schulder

    In "Indian Ink on Paper" le tue tele ritraggono persone, in "Transcendessense" singoli individui e " A world view" è un mix di persone e singoli individui, ma mai scenari...

    Sul tuo statement hai detto di esser affascinata e incuriosita dal mistero della Human Condition...E' questa la Protagonista della tua arte? Quale è l'elemento più importante dal quale prendi ispirazione? 

    I diversi mezzi che scelgo per lavorare, gli stili varianti, le tecniche utilizzate, sono i cardini pratici della mia arte, così coemgli scenati che ritraggo, i soggetti che assumoni forma autonoma, i protagonisti del mio immaginario sono deliberatamente scelti in relazionea come mi aiutano a trasmettere il pathos che voglio traspaia...

    Non ho finito di sperimentare... Sono un artista in itinere, in divenire, in crescita continua...

    E non c’è fine a sogni, idee e mood espressivi che aprono le porte e indirizzano a prospettive artistiche future.

    Il mistero della human condition è come detto, a mystery, avvolto in un arcano, aggrovigliato in un enigma...  Non c’è soluzione...

    Ciò che mi ispira di più è comunque la forza dell’Umanità...

    Oltre la fisicità dei rapporti, oltre la Ragione o il Sapere, ciò che intriga di più è l’intensità delle relationship, il power of passion possess, il fuoco incandescente che brucia in ognuno di noi e i motivi per cui arde.

    Il Dolore, le Discriminazioni, l’Oppressione, gli Abusi sono fra le miserie più gravi della vita: ci induriscono, sviliscono la human nature, caricano solitudini e negatività, riducendoci in uno stato animalesco...

    E’ per evitare questo che dipingo e do efflato vitale ad opere d’arte...

    In questo consiste il mio lavoro: non pongo l’enfasi su attributi fisici dei personaggi poichè punto a valorizzarli come spiritual beings.  

    Secondo il point of view di Deepak Chopra, medico indiano, autore di saggi sulla New Age, "noi siamo esseri spirituali in corpi presi in affitto, il corpo è temporaneo, ma lo spirito dura in eterno".

    Per Francene Levison


    In "Bird Life Paper Sculptures" le tue opere ritraggono volatili artistici, in "Ocean Life Paper Sculptures" ci sono varietà sorprendenti di piante, fiori e meraviglie, ma mai persone...

    Volatili variopinti, piante iridescenti, ambiente rigoglioso... E’ il trionfo della Natura il protagonista della tua arte? Quali sono gli elementi più importanti dai quali prendi ispirazione?

    Ho l’onore di vivere nello stato della Florida. L’ambiente naturale sustains sostiene le nostre vite. E’ fragile e potente allo stesso tempo. Il movimento circolare ad arco di un uccello che immergendosi pesca la preda, the texture of felle conchiglie e del corallo, le danzanti forme di vita marina catturano, attraggono, ammaliano, affascinano e coinvolgono il mio occhio artistico.

    Per Renè Romero Schuler


    In "Indian Ink on Paper" la tua arte ha il potere di approcciarsi al mondo circostante con toni espressivi distensivi e aiuta a scorgere luce nell’oscurità...

    Tu vivi e lavori a Chicago. Realtà a tinte forti e ritmi frenetici di questa City condizionano la dimensione etnica delle tue opere? Le tue tele sono uno specchio della società statunitense?

    Penso che la mia vita abbia influenzato il mio lavoro più di qualsiasi altra cosa...  La fantasia nell’arte, è il quid, quel carpe diem, che deve assolutamente intendersi come esatto opposto alla durezza della vita, il contrario della realtà più fredda di sentimenti ed aride di poesia.

    Il mio lavoro è un gioco di dicotomie in ogni approccio che utilizzo: bellezza e stress, colori vividi e surfici tenui, essenza o apparenza, purchè mi esprima in modo tale da suscitare trasporto e moto d’emozioni...

    Per Francene Levison


    Con la “Zhe Zhi", la tecnica del saper lavorare carte e scorpire forme creative, fu diffusa attraverso l'Asia dalle cerimonie e rituali dei monaci Buddisti...

    Tu sei cresciuta a Brooklyn ed ora vivi e lavori in Florida. Realtà a tinte forti e ritmi unici di questa terra condizionano la dimensione etnica delle tue opere? Le tue sculture di carta sono uno specchio della società statunitense influenzate dalla filosofia cinese?

    Si, la forza deriva dall'unità di molti ed è una verità universale. Noi siamo molto più divisi di quanto concepiamo... E Pluribus Unam è stampato su American money...
    La forza di base delle Società si basa su idee, ideali e regole comuni.

    L’ideale cinese di unità della moltitudine non è così diverso dalla cultura occidentale.

    La cerimonia cinese di presentazione all’apertura dei giochi Olympici è un meraviglioso esempio dell’arte di unificare i movimenti modulari della danza.

    Così le mie sculture di carta modulare fanno parte della stessa modalità di forme asiatiche la mia visione è stata influenzata dalla stile cinese di modulare e modellare carta e guarda alle forme con un approccio matematico.

    Ogni singola unità di carta è un punto sulla circonferena di un cerchio.

    La crescita o decrescita del numero dei punti sui successivi cerchi determina the slope: questo tipo di scultura è analitico. Sto provando a spingere i media oltre ciò che già so che esso può essere espresso.

    Chicago e la Florida, come New York, sono realtà di vita caleidoscopiche, eclettiche e l’artista s'arricchisce, improve the talent, cresce del fascino multietnico.

    Ci sono aspetti particolari del lifestyle, di Chicago per Renè e della Florida per Francene, dal quale prendete ispirazione? Quali sono gli effetti sulla vostra arte?

    Renè Romero Schuler Adoro molti aspetti della mia casa, Chicago. Questa città mi ha supportato, incoraggiato ed abbracciato oserei dire, accompagnandomi per tutta la carriera... C’è un must, una realtà imprescindibile dalla Chicagoans philosophy, una sorta di  "just do": Noi siamo "la più grande tra le piccole città nel mondo".  

    Nonostante le sfide che la gente si trova a dover fronteggiare tutti i giorni, la speranza di sostenerle al meglio è sempre la realtà vincente che paga. Lo spirito in positive è sempre quello che ha la parola ultima su tutto. Questa sprint of energy ha certo un impatto totalizzante sul mio lavoro e sulle mie percezioni di vita...

    Chicago è il solo grande posto per vivere, non riesco ad immaginarne altri...

    Francene Levison Il lussureggiante ambiente della Florida ha avuto una grande influenza sulla creatività. Mi consente di sperimentare influenze di multi-cultural, elisir trasmessi dai miei studenti e svelatimi con la loro arte.

    Dalle antiche tecniche cinesi per modellare la carta questo è l’insegnamento più vibrante che ne ho tratto: i miei studenti mi hanno aperto universi creativi di cui mai avrei potuto imparare con un approccio scolastico...

    Per Renè Romero Schuler


    Chicago, Parigi, Miami, Palm Beach... Luoghi around the world dove hai già esposto i tuoi lavori, status symbol d’internazionalità...


    E’ la prima volta che esponi a Roma? Che differenze/somiglianze ci sono tra l'arte moderna italiana e quella americana?

    Beholding Beauty all’ArtRom Gallery è la mia prima exhibition a Rome... Sono davvero onorata di prenderne parte. I have always been told that my work has a strong European sensibility, l’ho sempre attribuito al fatto che sono Latin-American.  

    Penso che trascorrere l’infanzia a Quito, in Ecuador e vivere l’esperienza dell’immigrazione di mio padre negli States abbia rappresentato un great deal of influence su tutte le mie opere, il mio think tank sull’arte e su myself...

    Tutti noi siamo plasmati dalle cose che sperimentiamo nella nostra vita.  Credo che la maggior parte dell’arte moderna americana abbia le proprie radici in Europe, così mentre ci sono chiare differenze tra gli stili statunitensi ed italiani, non so in quali ambiti, frangenti e scorci artistici il mio lavoro possa essere categorizzato.

    Per Francene Levison


    Tu sei un membro di WITVA, Women in the Visual Arts e le tue produzioni artistiche sono state selezionate per far parte della “International Biennial Exhibit”, presso la The Rosen Gallery a Boca Raton, in Florida dove fai parte anche del The Boca Raton Muuseum of Arts Artist Guild Juried Signature Member...

    Le linee dinamiche di forme e profili di cui si nutre la tua arte ti danno l’opportunità di mostrare le tue contemporary paper sculpture around the States e hai una visione international frutto della tua esperienza creativa basta sull’arte folkloristica made in China...


    E’ la prima volta che qualcuna delle tue sculture di carta è esposta a Roma? Che differenze/somiglianze ci sono tra l'arte moderna italiana e quella americana?

    Questa è la prima volta che le mie paper sculptures sono mostrate al di fuori degli States e sono davvero onorata di questo che considero un riconoscimento per il mio lavoro ed un apprezzamento di una galleria romana.

    L’essenza di tutta la Grande arte si trova nei principi fondanti dell’arte: gli scultori vicini agli stili propri dell’arte Italiana.

    La Knowledge dei pilastri dell’arte è infusa dentro la visione artistica contemporanea. I generi possono differire, ma le fondamenta sono eterne. C’è del buono e del cattivo arte ovunque: andare a caccia dell’essenza è quanto di più formativo si possa fare sia per le nostre experiencing art che per arricchire le nostre vite.

    Prendo le distanze da alcuni artisti statunitensi che prescindono dall’arte Maestra, bypassandone gli ideali....

    Hai vinto l’exhibition "Beholding Beauty 2012": potrai esporre al tua arte presso la Artrom Gallery a Roma... Cosa ti aspetti da questa esperienza?

    Renè Romero Schouler La mia speranza è di ottenere, guadagnare, acquisire notorietà entro il panorama artistico romano. Sono davvero entusiasta di lavorare con Elizabeth Genovesi presso l’ArtRom Gallery: non vedo l’ora di mostrare la mia esperienza di lavoro qui e sentire come gli intenditori rispondono alle mie opere. Non sto nella pelle di essere nel meandri dell’arte capitolina per incontrare spettatori esperti e parlare con sensibili all’arte.

    Dopo la chiusura di Beholding Beauty 2012 Show, da lì volerò a Parigi dove il 20 giugno alla Galerie Boicos inaugurerò una collettiva con artisti statunitensi illustri ed affermati del calibro di Tony Fitzpatrick, Doug Stapleton, Michael Goro, Peter Ambrose, and Cindy Bernhard ed esporrò fino a fine luglio.

    Francene Levison Sono colpita dal lavoro meticoloso della giuria. Creare bellezza è difficile, trovarla ancor più raro. Sono onorata che abbiano giudicato le mie sculture tali da poterle apprezzare in questi frangenti d’arte...

  • Arte e Cultura

    Street art, political ideals, social values: la vita secondo Obey, tra genio e sregolatezza...

    Si metta un writer arrabbiato, il suo indiscutibile talento di graphic designer e il mood ideologico imperante nell’illustretor tutto basato sul Progresso...

    La sua street art fregiata di must del tipo “Change”, “Hope”, “Vote”...

    Si shekeri il tutto e, l’identità che traspare, risponde al nome di Shepard Fairey, in arte Obey...

    Poster artist di fama mondiale, Fairey è autore del manifesto-icona che ha accompagnato il primo senatore democratico afro-americano, Barack Obama, durante la campagna elettorale del 2008, fino allo scranno più alto della White House, contribuendo a far aumentare visibilità, notorietà e forse anche all’elezione del 44° Presidente Usa. Tanto che Obama l’ha poi pubblicamente ringraziato...

    Obey The Giant, come si fa chiamare, è tutto ed il contrario di tutto...

    Allergico alle convenzioni, restio ad esser inserito in categorie di generi, sfrutta l’insight della sua pop art e l’essential della modern street convinto che il potenziale artistico, il creative power incentiva Changing ...

    E’ con queste premesse che ci apprestiamo  alla Mondo Bizzarro Gallery, casa d’arte-gioiello che, dal 2011 ad oggi, ha ospitato più volte le stampe di Obey e tributato all’artist il giusto merito professionale nel panorama capitolino, dedicandogli ben tre personal exhibition.

    L’ultima delle quali, tutt’ora in atto, ci fa entrare nei life concepts di Shepard Fairey...

    Americano di Charleston, figlio di un medico e di un'agente immobiliare, Fairey nasce nel 1970 e cresce nella Carolina del Sud, da ragazzino non si separa mai dallo skateboard: ma non trovando né adesivi per la tavola né magliette dei gruppi punk preferiti, adotta il point of view- guide del Do It Yourself...

    Tutto comincia nell’89 a Providence, nel Rhode Island, quando Fairey, studente della Rhode Island School of Design, idea e realizza André the Giant Has a Posse, iniziativa con cui crea sticker adesivi raffigurante il volto di André The Giant, lottatore di wrestling famoso per la sua enorme stazza, con cui tappezza strade e che dissemina sui muri, in pieno guerrilla style.  

    Ribelle per natura, anticonformista per vocazione, non limita le sue incursioni a Providence, imperversando su e giù per gli States, da Los Angeles a Boston, fino a New York City...

    In breve, diventa oggetto della curiosità di coetanei e non, e di lui si accorgono sia i media sia i tutori dell’ordine. Risultato: colleziona quindici arresti.

    Comincia come un gioco, eppure quello che compie Obey è un gesto di ferma rottura...

    Il writer in erba non sa ancora che con quell’adesivo sarebbe partita la campagna che avrebbe ispirato la maggior parte dei suoi lavori degli anni a venire...

    Lo stesso Fairey ha poi spiegato che non vi era nessun significato particolare nè nella scelta del soggetto, nè nel gesto in sè...

    Il senso della campagna era quello di produrre un fenomeno mediatico e di far riflettere i cittadini sul proprio rapporto con l'ambiente urbano...

    È il primo passo di un percorso che lo porterà a mettere in gioco credibilità di strada e modus operandi ma che gli getterà addosso pioggia di critiche per le collaborazioni con brand come Visa e Apple, che lo condurranno in alto...

    Il lead che ha dato il alla visibilità planetaria di Fairey è il manifesto Hope con cui l’artista riproduce il volto stilizzato di Barack Obama in quadricromia, che marchia a fuoco la campagna elettorale del 2008, divenendone l'icona identificativa...

    Il manifesto si arricchisce e appare anche con altre due scritte: "Change" e "Vote".

    Il comitato elettorale di Obama non ufficializza la collaborazione con Fairey, perché, come nella tradizione della street-art, i manifesti vengono affissi illegalmente, ma il presidente, una volta eletto, ha inviato una lettera al writer in cui ringrazia Fairey per l'“apporto creativo alla campagna, il privilegio di essere parte della tua opera d'arte e sono orgoglioso di avere il tuo sostegno".

    Lifestyle artistico-creativo ed esistenza socio-culturale si fondono in Obey, diventano una coscienza unica, producendo un mix di passioni, mettendo in scena vortici di sentimenti e traducendosi in spinte propulsive d’impatto notevole...

    Obey appoggia proteste ed iniziative di Occupy Wall Street sia con i suoi manifesti sia segnalando sul suo sito i numeri di telefono del sindaco di New York Bloomberg, del governatore Cuomo e dei responsabili dei vari distretti di polizia, dopo gli sgomberi e le cariche subiti dai manifestanti del movimento.

    Le opere di Obey trovano spazio tanto in strada con manifesti, adesivi e poster quanto nelle gallerie d’arte su tela o tavole, pezzi unici o in tiratura limitata...

    Cosa troveremo nei locali della Mondo Bizzarro Gallery? I muri parlano di arte e politica... Le pareti ci raccontano frammenti di miti americani...
    Gli scorci ci sussurrano 
    la storia della street art statunitense...
    Dall’androne della Gallery, il tour di i-Italy si snoda tra le prints di personaggi-leggenda...

    Davanti ai nostri occhi campeggia Obama progress, il manifesto che Fairey ha dedicato al sostegno della campagna elettorale di Obama, quadricromia famosa a livello planetario, dove al poster s’accompagnano Hope, Vote, Belive, words dalla portata enorme...

    Sguardo ispirato, espressione sognante, ma tenace, lungimiranza illuminata proiettata nel futuro...


    Con la stampa siamo dentro la visione del social change del writer, inteso come politiche di sfida e cambiamento...

    Procediamo, lo sguardo è rapito dalla calda attualità americana...

    Ecco il tessuto connettivo della real-politic statunitense che si fa strada dinnanzi a noi e prende forma...

    Siamo dinnanzi alla maschera senza volto, ma dalla forte ideologia di Anonymous, che si erge a Phantom of Opera di giustizia mondiale, passiamo tra le action-moving de We are 99%, movimento di protesta di Occupy Wall Street, fino ad arrivare al mondo delle Arab Spring, stravolto dalla total ribellion, universo rivoltato dalla civil war, sovvertito dal sangue dei manifestanti, le cui prints in Obey si trasformano in Speranza, hanno i lineamenti puri di donne...

    Così come è donna un altra stampa per eccellenza, quella dedicata ad Aung San Suu Kyi, leader politica della lotta non violenta per l’indipendenza Birmana, anche lei immortalata tra sfumature e nuance illuminate da toni di forza e pace... Ideals che riecheggiano quando, di seguito, ammiriamo il ritratto di Ghandi, emblema di Pacifismo...

    Un fil rouge invisibile lega entrambe le opere alla celebre Defend Equality Love Unite, in cui Obey ci mostra come dallo stradiffuso pugno rivolto in alto, scaturiscono, fermi ed imprescindibili, i valori d’Uguaglianza e Giustizia sociale...

    L’excursus targato Andy Warhol, prosegue nella seconda stanza della Mondo Bizzarro Gallery...

    Ci affacciamo su un tripudio di scatti politici, storici, a carattere cosmopolita, rivisitati da Shepard Fairey in chiave pop-modern art...

    Torniamo indietro nel tempo alla prima metà del ‘900 con stampe rosse di Stalin, Lenin, Mao e Marx, incorniciate di Revolution ed ideologie...

    Un Regan ridente, ma dal volto graffiato stringe in mano gli slogan Legislative Influenze for sale e Corporative Violence for sale...

    In Nixon è facile scrutare l’espressione di spauracchio dello scandalo Watergate...

    Ci avviciniamo alla contemporaneità con ben due stampe di Bush junior che, nella prima assume i tratti di un moderno Hitler, ritratto con i caratteristici baffetti squadrati ed in un altra stringe in mano una bomba...

    Segno eloquente di colpevolezza agli occhi di Obey per aver appoggiato la guerra in Iraq...

    Ma è sul finir dell’exibition, quando s’immagina ormai di aver visto tutto, che alberga l’ultima chicca, quella finale, che regala anche una dimensione nazionale al nostro peregrinare tra i meandri psichedelici della street art obeyana...

    Un Silvio Berlusconi fa bella mostra di sè, ritratto con fare scanzonato, strabordante di risate e che straccia la bandiera italiana, quasi a volersi prender gioco del Paese...

    Tra il serio ed il faceto, sbattendoci in faccia la verità cruda o filtrata d’ironia, tra una risata ed un ghigno... è questa la vita per Shepard Fairey, alias Obey...

    È incarnando tale spirito che il painter-writer sovversivo realizza le sue opere, dall'aspetto quasi ornamentale, ma dalla tempra, contenuto ed ideologia politica schierata, densi di sense of humor e carichi di pathos...

    E’ una start up-fucina di valori insospettati, questo graphic artist ribbelle...

    Shepard, con la sua pop-art di strada elevata al top, comunica il proprio think tank sul monopolio della pubblicità sulle menti nelle megalopoli...

    Paesaggi urbani falsamente romantici, perché rovinati da industrie, smog e ripetitori, come in These sunsets are to die for ci costringono a riflettere su come il business system imperante colpisca l’Uomo, tramite il perturbamento del tessuto urbano, in ogni dove, fisico e metafisico, in una dimensione reale o mentale, obbligando il passante, assuefatto ai messaggi pubblicitari che quotidianamente lo bombardano, a chiedersi “cosa sto guardando? Cosa vogliono farmi comprare?”

    L’arte dell’illustrator trasuda messages come high Need, big Necessity, social Problem primi fra tutti carenza d’acqua e siccità nei Paesi in via di sviluppo del Terzo mondo sinonimi di arretratezza e disperazione...

    Obey, con il power of images, ci proietta in Environment sconquassati, donne e bambini assetati, si fa carico di dar voce ai Popoli inascoltati...

    Il Bad Boy della street art con le sue produzioni pone l’enfasi su values, ideals e must dell’esistenza...

    “Diritti umani”, “Democrazia”, “Pace”, “Giustizia”, “Privacy”, “Libertà civile”: ecco i principi dell’essere, i cardini della vita, i pilastri portanti dell’Umanità alla luce dei quali Obey si muove...

    Il guru del graphic design ha elaborato uno style tutto suo e son davvero tanti i riferimenti cui si ispira per "realizzarsi" e che attraversano le sue opere...

    Dall’interesse per il Costruttivismo russo alla propaganda sovietica che forgiano l’identità e pensiero di Fairey...

    Dal point of view tecnico, il writer trae ispirazione dalle opere dell’illustrator newyorkese Milton Glaser, l’ideatore del logo I LOVE New York e stimoli dai lavori grafici dell’artista concettuale Barbara Kruger.

    Ma quella di Obey è anche un’arte che ha conosciuto influssi d’eccellenza con il mito della pop modern Andy Warhol e impronte di genio dadaista dal sommo rappresentante del movimento, Jasper Johns...

    Shepard Fairey fa incetta di film di John Carpenter, fa propri e rielabora i test di Rorschach, assorbe scritti di Marshall McLuhan e si nutre della filosofia heideggeriana...

    Tutto converge in un gesto grafico capace di unire azione politica e culturale.  

    In Obey c’è anche tanto di McLuhan...

    “Il mezzo è davvero il messaggio che si esprime con fenomenologia heidegeriana - dichiara lo stesso Fairey nel suo Manifesto -, e consente all’essere umano gettato nel mondo di vedere ciò che è giusto davanti ai propri occhi, senza essere oscurato da un’osservazione astratta, cosicché le cose si manifestino”.

    Straripano collaborazioni e contaminazioni tra i generi d’arte, autentici mix gioielli, con cui Obey infarcisce la sua carriera...

    E’ mitica l’irruzione di Fairey ne I Simpson: da vita ad una gallery con la rivisitazione di Bart ed in cambio, gli autori del cartoon girano "Exit Through The Kwik-E-Mart", spassosissima parodia in cui Obey viene celebrato in una puntata dove Bart decide di diventare uno street artist e tappezza i muri di Springfield con lo stencil del faccione di Homer, apostrofando il logo del  writer. 
     

    Ma non basta stare “con i piedi per Terra” e il Nostro fa un giro anche altrove. Nello Spazio...

    Shepard Fairey balza nello spazio interplanetario cimentandosi in un ambito completamente diverso da quelli toccati in precedenza, l'esplorazione spaziale... 

    L'artista progetterà il logo per Ark1, acronimo per Advanced Science and Research, missione della Nasa, in programma per settembre 2013, per il primo volo completamente gestito dal Casis, Center for the Advancement of Science in Space, organizzazione no-profit istituita dal Congresso degli Stati Uniti per promuovere la ricerca scientifica a bordo della Stazione spaziale internazionale.

    “Volevo riprodurre gli aspetti più affascinanti della stazione spaziale e dare un senso di movimento -ha commentato l’artist- ma in un logo lo “spazio” a disposizione è limitato e bisogna semplificare gli elementi perché l'insieme funzioni: ho provato a ridurre e rendere astratta la stazione internazionale, cercando di dare al logo un buon aspetto d'insieme”...

    E sembra proprio esserci riuscito...

    Public Enemy e Metallica sex Pistol, Led Zeppening,

    Personaggio fuori dagli schemi, carattere sui generis, indole turbolenta, Fairey è conosciuto anche per il suo fare controverso...

    E criticato su più fronti...

    Esponendo nella galleria newyorkese di Jeffrey Deitch poco prima che questi diventi direttore del Museo d’Arte Contemporanea di Los Angeles, Obey incrocia il mondo della moda sostenendo di “non tradire né l’ideologia né l’iconografia delle origini”, basate sulla presa di coscienza...

    Suona strano detto da uno che qualche anno prima mise a ferro e fuoco Providence, Los Angeles con stickers per scuotere gli animi dal torpore di paiette e marketing pubblicitario patinito...

    E piovono giudizi piccanti quando il writer per il suo ritratto di Obama, finito sulla copertina di Time e acquistato dalla National Portrait Gallery di Washington, viene citato in tribunale dall’Associated Press: nel realizzarlo ha utilizzato una foto senza curarsi del diritto d’autore.

    Davanti ai giudici mente, si aggrappa a documenti falsi. Dopo due anni le parti arrivano a un accordo, ma i termini restano confidenziali...

    Idem dicasi per il diktat l’illustratore californiano Mark Vallen che lo accusa di plagio, come se Andy Warhol o Jamie Reid non fossero mai venuti al mondo.

    Manifesti infarciti di slogan politiche...
    Poster densi di ideologie di vita...
    Stampe vibranti  di invettive-must...

    Quando lasciamo la Mondo Bizzarro Gallery una celebre frase di Majakovskij, ripresa da Shepard Fairey, riecheggia nella nostra mente : «Le strade siano i nostri pensieri e le piazze le nostre tele»...

    Con gli occhi ancora pieni di leit motive della street art, i-Italy ha incontrato Sabina De Gregori, autrice del volume Shepard Fairey, in arte Obey, che ci ha fornito le chiavi d’interpretazione delle stampe, regalandoci cammei sull'artist.

    Shepard Fairey nell'89 a Providence idea e realizza André the Giant Has a Posse, iniziativa con cui dissemina i muri della città con sticker che riproducono il volto del lottatore di wrestling André the Giant.

    E' un atto artistico di notevole rottura con la tradizione della street art del momento: che senso ha tale gesto creativo? 

    Oggi, a distanza di anni, e con alle spalle una carriera da writer, graphic designer e illustrator "al top" delle potenzialità d'espressione, Obey focalizza l'attenzione sulla società. Questa influenza il suo point of view sulla vita? Qual'è l'elemento più importante dal quale prende ispirazione?


    La creazione dello stickers André the Giant has a Posse è nata come un gioco, non c'era l'intenzione di creare una rottura con la street art o con la tradizione artistica del periodo...
    Il senso era quello di creare qualcosa di nuovo, soprattutto nella pratica dello adesivi, nell'idezione di immagini icastiche, ma soprattutto nel tappezzare l'intero paese con la stessa immagine che ha poi fatto da cassa di risonanza e catturato l'opinione pubblica. 

    Il meaning della campagna era quello di produrre un fenomeno mediatico e di far riflettere i cittadini sul proprio rapporto con l'ambiente urbano...
     

    The Giant in nuce già conteneva il nucleo del messaggio principale dell’arte di Obey: colpire tramite il perturbamento del tessuto urbano, obbligando il passante assuefatto ai messaggi pubblicitari che quotidianamente lo bombardano a chiedersi “cosa sto guardando? Cosa vogliono farmi comprare?”...

    Obey immortala social movements e protagonisti della attualità incandescente, Arab Spring, Occupy Wall Street, Anonymous, Aung San Suu Kyi, leader dell'opposizione birmana, Defend Equality Love Unite.

     

    Le proteste sono protagoniste della sua produzione artistica?

    Sicuramente la scena ma soprattutto la denuncia sociale è al centro del lavoro di Shepard. I manifesti che ha creato per la Primavera araba e per Occupy Wall Street sono diventate delle icone-status symbol, rappresentative del momento e portatrici di un messaggio di cambiamento, di rivoluzione, di supporto alla causa.

    L'arte di Obey è inequivocabilmente legata alla stampa sul Presidente Obama. Durante la campagna elettorale del 2008 l'illustretor ha supportato l'allora senatore di Chicago con le sue stampe e Obama, una volta eletto, lo ha pubblicamente ringraziato.

     

    Quali ideali, valori, riforme e sfide politiche di quello che sarebbe divenuto il primo Presidente nero alla Casa Bianca infervorarono Obey?

    Più volte Obey ha dichiarato di non essersi mai schierato politicamente a favore di qualcuno...

    Prima dell'arrivo sulla scena statunitense di Obama aveva solo realizzato un poster contro Bush, ma mai un lavoro in cui dovesse sbilanciarsi verso una fazione politica.

    Quello che ha colpito Shepard dell'approccio di Obama è stata la novità, la volontà di cambiamento, che poi ha scelto come unica parola da apporre sul manifesto "Change".

    Un altro aspetto che ha inciso moltissimo è stata la capacità di coinvolgimento dei cittadini, soprattutto giovani, nella campagna elettorale.

    Oltre a questo, l'idea che gli Stati Uniti potessero eleggere il loro primo Presidente nero era già di per sè un grande elemento rivoluzionario...

    Fairey ha preso posizione anche durante la seconda campagna obamiana? E' di nuovo sceso in campo con altre produzioni a sostegno del Presidente?

    Si è detto soddisfatto delle politiche e strategie di cambiamento messe in atto?

    L'immagine di Obama è rimasta nella storia e lo stesso Presidente ha dichiarato l'importanza che ha avuto nel buon fine della campagna elettorale: Obey ha avuto la capacità di renderla sacra ed è stato il miglior canale di comunicazione per le persone che ne hanno condiviso appieno la forza e la potenza mediatica.

    "Sono fiero di far parte del Change in atto -ha dichiatrato Obey in una recente intervista- perchè ciò dimostra che anche chi è fuori dal sistema e dalle lobby può influenzare la politica. Certo oggi Obama è troppo sulle difensive, continua l'artist, dovrebbe ritrovare la passione, la relazione emotiva con la gente che aveva in campagna elettorale"...

    "Ci sono cose che mi hanno deluso: la riforma sanitaria troppo fiacca, il sì alle trivellazioni. Ma su tanto altro sta facendo bene"...

    Qualche piccolo neo c'è , ma Fairey comunque continua a sostenere Obama e l'icona che ha creato vive di vita propria, rimane il simbolo dell'elezione e del cambiamento che è iniziato, avvenuto e che non si è mai fermato.

     6) Dalla real-politic odierna Obey irrompe prepotentemente anche nel passato...

     

    Sul versante della politica interna ritrae Nixon, Carter, Regan, e non si fa mancare nulla in politica estera dove omaggia Marx, Lenin, Stalin, Mao... 

    Sulla quadricromia del volto di Obama campeggiano, alternandosi a vicenda, "Hope", "Vote", "Believe", "Progress"... 

     

    Parole-azione, slogan, battute, must tappezzano le altre stampe e incarnano ancor più lo status di graphic designer-illustrator mixato al writer pensante dell'artista, perchè arricchito da un think tank unico e esclusivo nel suo genere proprio di Obey, divenendo segni inscindibili della sua arte neo-pop... 

    Obey è uno street artist ma oggi è completamente immerso nel mercato.

    Ha l'atto creativo del pubblicitario con l'irriverenza dello street artist.
    E' sfacciato ma capace di mettere le parole ad hoc accanto alla giusta immagine.
    La sua è propaganda e riesce a centrare ogni volta il messaggio corretto da lanciare tanto da renderlo uno strillo più che un commento.

    Ha una grande capacità comunicativa, conosce i meccanismi del marketing alla perfezione. Tanto da sfruttarli a suo vantaggio in ogni approccio ed occasione... 

     
    Dal Costruttivismo russo alla propaganda sovietica, passando per I LOVE New York, opera d'arte dell'illustratore newyorkese Milton Glaser, ideatore del logo, e i lavori grafici dell’artista concettuale Barbara Kruger: Obey con la tecnica da poster-art in stile post-bolscevico condita da chiare impronte targate Andy Warhol e Jasper Johns, omaggia il genio di Carpenter, interpreta gli scritti di Marshall McLuhan, i test di Rorschach e la filosofia heideggeriana...

     

    C'è questo e quanto altro nell'Obey style-manifesto

    Oltre a tutto questo c'è l'attenzione millesimale per la realtà, che deve essere immancabile per dare un senso al proprio lavoro, renderlo attuale e valorizzarlo. Se un artista non parla al presente è difficile che smuova qualcosa di importante.

     
    Dalle prints di Bart Simpson al logo Ark1, prossima missione della Nasa nello spazio: il power of illustration di Shepard Fairey spazia a 360° su campi inimmaginabili... strizzando l'occhio ad una energy source in particolare. Quella musicale. 

     

    Fairey celebra i suoi eroi musicali traendo spunto da Joe Strummer e Johnny Cash, rivelando la passione per Sex Pistols, Metallica e Led Zeppelin...

    Certo, la musica è sempre stata al centro del suo lavoro... 

    Più volte ha raccontato lui stesso che a Charleston non esistevano negozi di merchandising musicale, magliette o gadget... e che ha iniziato a produrli da solo per sé e per i suoi amici. Ha proseguito lavorando in un negozio di skate e quando il proprietario ha visto il materiale che creava ha iniziato a metterlo subito in vendita. ed erano gli articoli che vendevano di più.

    I lavori di Obay hanno risonanza internazionale: anche in Italia ha esposto per ben 3 volte alla Mondo Bizzarro Gallery, a Roma, e varie a Milano...

    Quali sono le principali somiglianze e/o differenze, se esistono, tra pop modern e street art italiana e quella statunitense?

    Ogni genere di street artist è diversa dagli altri, è questo che la rende così innovativa e originale. I paesi di appartenenza non rappresentano un linguaggio comune. Possono offrire degli spunti ad alcuni piuttosto che altri, ma in genere le voci personali degli artisti sono indipendenti e ognuno lavora su temi differenti, che stimolano una creatività specifica e molto individuale.

    Fairey ha dedicato una stampa a Silvio Berlusconi. Singolare la scelta di ritrarre un leader politico che strappa la bandiera nazionale e, per di più, alle prese con grasse risate...  

    Bizzarra si, ma non strana, anzi assolutamente in linea con l'approccio critico e di denuncia della società che mette in atto Obey.
    Anche Banksy, a cui è stato attribuito ma non si ha la certezza sia veramente autentico, ha fatto uno stencil di Berlusconi colpito dalla statuetta a Milano, sotto la stazione Garibaldi...

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