Come eravamo: missioni umanitarie e boat people ieri e oggi
Un sanguinoso conflitto protratto nel tempo, la cui soluzione è impedita e procrastinata a causa degli interessi di superpotenze in perenne competizione. Una popolazione civile prostrata dalle conseguenze di guerre decennali, dal conseguente collasso economico e da gravissime tensioni politiche e sociali. Un flusso imponente di migranti che prendono la via del mare per raggiungere Paesi vicini in cerca di rifugio e salvezza. L’indisponibilità di alcuni di questi Paesi ad accogliere i rifugiati. Il respingimento delle fragili imbarcazioni dei profughi in mare aperto li espone a un destino incerto.
Sembra oggi, ma è già successo quarant’anni fa. Le acque internazionali non erano quelle del Mediterraneo dei nostri giorni; si trovavano nel Mar Cinese Meridionale della fine degli anni settanta. I profughi non fuggivano dalla Siria o dalla Libia ma dal Vietnam. Coloro che, dopo una provvisoria accoglienza dei primi flussi di profughi, negavano i propri approdi per non fornire incentivi a quello che giudicavano un esodo di proporzioni bibliche, non erano le ricche nazioni europee dei nostri giorni ma Paesi del sudest asiatico.
Rispetto ad allora molte cose sono cambiate. Certo, si era ancora in piena guerra fredda e la fuga dei boat people era dovuta alle conseguenze di una guerra ultra-decennale che aveva visto prevalere il Vietnam del nord comunista. Tuttavia, l’aspetto che contrasta radicalmente rispetto a quanto accade ora è l’atteggiamento dell’Italia. Chi decideva allora di attrezzare e inviare delle navi per salvare i profughi da morte certa in mare, per inedia o per gli attacchi dei pirati malesi o tailandesi, non erano famigerate ONG ma il governo italiano.
Ricorre infatti quest’anno il quarantesimo anniversario della ‘Missione Vietnam’, un’iniziativa umanitaria realizzata nel 1979 dalla Marina Militare Italiana, nel cui sito si possono ancora consultare materiali di archivio e informazioni postate in occasione del trentennale del 2009 (Leggi >> ). Una forza composta da tre navi, gli incrociatori Andrea Doria e Vittorio Veneto e la rifornitrice di squadra Stromboli, partì il 5 luglio 1979 senza scalo per Singapore per soccorrere in mare i profughi vietnamiti con quello che è celebrato come il primo intervento della Protezione Civile all’estero da parte dell’Italia. Come ricorda il sito della Marina Militare, “in 45 giorni di missione le navi e gli elicotteri imbarcati esplorarono 75.000 miglia quadrate (pari a 250.000 Km quadrati) e presero a bordo 902 profughi.” I boat people salvati – uomini, donne, vecchi e bambini – furono accolti nel territorio italiano grazie all’appoggio di gruppi di volontariato, come la Croce Rossa e la Caritas italiana.
Un frammento di un video prodotto dalla Marina Militare sulla ‘Missione Vietnam’ è consultabile su youtube (vai >>) . L’effetto di totale dissonanza rispetto alla comunicazione istituzionale delle politiche pubbliche sostenute dall’attuale governo italiano è dirompente, accentuato dal registro di giustificatissimo orgoglio nazionale, oltre che di corpo, scelto da chi ha prodotto il video. Sembra un documento che riguarda la storia di un altrove che non ci appartiene; non può essere l’odierna Italia sovranista e xenofoba, dove il linguaggio della solidarietà, dell’assistenza e dell’integrazione è tacciato di mera retorica buonista, lo stesso Paese che solo quarant’anni fa ha concepito, approvato e realizzato qualcosa del genere. Vale la pena di riportare il testo del messaggio che veniva letto in vietnamita da un interprete ai profughi ammassati nei barconi localizzati dalla squadra navale: “Le navi vicine a voi sono della Marina Militare Italiana e sono venute per aiutarvi. Se volete, potete imbarcarvi sulle navi italiane come rifugiati politici ed essere trasportati in Italia. Attenzione, le navi vi porteranno in Italia, ma non possono portarvi in altre nazioni e non possono rimorchiare le vostre barche. Se non volete salire a bordo, potete ricevere subito acqua, cibo e infine assistenza e medici. Dite quello che volete fare e di che cosa avete bisogno.” La ricognizione del mare fu coordinata dalla Marina Militare con alcune piattaforme petrolifere e addirittura coordinandosi con Seasweep, una nave della ONG World Vision che già operava nell’area.
In un reportage di un TG Rai dell’epoca, mandato in onda alla fine del febbraio scorso dalla rubrica Amarcord di Rai News 24, i marinai di leva intervistati alla partenza della Missione Vietnam, pur essendo stati precettati con sospensione delle licenze, mostravano di comprendere e condividere le ragioni di questa iniziativa umanitaria. Uno degli ufficiali della squadra navale sottolineava inoltre che le navi italiane, pur essendo attrezzate per fornire aiuti umanitari, sarebbero state in grado di reagire con la forza in caso di attacchi da parte di forze ostili (una nave tedesca aveva subito un simile attacco nei mesi precedenti).
Nello stesso servizio veniva intervistato anche Giuseppe Zamberletti, all’epoca incaricato dal presidente del consiglio Andreotti dell’operazione di salvataggio dei boat people vietnamiti. A una domanda su che cosa ne sarebbe stato dei profughi imbarcati dalle unità navali al loro arrivo in Italia, Zamberletti rispose, come se fosse una ovvietà, che il governo aveva già mappato le opportunità di accoglienza nelle venti regioni italiane, per ridurre al tempo minimo indispensabile la permanenza dei profughi in campi di assistenza e procedere il prima possibile alla loro integrazione sociale ed economica. In effetti, in alcuni casi le offerte di integrazione proposte dalle amministrazioni locali non furono accolte perché non fu soccorso in mare un numero di profughi sufficiente a soddisfare tutte le richieste. La Caritas comunicò nel gennaio 1980 che “a Padova è possibile accogliere ancora una sola famiglia e che le offerte messe generosamente a disposizione – circa una ventina – non potranno venire utilizzate” >>
Un reportage di Francesco Cristino del 2009, Good Bye Vietnam! L’Italia e l’avventura dimenticata dei boat people (di cui un’anteprima è visibile a >>), raccoglie testimonianze di alcuni dei profughi salvati dalla Marina Militare Italiana nel 1979. Uno di loro, che all’epoca aveva solo dieci anni, nel 2008 era ormai pienamente integrato come meccanico di precisione a Lungavilla (Pavia) e affermava: “Sono anche io una delle centinaia di persone pescate vive dal Mare Cinese Meridionale; devo ringraziare la Marina Militare Italiana se sono libero.”
Quarant’anni non sono pochi, ma nemmeno il più pessimista di noi avrebbe pensato nel 1979 che l’Italia oggi avrebbe chiuso i propri porti alle navi ONG che svolgono, nel mare nostro, missioni umanitarie simili a quella realizzata allora da unità della Marina Militare Italiana in mari lontani. Se per una perturbazione spazio-temporale le navi italiane inviate nel Mar Cinese Meridionale nel 1979 si ritrovassero catapultate nell’Italia contemporanea, rischierebbero l’incriminazione per favoreggiamento di traffico di esseri umani. Avremo la coerenza di celebrare quest’anno, come dieci anni fa a Jesolo in occasione del trentennale, il quarantesimo anniversario della ‘Missione Vietnam’?
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Massimo Tommasoli
Permanent Observer for International IDEA to the UN
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