Empire State. L'Arte targata New York approda a Roma tra kitsch e old fashion...

Francesca Di Folco (June 29, 2013)
Fino al 21 luglio Palazzo delle Esposizioni a Roma ospita l'exhibition sull'arte targata Manhattan per strabiliare gli estimatori con miti e leggende lanciate dalla City, realtà mutevoli che dalla Big Apple fanno tendenza, perle di creatività caleidoscopica che di New York hanno fatto lo status symbol per eccellenza fino a definita"la nuova Roma" del terzo millennio artistico. Ad organizzare l'evento Alex Gartenfeld, curatore al MoCA, Museum of Contemporary Art di Miami e il critico britannico Norman Rosenthal

Tramite la pittura, la scultura, la fotografia, i video e le installazioni, gli artisti di "Empire State" esaminano il ruolo di New York nel contesto globale, in un momento in cui la vita urbana è ovunque oggetto di una ridefinizione sempre più veloce.

Dal 23 aprile e fino al 21 luglio 2013, ha aperto i battenti al Palazzo delle Esposizioni nella Capitale del Belpaese, "Empire State. Arte a New York oggi", art-exhibition concepita da Alex Gartenfeld scrittore, editor online e art director indipendente  newyorkese, nominato quest’anno curatore presso il MoCA Museum of Contemporary Art di Miami e dal critico britannico Norman Rosenthal.

Kermesse d'arte intergenerazionale dal carattere ambizioso, Empire State punta i riflettori e porge all'attenzione critica del pubblico le opere di venticinque artisti newyorkesi, tra emergenti e affermati: il lavoro di ciascuno emerge con taglio approfondito,  piglio risoluto, ed è valorizzato da una sferzante sequenza di opere inedite, che nella location di via Nazionale sono alla loro prima esposizione.

Da cosa ha origine il titolo dell'exhibition? E' presto detto, ma la risposta, per nulla univoca, porta con sé sfaccettature multiformi...


 Il particolare appellativo fa riferimento da un lato all’inno hip-hop creato nel 2009 dal re del rap Jay-Z con la musicista Alicia Keys e dall’altro a Empire, un trattato sul capitalismo globale guidato dagli Stati Uniti, pubblicato nel 2000 da Antonio Negri, filosofo, intellettuale e politico italiano e Michael Hardt. 
 
Non basta, Empire State può essere considerata la risposta del XXI secolo al celebre ciclo pittorico "The Course of Empire" di Thomas Cole, artista americano nato in Inghilterra. Realizzate a New York tra il 1833 e il 1836, le imponenti tele di Cole raffigurano l’ascesa e il declino di una città immaginaria situata, proprio come Manhattan, alla foce di un bacino fluviale.

Con queste premesse a metá tra le tele pseudo immaginarie, che hanno tanto di reale di Cole, il sound in bianco nero targate A-Jay e Alice Keys, il nostro Think Tank fluttua anche tra il filosofico, il commento critico ed il pensiero impegnato partorito da Antonio Negri e, librandosi in alto, possiamo solo immaginare il mix di State of Mind che ci attende... 

Ci addentriamo in Empire State...

L'impressione che si ha muovendoci fra painting e stampe è quella di un'exhibition capace di dar vita ad un'allegoria illustrativa per svelare trasformazioni socio-economiche degli Stati Uniti, le loro ripercussioni sulle distribuzioni di ruoli, la fiducia in sé e l'impatto del potere nella nazione.

L’Empire State Building, un tempo il grattacielo più alto del mondo, è ancora un’attrazione turistica, ma oggi la sua mole sembra piccola in confronto ai mega edifici costruiti nei centri urbani in rapida espansione in remoti angoli del mondo.

Metafora degli andamenti altalenanti delle philosophy of life? Forse...

Davvero tanti gli artisti presenti in mostra: Michele Abeles, Uri Aran, Darren Bader, Antoine Catala, Moyra Davey, Keith Edmier, LaToya Ruby Frazier, Dan Graham, Renée Green, Wade Guyton, Shadi Habib Allah, Jeff Koons, Nate Lowman, Daniel McDonald, Bjarne Melgaard, John Miller, Takeshi Murata, Virginia Overton, Joyce Pensato, Adrian Piper, Rob Pruitt, R. H. Quaytman, Tabor Robak, Julian Schnabel e Ryan Sullivan. 

Ci muoviamo tra l'americanità dei padiglioni a specchio di Dan Graham che gettano un ponte tra arte minimalista e architettura per riflettere e moltiplicare la forma umana...

Scrutiamo i tredici nuovi dipinti della serie "Antiquity", dove Jeff Koons utilizza la tecnica per manifestare il proprio interesse nei confronti del classicismo e della mitologia greca e romana nello sfondo newyorkese...

Le nuove fotografie di Michele Abeles includono le sue vedute di installazioni, in un costante processo di revisione e adeguamento al contesto della propria autobiografia che trasuda origini Usa.

Ed eccoci a rimirar vecchie stampe di una stazione allo stesso tempo pietra-miliare, base, fondamenta, pilastro portante dell'archittettura newyorkese, dove l'ingegneria fa rima con la mitologia del viaggio a Manhattan: Penn Station...

Per una nuova e singolare opera su commissione, Keith Edmier reinventa il monumentale baldacchino barocco della basilica di San Pietro seguendo il linguaggio vernacolare dell’antica Pennsylvania Station.

Progettata da McKim, Mead & White e realizzata nel 1910, all’apice della rivoluzione industriale americana, la Penn Station d'epoca era un capolavoro di architettura neoclassica d’impronta romana che, ispirata alle terme di Caracalla, attestava il ruolo di New York quale capitale culturale e commerciale del Nuovo Mondo. Demolita nel '63, al culmine della smania newyorkese per la "modernità", fu sostituita dall'attuale costruzione definita dai più "anonima e scomposta", ma lascia ben impresso il ricordo della stazione nell’immaginario collettivo come la testimonianza perduta di un impero, Empire, per l'appunto, passato e futuro.

Artists di stanza nella Mela ci consegnano una metropoli dove immagini e simboli diventano icone universali: le loro opere d'arte visive prendono vita cos'ì in un laboratorio fotonico, articolandosi lungo un percorso di mutamenti a 360 gradi e trasformazioni eclettiche, per capire come nasce un’idea, cambiare prospettive e point of view, rovesciare le situazioni e creare relazioni inedite...

Gli occhi degli artisti capovolgono e stravolgono il mondo, insegnandoci a pensare al contrario...
 

Nel suo percorso espositivo la rassegna suggerisce i diversi modi in cui è possibile per gli artisti re-immaginare il rapporto tra la loro Comunità e la City, focalizzando l’attenzione sulle eterogenee reti di potere che ne condizionano la vita, in un eterno andirivieni di up and down, dandone una chiave interpretativa non sempre positiva.

Nell'addentrarci in Empire notiamo subito che i quadri ritraggono source of life, linfa creativa, insight artistici insiti nella Grande Mela, eppure allo stesso tempo ne segnano battute d'arresto, limiti e incetezze vere o presunte

"Manhattan è un accumulo di possibili disastri che non avvengono mai", ha scritto il celebre architetto e teorico Rem Koolhaas, "su New York si abbattono  a cadenza più o meno regolare ed altalenante previsioni, stime e ipotesi tra le più nefaste: la leggenda più diffusa è  quella di un possibile pseudo declino artistico, la sua eclisse creativa".

Nell’era della globalizzazione, mentre gli esperti ne annunciano incomprensioni di stili, fraintendimenti di generi, scambiati per decadenze,  Empire State ci racconta come la Comunità d'arte della Mela ammetta qualche defaiance dettata da commistioni convulse di lavori, ma rimane pur sempre una forza egemone delle arti visive, un autentico shake di dialogo-interazione con la più eterogenea concentrazione di musei, enti, organizzazioni, gallerie, fondazioni e spazi pubblici, un moto continuo e costante di empatie artistiche che si nutrono dell'anima della City, la interpretano a dovere, sviscerandone emozioni, sensazioni, stati d'animo, sviluppando un che di simbiotico...

Mahnattan-Empire State, è l'araba Fenice del terzo millennio che risorge sempre dalle sue ceneri...

Girovagando nei meandri della esposizione l'impressione che abbiamo è che da Empire State scaturisca una genealogia di artisti...

Dovendo confrontarsi con un mondo dell’arte che assume sempre più una dimensione imprenditoriale e si espande a livello globale come una novella Torre di Babele in odore di Bisanzio, gli artisti attivano una serie di reti in perenne movimento: relazioni, collaborazioni e scambi che vanno al di là delle barriere imposte dalla generazione, dal genere, dall’ottica o dalla tecnica individuale.

Così, R. H. Quaytman propone una nuova selezione dei suoi ritratti di artisti newyorkesi, espressione visiva dell’atto del lavorare in rete e dell’invisibile disegno tracciato dal potere e dallo scambio...

L'exhibition presenta, per la prima volta in un contesto internazionale, l’opera di Tabor Robak, la cui arte circola principalmente in rete e solleva domande fondamentali sul nostro modo di definire la comunità internazionale dell’arte e sui suoi privilegi.

Gli artisti di New York non sono nuovi alla manipolazione dell’autorialità attraverso i collettivi: un numero significativo di quelli presenti in "Empire State" sono stati coinvolti in gruppi come Orchard, Reena Spaulings, 179 Canal e Art Club 2000.

Dall’interno di questa struttura socio-creativa, gli artisti di “Empire State” aprono spazi di potere e portano alla luce alcuni dei canali attraverso i quali la marea di comunicazione, immaginazione e persuasione fluisce all’interno della loro Comunità per poi defluire nel mondo esterno attraverso la presa di coscienza di movimenti di pensiero, scambi culturali, emergere di ideologie sociali...

Empire State scandisce così rilevanze ed enfasi di intrecci tra arte & indole politica...

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