Nella domenica delle Palme. Quando vince la PACE
Da quando una colomba ne portò un ramoscello stretto nel becco significò pace. Il volo libero del bianco alato consegnava nel verde ramo la speranza che l’umanità avrebbe potuto vivere giorni migliori: la guerra era alle spalle. In settimana studenti delle Università di tutto il mondo, circa tremila delegati di oltre 110 nazionalità, si sono ritrovati a Roma per il WorldMun 2016, venticinquesima edizione dell’Harvard world Model united nations, le cosiddette “Olimpiadi” dei Model united nations, la più grande e importante simulazione di sedute delle Nazioni unite del mondo, per parlare di futuro, di pace, per trarre insegnamento dal passato e ridisegnare il futuro della politica e dell’umanità.
Oggi è la domenica delle palme e la memoria si intenerisce andando al tempo in cui noi, allora giovani, figli di una guerra alle spalle, racconto dei nostri vecchi di un assurdo consumato sulle frontiere dell’odio, mettevamo qualche fogliolina all’asola e ci attrezzavamo dalle prime ore a vivere il giorno di festa, il grido dell’osanna che apriva la settimana santa. Era inizio di passione e attesa di Resurrezione che scorreva come giorno di incontri, festa di riconciliazione, di perdono, di fiducia, di futuro. Le foglioline dall’asola o dalle borse passavano alle mani, agli affetti e consegnavano nel gesto antico un bisogno presente di pace.
Si portava a casa la palma, il ramo della riconciliazione e dell’attesa della festa, che palma non era ma, benché ad altro ramo appartenesse, il frutto che si passava era quello uguale di festa desiderata, di armonia attesa, di famiglia riunita. Si portava a casa la palma-ulivo e si conservava per la domenica seguente quando, immersa nell’acqua benedetta, ogni padre per lo meno una volta l’anno si faceva coraggio e vincendo strani pudori aspergeva la sua famiglia, benediceva il capo dei suoi e aggiungeva commosso: “Abbiamo visto un altro anno!”. E anche quando, passata la Pasqua, la palma era ormai pronta a seccare, si conservava con gelosa cura come speranza che la commozione per l’amore spartito, quel gesto profondo e semplice, il sentirsi benedetti dal proprio padre, durasse per tutto l’anno, accompagnasse con immutato vigore la famiglia a vivere la pace di quel giorno. Seccava il ramo non la speranza, seccavano le foglioline che, ormai brunite, cadendo scricchiolavano sotto le scarpe. Non seccava la gioia di sentirsi casa, di sapersi protetti in casa propria. Napoli era tutta una famiglia, perché ogni famiglia era Napoli.
Oggi non è più così. Non è nostalgia che comunque serve a reggere la storia anche quando la storia diventa amara, ma è la dura costatazione che la città sa ormai emozionarsi solo quando la sua squadra del cuore mette in rete la vittoria. Una città mai capace di capire se stessa, di vedere dentro di sé, una città difficile da raccontare a chi la guarda da lontano, ancora più difficile passarla in questi giorni complicati, in cui le fronde odorose di ramoscelli d’ulivo dovranno coprire lo squallido gioco di potere tra bande di giovani mai educati alla pace, di adulti rinchiusi in un mortale menefreghismo, di uomini e donne costretti da un presente malato al solo passato. Quando prevale l’odio, esplode la guerra, quando vince il dialogo, nasce la speranza, quando si affermano le paure i popoli diventano deboli, quando vince il coraggio di stringersi la mano, vince la pace. Difficile da spiegare la festa nel giorno dell’abbandono della nostra terra, e tuttavia il coraggio della speranza si esalta proprio nel giorno della prova.
Al World Model United Nations si è parlato di futuro, e la pace si costruisce solo se il futuro, anche nella nostra città, è più importante del passato. Sperare è categoria da atleta speciale che non corre per gareggiare sugli altri ma con se stesso, con il suo domani che vuole diverso da un presente sofferto, schiacciato dal sopruso. Speranza è lottare per un giorno migliore non più prigioniero di lutto.
Napoli non è solo il suo problema, non è la scelleratezza di quanti, passando sul suo cadavere, fanno bottino delle sue carcasse. Napoli è sapore di famiglia da ristrutturare, che vuole ripercorre le vie della pace, che vuole sentire di nuovo la memoria brillare di benedizione, anche se è forte la sensazione di essere, agli occhi degli altri e non solo, maledetti per sempre. Napoli è il gusto dei gesti, delle parole antiche che non possono, non debbono rimanere patrimonio di soli ricordi.
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