Consoli, oltre la bella musica

Veronica Diaferia (September 24, 2007)
Per quelli che conoscono, la notizia non stupisce affatto: la fama internazionale non è altro che la naturale conseguenza di una carriera votata all’evoluzione e a migliorarsi continuamente, senza paura di aprirsi a collaborazioni, senza mai ripetersi e accontentarsi di ciò che si è ottenuto. Ed è sicuramente l’unica Italiana a frequentare da anni con straordinaria regolarità i palchi A ben guardare, quella di Carmen Consoli, catanese, 33 anni appena compiuti, è una carriera che ha guardato all’America e al suo rockdell’America e di New York, uno per tutti quello del Joe’s Pub...


...(ma anche al blues e al jazz) sin dagli esordi (Due Parole, 1996), per poi gradualmente virare verso una direzione più etnica e mediterranea con il suo ultimo album Eva contro Eva, 2006.


Tutto parte dalla Sicilia, quando una Carmen appena adolescente, suonava fino a notte fonda nei club di Catania, senza temere mai il pubblico ma anzi sfidandolo e crescendo sempre più, fino agli esordi rock melodici a metà degli anni ’90 sul palco di San Remo in varie edizioni del festival.


Qui Carmen Consoli diventa nota al grande pubblico e si impone come icona pop della cosiddetta MTV Generation. A differenza di molti colleghi però, non si accontenta mai e non si siede sui risultati già ottenuti. Questa è forse la chiave di lettura per capire la carriera decennale dell’artista catanese e il percorso di ricerca personale e musicale che l’ha portata da Catania a New York, passando per la provincia italiana e le grandi capitali europee.


Quando glielo faccio notare, nell’intervista telefonica che ci ha concesso prima di sbarcare in America, ci tiene a precisare subito la sua linea: “Non mi adagio, non mi accontento mai di quanto abbiamo raggiunto”.


Ed è un’artista con un credo contadino, decisamente mediterraneo, quella che entusiasta mi racconta dell’importanza della semina e del raccolto, del fatto di come il concerto di New York sia il frutto di quanto di buono in questi anni lei e i musicisti con cui collabora abbiano seminato. Ed è sempre lei a confermare come nulla vada forzato ma come il tempo debba passare tra semina e raccolto e come sia essenziale seminare emozioni e sentimenti con autenticità ed onestà sui terreni fertili della musica.


L’America è sicuramente un terreno fertile per lei e i suoi musicisti (Carmen parla sempre al plurale perché si sente parte di un gruppo, perché “specialmente noi Italiani siamo animali sociali”). L’ha dimostrato a più riprese, suonando/seminando in piccoli locali di New Yok ed ogni volta che tornava il pubblico si faceva sempre più numeroso, confermando così la sua tesi che se si rimane autentici ed onesti il pubblico ti segue e si allarga, anche se non canti in inglese, anche se proponi sonorità lontanissime dal pop.


L’abbandono del rock melodico, la riscoperta delle proprie radici sono anche serviti a non montarsi la testa, a non ripertersi ed a rassicurare il suo pubblico che lei non avrebbe mai iniziato a cantare i propri successi come un asettico jukebox.


Anche da qui l’importanza che questa artista ha dato alle collaborazioni e agli album live, come quello per MTV (Un sorso in più, 2003) o quello fatto in occasione del tour acustico del 2001 (L’anfiteatro e la bambina impertinente).


Carmen stima l’America e le radici musicali dell’America “dalle quali nasce tutto” ed ha sempre avuto un orecchio attento per i grandi interpreti come Billie Holiday, Frank Sinatra o Janis Joplin, per citarne alcuni. Si chiede cosa abbia reso grandi questi nomi e si risponde da sola dicendo che tutti sono accumunati dalla ricerca delle proprie radici.


Ecco perché Carmen arriva a New York e non farà né rock né blues, ma si dedicherà alla sua Sicilia e alla tradizione musicale siciliana, che tanta parte ha avuto anche nella storia musicale statunitense. “Basti ricordare alcuni ritornelli di Sinatra – si affretta a precisare - come il loro giro armonico sia molto italiano”.


Un altro elemento che rende grandi gli artisti (di nuovo citando la Joplin) è l’attitudine con cui si fa musica, perché la musica è soprattutto un’urgenza, l’urgenza di esprimersi e di esprimersi per ciò che si è, autenticamente. Questo rende la musica universale e rende uguali nella musica, per cui un’artista catanese che arriva a New York riesce a farsi capire, ad emozionare e contaminare le culture. Tutto questo nonostante lo stallo culturale in cui si trova l’Italia.


Mi soffermo con Carmen a parlare della situazione in cui si trova l’Italia e chi in Italia vuole fare cultura.


Carmen dice che le istituzioni non aiutano, che quella che prevale ed ha più visibilità è la musica più semplice, mentre i progetti che costringono a riflettere devono combatte per vedere la luce: più la gente si abitua alla semplicità e più chiede prodotti di facile consumo, che non richiedono riflessione. Questo perché, a detta di Carmen, pensare con la propria testa, nel sistema orwelliano che l’Italia è diventata, costituisce una minaccia.


Ecco perciò che il compito di un artista autentico è quello di riabituare un popolo ad un gusto più complesso e più particolare. Ed ecco perché, secondo Carmen, a fianco alla canzone ufficiale, c’è un fermento incredibile, un sottobosco di artisti che non si fanno definire e raccontano “l’Italia del disagio” e della crisi. Una crisi che quindi diventa un momento fertile e produttivo.


“Ci stiamo rialzando”, dice Carmen, quasi a voler rassicurare che l’Italia ce la farà nonostante tutto. E cita l’esempio della Roma di Veltroni che ha puntato tantissimo sull’arte e ha dimostrato che con l’arte e la cultura si fanno i soldi.


A questo punto le chiedo se gli artisti, gli uomini di spettacolo possono e devono far parte del rilancio dell’Italia, anche sconfinando nella politica ed occupandosi dei problemi reali del paese. Un esempio per tutti, Beppe Grillo.


“Grillo si è esposto molto, ma è giusto che lo faccia. E’ un uomo colto, preparato, che solleva dei punti fondamentali”. Per Carmen, gli uomini di spettacolo, ma non solo, hanno tutto il diritto di interessarsi del proprio paese ed eventualmente di “sconfinare” nella politica, perché sono cittadini ed è nella natura della democrazia che il popolo si occupi di politica e che non lo facciano solo i politici.


C’è bisogno di correttezza, di un ritorno all’etica e Carmen si affretta a precisare che non c’entrano le semplici contrapposizioni tra destra e sinistra, c’entra la possibilità e il dovere di fare le cose giuste, cose semplici come pagare le tasse e pagarle tutti.


Dell’Italia Carmen ha bisogno, ha bisogno delle stradine strette, del suo vulcano, l’Etna, dove abita e del suo gruppo di amici. Quando non è in Italia, invece vive a Parigi, città che adora e che nei ritmi di vita le ricorda la Sicilia. Dice che il languore, il gusto di passare le ore seduti al caffé, il gusto della parola del dialogo, del parlarsi addosso è parigino e siculo.


E New York? “E’ il mio sogno, una città molto chic”. Carmen si dice attratta dalla sua energia artistica: “Andrei a vedere tutte le mostre, tutti i musical, a conoscere tutti gli artisti…” Tutti quegli artisti che ha conosciuto nel corso delle numerose trasferte internazionali, molti dei quali saranno presenti al concerto di Central Park il 25 settembre.


Carmen è sicura che, se vivesse a qui, pur nella frenesia e nei ritmi mozzafiato della città, lei riuscirebbe a ritagliarsi una New York a sua misura, riuscirebbe a trovare la sua Catania e la sua Parigi tra le strade della Grande Mela. “E’ una città che non ti impone uno stile e in cui vivrei sempre mantenendo i miei ritmi siciliani”.

Comments:

i-Italy

Facebook

Google+