“The American Dream”. In Tour fotografico con Bruno Tamiozzo

Francesca di Folco (September 10, 2010)
9.000 Km lungo 15 stati del Nuovo Continente. In viaggio da New York, passando per Washington, Philadelphia, Nashville, Memphis, New Orleans, Kansas City, Houston, Denver, Roswell… Bruno Tamiozzo, fotoreporter cosmopolita, racconta ad i-italy la sua avventura a stelle e strisce in giro per gli States e il reportage che ne ha tratto

E’ in un assolato pomeriggio d’Agosto che incontriamo Bruno Tamiozzo,   talentuoso fotografo di Latina dai 1000 interessi. Abbiamo appuntamento al BTpress Photostudio, laboratorio fotografico di Bruno, dove lui ci accoglie cordialmente.

Una gigantografia della Lady Liberty in bianco e nero campeggia all’ingresso.

Ci accomodiamo. Inizia il viaggio di i-italy a cavallo di foto e memorie.

Bruno cresce con l’arte dello scatto negli occhi: la passione lo porta a Roma, all’Accademia di Belle Arti e poi, sempre nella città eterna, lo indirizza anche all’attività di fotoreporter presso l’Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata. Nel frattempo la carriera è costellata da attività di freelance con quotidiani nazionali come “Corriere della Sera”, “Il Messaggero”, “Il Tempo”, “La Gazzetta dello Sport”.

Talento, intuito per cogliere l’attimo e voglia di mettersi in gioco si rivelano carte vincenti, fioccano collaborazioni importanti con riviste di settore. Bruno è all’Olimpo del “National Geographic”. Da qui decolla la passione per la fotografia di viaggio. E’ del 2004 il suo primo lavoro di reportage intitolato “Il Marocco e la sua gente”. Nel 2005 realizza “Bizerta-Tunisia”. Nel 2007 il fotoreporter si distingue ancora con la personale intitolata “L'Africa del Nord”.

Il 2009 è l’anno in cui il fotografo raggiunge la meta sognata, l’itinerario tracciato con cura, il viaggio programmato da tanto. E che tanto si porta dietro. Quello targato U.S.A.

Bruno lo racconta tutto d’un soffio…

E’ un tour in solitaria, quello intrapreso lo scorso Settembre, durato circa due mesi, a bordo della “Greyhound”, mitica bus company che raggiunge ogni angolo delle regioni Americane.
Il fotografo ne decide le tappe. A guidarlo l’atmosphere dei luoghi…

Il peregrinare di questo nomade d’oltreoceano si snoda per 9000 km attraverso 15 American States. Da New York, passa Washington, Philadelphia, Nashville, Memphis, New Orleans, Kansas City, Houston, Denver, Roswell. Il fotoreporter visita up e downtown brulicanti sparse per quest’immenso continente, grande almeno quanto i sogni che trasmette...

E’ un mix di curiosità, esterofilia e American Passion che conduce Bruno, moderno Ulisse, a realizzare un viaggio fatto di ricerche per contatti professionali, scoprire realtà altre, comprendere meglio se stessi. E narrare la propria avventura col power photos.

Basta uno sguardo allo studio per accorgersi che è un tripudio di scorci statunitensi…
Ogni parete è costellata da istantanee in una meravigliosa sequenza di immagini in bianco/nero.

Quartieri che cambiano volto ad ogni angolo. Metropoli, come perle uniche e rare con vita a sé. Ogni stato è una realtà caleidoscopica di esistenze…

Per Bruno ogni scatto è un ricordo, una suggestione, una sensazione a pelle…

Flash di taxi newyorkesi in corsa… Scorci febbrili di Times Square… Spaccati mozzafiato di Manhattan dall’alto…

Luci, colori, suoni. Luoghi dell’esistenza a tinte forti. Schegge di vita pregne d’identità multietnica. New York City è atmosfera in sé. E’ di scena l’anima vibrante della Big Apple che non dorme mai.

Passeggiamo tra gli scatti. L’impressione che ne abbiamo è di un “ombelico del mondo” in chiaro/scuro.

Due innamorati in procinto di baciarsi con Washington alle spalle, un poliziotto “in posa” a Philadelphia, un truck driver diretto a Memphis scruta un profilo di Elvis …

Sguardi, emozioni, frammenti di vite catturati in luoghi remoti e liberati altrove …

Questo American tour si snoda in un itinerario in cui l’osservatore si ritrova. Riconosciamo vie, indichiamo posti, come realtà già viste, conosciute. Per questo condivise. Il viaggio è excursus di volti ed esperienze umane il cui mosaico si scompone e ricompone di continuo…

Nasce così “The American Dream”, reportage in cui Bruno Tamiozzo immortala tutto ciò che cuore e animo gli suggeriscono,restituendo immagini di un grande Paese in cui sogni, speranze, desideri di riscatto sociale s’intrecciano con ordinarie difficoltà.

Gli States per Bruno non sono solo passione per l’American life style. Il viaggio è anche occasione di crescita professionale: ereditandone un enorme bagaglio culturale, il fotografo pontino affina il suo stile.

Con un colpo d’occhio si coglie la peculiarità ad effetto del reportage. In “The American Dream” non ci sono colori, ma andirivieni di chiaro scuro. Il fotoreporter ritrae l’americanità in bianco e nero.

Il motivo? Tecnico, a primo impatto. Bruno definisce la sua una “scelta stilistica”. Neon abbaglianti, insegne a intermittenza, flash psichedelici sono fuorvianti.
Per il fotografo l’invadenza dei simboli targati USA disturba l’attenzione ai particolari. Proietta lo spettatore in un labirinto iridescente in cui può smarrirsi. Si rischia il caos visivo. Quasi una Babele frastornante…

Risultato?Per Bruno gli scatti a colori mettono in luce solo la falsa essenza disordinata dell'American life style. Peggio, s’avrebbe l’impressione di una facciata patinata, quasi una vetrina plastica della città. Si perde l’anima autentica della City…

Ecco allora Lady Liberty vestita di bianco e nero, la frenetica Chinatown di Philadelphia in tinte chiaro scuro, l’Abraham Lincoln Statue a Washington definita da giochi di ombre e luci...

L’urban style del fotografo cristallizza la realtà, quasi una sospensione del tempo nello spazio.

Quest’artista dello scatto ci svela il suo think tank: per Bruno l’effetto del bianco/nero e le panoramiche dall’alto non sono indice di scissione dalla vita metropolitana, ma, al contrario, simboleggiano il distacco dal “caos sociale” finalizzato a raggiungere l’intimità dei luoghi…

Un coinvolgimento senza distrazioni, per assimilarne meglio la natura.

Eppure, dietro le istantanee, traspare altro.
Il professional style del fotografo si fonde con la personale visione dell’americanità. In “The American Dream” il fil blanc/noir s’intride di sentimento. E’ motivo di sguardo storico per l’artista.
Ci inoltriamo nei vicoli di una Little Italy senza tempo, respiriamo ventate d’arte warholliana a Soho, giriamo fra le epoche dei vibranti Greenwich e East Village...

Il fotografo guarda, con fare insolito, ad un’americanità “datata”.
Gli scatti di Tamiozzo ci raccontano uno stile anni ’50 … Incorniciano una Manhattan life retrò … Scopriamo una New York d’altri tempi, lambita dal passato.

Il fotografo parla di volti e spaccati urbani come “espressioni di realtà” che superano il tempo e lo spazio in cui si manifestano. Bruno Tamiozzo, come un moderno Upton Sinclair della fotografia, con il suo “The American Dream” indaga la complessa esperienza umana che il mitico scrittore d’inizio secolo ritrasse con “The Jungle”. Le istantanee del reportage si animano in una fitta giungla-foresta dove tutto è sospeso. Dove si arriva a percepire rumori e odori di luoghi e tempi che furono. Per Bruno sempre attuali.
Così, sulla scena di ogni scatto, traspare l’anima delle megalopoli statunitensi.

D’un tratto il nostro sguardo si posa sulle istantanee dell’11 Settembre. Bruno ci racconta che durante il soggiorno a New York ha fatto richiesta per un permesso speciale col quale entrare a Ground Zero. E l’ha ottenuto. Poliziotti del NYPD e capocantieri gli hanno concesso qualche scatto dall’interno della ferita che sconquassò the City, per la quale niente sarebbe più stato come prima.
Il fotoreporter carpisce istantanee delle voragini ancor presenti nei cantieri, documenta la ricostruzione in atto, punta l’obiettivo su gru e macchinari al lavoro…

The American Dream assume sfumature di un viaggio nel viaggio. Gli scatti ci riportano con la memoria agli attimi terribili degli attentati, al crollo delle Torri, alle vittime innocenti dell’unico, micidiale attacco al cuore degli States.

Ecco gli scatti che rievocano la tragedia umana. Il dramma dell’umanità contro l’umanità.

Bruno, da spettatore privilegiato, si aggira tra basi impiantate per edifici e costruzioni che iniziano a tirarsi su, è testimone di progetti che prendono forma, fissa con la sua Canon spirito e prestanza di uomini all’opera per affrettare i lavori…

Il fotografo ci confida che l’esperienza, pur non essendo teatro di guerra, è all’apice della suggestione. Il cerchio su NYC si chiude con la tappa necessaria nel luogo simbolo della memoria-riscatto. Dove Pride of Big Apple risponde con impeto, slancio e afflato vitale. Il World Trade Center ormai è emblema della tenacia newyorkese.

Con The American Dream siamo testimoni di una tragedia colma di poesia, dove il dolore viene trasfigurato dall’armonia delle immagini.

A margine della nostro viaggio, i-italy ha chiesto a Bruno un’intervista che qualche giorno dopo, via mail ci ha regalato altre curiosità…
Bruno che genere di fotografo ti definisci?
Non amo identificarmi in un genere specifico…
Esprimo il mio estro a seconda di ciò che percepisco, dei sentimenti del momento, delle passioni che vivo… L’arte dello scatto è multiforme per definizione…
Se dovessi sceglierne uno, il genere in cui mi riconosco è senza dubbio quello della fotografia di viaggio. Il reportage on the road s’avvicina di più al mio carattere dinamico, versatile e poliedrico. Scattare durante le traversate significa aprirsi a scorci inusuali, volgere la mente allo spirito dei luoghi, anche la fatica dello spostamento in sé fa vivere l’ebbrezza del conoscere…
Con la mia Canon racconto il mondo in uno scatto …
La “mia” fotografia è quella in cui, con un flash, colgo espressioni di vita, apprendo svariate forme di comunicazione, in primis quella “umana”…
I tuoi scatti scaturiscono dalla suggestione del momento o sono frutto di un percorso ideale? La fotografia è anche un “viaggio mentale”?
Nel luogo in cui arrivo rimango anche ore, prima di realizzare un singolo scatto…per poi sbizzarrirmi tutt’insieme: l’arte fotografica non è mai pilotata, le mie foto sono istintive, nascono di getto…
I Reportage però incorniciano una serie di scatti a tema, atti a raccontare profili umani o ambientali, “storie” per immagini. Così le istantanee diventano linee guida di un percorso mentale che via via prende forma nel fotografo. E che questi, di rimando, restituisce allo spettatore come mappa per orientarsi nell’itinerario visivo-introspettivo della storia…
I miei scatti carpiscono l’attimo, sono puro istinto, si nutrono del caso. Ma non sono mai lasciati al caso. In me prende forma il plot che voglio proporre…

Raccontaci dei 9.000 km percorsi attraverso gli States…visti con The American Dream
Lo scorso Settembre ho comprato un biglietto aereo, aperto, senza vincoli di tempo. Non ho prenotato alberghi, mezzi per spostarmi…

Sono partito per un viaggio… con me stesso…
La mia prima tappa è stata New York, già conosciuta in altre occasioni, ma che dentro lascia sempre mix di brio, exciting e, per me, anche malinconia… Come traspare dal bianco nero di The American Dream.
New York è stata la prima di una serie di tappe non programmate negli States.
Alla Big Apple sono seguiti 9000 km di adrenalina a bordo dei Greyhound, storici American buses.
Dallo stato di New York ho attraversato la Pennsylvania…
Girato tutto il Sud Coast con West Virginia, Kentucky, Tennessee, Alabama, Mississippi, Arkansas, Louisiana…
Ho raggiunto gli angoli più sperduti d’America passando per Texas, New Mexico, Arizona, tornando indietro per Utah, Colorado, Nebraska, Iowa, Illinois, Indiana, fino all’Ohio…
Sono passato da cime innevate a deserti, da zone con laghi e fonti d’acqua a siti completamente aridi…
A popolarli gente la cui disponibilità lascia senza parole… ogni persona incontrata s’è dimostrata cordiale nel dare informazioni, accogliente, persino ospitale. Una mentalità aperta, rispetto al nostro Paese, dalla cultura eccelsa, ma ancora diffidente verso le diversità…
Con queste ricchezze negli occhi ho scattato The American Dream, reportage dai tratti irregolari in cuiimmagini diverse per paesaggi, culture, profili umani svelano realtà così eterogenee che si fatica a realizzare di essere nella stessa Nazione…

Hai visto tanto di questa realtà caleidoscopica. Qual’è per te lo stato/città americano con le contraddizioni più accentuate?     

New York City è fucina di contrasti…
Una megalopoli di 9.000.000 di abitanti, la maggior parte dei quali di etnie completamente diverse, dà vita ad un melting pot impressionante. Da vere “umanità” cosmopolite, ognuna con usanze e tradizioni proprie, crogioli di razze, senza ledere le altre, riescono a convivere, spesso in perfetta armonia.
Di New York mi ha colpito come in nessun altra metropoli l’essere così attuale e nello stesso tempo “retrò”…
L’appellativo d’“antico” non le si addice, la sua storia non lo permette.
E’ una città che sfoggia modernità, futurismo, ricerca… ma nasconde un cuore anni ’40.
Da fotografo, quale scorcio di New York ti ha colpito di più?
Non ci sono spaccati più o meno suggestivi… Tutti sono sfumature poliedriche nell’anima di questa città…
Ogni strada ha un suo appeal. Ogni vista di New York ha il suo perché, soprattutto se la si vede con gli occhi di un fotoreporter. In ogni angolo va in scena un’umanità diversa.

Il life-style che si respira, se assaporato con attenzione, parla, racconta, comunica a chi sa “ascoltare”.

La prima volta nella Big Apple può forviare: si è colpiti da bagliori, ci si specchia tra i grattacieli e si pensa al sottobosco di vite fra questi giganti d’acciaio e vetro… che avrebbe potuto essere la nostra. Abbassato lo sguardo, l’impatto è ben diverso: ci si accorge della realtà brulicante che esiste sui marciapiedi, di quante “storie” si incrocino tra street e più grandi Avenue….
La seduzione della Grande Mela arriva dall’alto degli skyscrepers, ma si vive dal basso dei pavements...

Che differenze/somiglianze ci sono tra la fotografia europea e quella americana?
I due stili hanno in comune il rigore lavorativo, ma cambiano gli scenari tra la fotografia di viaggio in Europa e negli Stati Uniti. E’ proprio la peculiarità dei territori a stelle e strisce a creare differenze. Gli artisti made in Usa sperimentano un senso di solitudine davanti a soggetti vasti e “vuoti”, come uno spaesamento di fronte all’enormità dei luoghi… Il fotografo europeo lavora in uno stato metafisico in cui regna una sensazione di tempo sospeso. Gli europei rappresentano il mondo recuperando lentezza dello sguardo. Gli italiani Letizia Battaglia, Franco Zecchin, Ferdinando Scianna, Gianni Berengo Gardin, hanno reso celebre la fotografia del Belpaese nel mondo, ritraendo tradizioni popolari, usanze del passato, folklori antichi.
Cogliere l’anima dei luoghi, intuirne l’essenza, proietta l’artista oltre la capacità percettiva del reale. Quasi a dire “più di questo non si può vedere…”

Da William Klein a Steve McCurry… I fotoreporter sono uno status simbol della arte visiva contemporanea… C’è un fotografo statunitense al quale ti ispiri o nel quale ti ritrovi particolarmente?
Domanda complicata… Ogni fotografo ha un suo bagaglio culturale, un percorso artistico a sé, e soprattutto una propria storia che permette di realizzare immagini a seconda di ciò che il cuore detta.
C’è chi dice che la mia fotografia somigli molto allo stile di W. Eugene Smith, ma l’unico fotografo cui io voglia veramente somigliare è me stesso.
La mia biblioteca fotografica è molto vasta. Mi piace osservare i grandi Maestri, carpirne segreti, ma non amo ispirarmi.
Se qualcuno accostasse le mie immagini a quelle di altri artisti, ripartirei da capo nel mio modo di fotografare, perché vorrebbe dire che io abbia solo copiato nella mia professione… Che senso avrebbe realizzarsi attraverso altri?
Nell’arte metto la mia originalità, il mio estro unico, me stesso. E’ proprio la diversità dello stile che caratterizza l’autore…
Ti anima un’altra grande passione, la musica.Hai suonato anche a Chicago…
E’ strano catapultarsi dall’ambito fotografico a quello musicale, universi diversi ma forse non troppo lontani...nel mio caso comunicanti.
Canto e suono la chitarra fin da piccolo… La musica è un’altra mia grande passione, fonte inesauribile d’energia. Mi ha aiutato nei momenti difficili, ha forgiato il mio carattere e tutt’oggi scarica ogni forma di tensione, positiva o negativa che sia… Con Enzo Ferlazzo ho formato “I Soliti Ignoti”, un duo acustico dall’omonimo film del 1958 di Mario Monicelli… Il mio ritorno al passato c’è sempre, anche nella musica…
E torna anche l’americanità visto che interpretiamo brani di band che hanno fatto la storia della musica internazionale… dagli “America”, agli “Eagles”, passando per Tracy Chapman, Simon & Garfunkel e tanti altri...
Suonare a Chicago è stata un’esperienza stupenda, ero in compagnia di amici di vecchia data ad esibirmi come voce di Heraldry, band metal al Classical Metal Festival del 2005.
Non era la prima volta che andavo in America, ma è stata senz’altro la prima in cui io abbia avuto la possibilità di far sentire la mia voce anche dall’altra parte del mondo…     Un’esperienza che m’è rimasta dentro e potrò raccontare ai miei nipoti...
Tour negli States. Reportage “on the road”. Concerti d’oltreoceano. Americanità come leit motiv della vita… Oggi quanto c’è dell’“American Dream” nei tuoi scatti?
Rimane un vortice d’emozioni umane e professionali…
Il viaggio negli Stati Uniti, The American Dream, sono risposte all’esigenza della mia persona di non porsi dei limiti, di elevarsi sotto il profilo professionale, di riscoprire me stesso. Voglio permettere alle mie idee, ai miei sogni, alle mie ispirazioni di librarsi… Al mio cuore di emozionarsi oltreoceano...
In questo turbinio di passioni s’inserisce l’arricchimento professionale: trovare un impiego all’estero, valorizzerebbe la mia fotografia al di là del Belpaese, che amo, ma che sta divenendo troppo stretto…
Conoscere culture dell’Eldorado, entrare a contatto con mentalità figlie dei Padri Fondatori che spaziano alla Beat Generation, fino al vissuto quotidiano nell’America di Obama aiuta a vedere il mondo con occhi diversi...
The American Dream m’halasciato dentro voglia di conoscere, capire e vivere un’esistenza a 360° in una Nazione, quella americana, calamita di etnie da ogni parte del mondo, shakerdi energie che svelano quanto gli States abbiano da offrire…

Con queste meraviglie negli occhi ho “realizzato”  il mio American Dream…

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