Passacarte o scienziato?

Roberto Onofrio* (January 21, 2008)
Negli Usa da qualche anno, lo scienziato italiano riflette sui sistemi accademici italiano e americano. Sia sul piano dei difetti, sia in termini di produzione culturale. Si inserisce così nel dibattito aperto di recente dal Prof. Anthony J. Tamburri su i-Italy


Credo che i sistemi accademici USA ed Italia siano comparabili sia sul piano dei difetti, sia in termini di “produzione” culturale a breve termine (quello italiano si è mostrato, nei secoli, molto superiore nella produzione culturale a lungo termine, ma aspettiamo che anche gli USA diventino una civiltà plurisecolare).Dato che i difetti del sistema italiano sono ben noti e descritti nei minimi dettagli, voglio solo farvi riflettere sul sistema USA.



Sebbene molte delle considerazioni derivano dalle regolarità osservate nel mio settore di studio, la fisica, mi sembra che molte di esse siano estrapolabili a diversi ambiti culturali, anche perchè c’è un “pattern” universale nel modo di affrontare la cultura negli USA.



Nell’immaginario collettivo, il sistema di ricerca USA permette di sviluppare delle personalità individuali, non condizionate da sovrastrutture, e aperto a tutte le classi sociali all’interno degli

USA, e a tutti in generale nel mondo. C’è effettivamente stata un’epoca di grande mobilità sociale e permeabilità al mondo esterno tra la fine della seconda guerra mondiale e la fine degli anni sessanta. Per ragioni che non credo opportuno di approfondire qui, la situazione si è progressivamente deteriorata, fino al disastro attuale che vediamo tutti.



E‘  vero che gli USA continuano ad assorbire molti giovani a livello di PhD e postdoc dall’estero, ma pochi di essi diventano faculty in università USA. Le chances di diventare faculty sono fortemente dipendenti da vari fattori, che sono molto meno importanti altrove:

a)    il percepito prestigio dell’università nella quale ci si è formati: esiste una rigorosissima gerarchia di università e transizioni tra università di serie A, B, C ecc sono molto difficili;

b)    il percepito prestigio del mentore col quale si è svolto il PhD e un periodo postdoc (che al giorno d’oggi puo‘ anche durare dieci anni);

c)    le lettere di raccomandazione scritte dai vari mentori, che vengono lette soprattutto per inferire le possibilita‘ che il candidato ha di attrarre fondi di ricerca dalle agenzie federali (e per stroncare candidati che non si sono comportati da bravi picciotti durante il loro periodo speso presso il supervisore).



In quasi nessun caso che conosco, ed ormai con dieci anni di lavoro in istituzioni USA ne conosco dell’ordine di centinaia, conta in modo positivo i risultati di ricerca (scoperte, pubblicazioni, ecc.) o

la qualita‘ dell’insegnamento. Dico in modo positivo perche‘ viceversa se si insegna male o non si pubblica queste, in modo discrezionale, possono essere usate come moventi per non procedere per promozioni o tenure, ma mai per assicurarle.

I punti a, b, c sono invece praticamente assenti nel sistema italiano. Le chances di vincere un concorso non sono legate tanto all’essersi formati a Roma, Napoli, o Torino, i curricula sono molto simili in tutte le sedi, conta la lista delle pubblicazioni ed il loro impatto, e non sono richieste lettere di raccomandazione dove un padrino garantisce che il candidato portera‘ milioni di euro in facolta‘. Questo non evita i vari scandali che conosciamo, e che pero‘ hanno il pregio di venir fuori alla luce del sole mediterraneo, almeno. Negli USA invece, specialmente nelle universita‘ private (per ovvie ragioni di immagine) gli scandali presenti vengono occultati. Potrei portare esempi concreti dell’istituzione alla quale ora appartengo.



Una grande differenza tra il sistema USA ed il sistema Italia a livello di faculty e‘ l’enorme quantita‘ di tempo spesa a giudicare inferiori ed essere giudicati da superiori nella gerarchia accademica. Si spende una quantita‘ notevole di tempo per scrivere lettere di raccomandazione per studenti undergraduate (per la loro ammissione ad un programma di PhD o un lavoro nel mondo reale), per studenti graduate (per un postdoc o, piu‘ raramente, per una faculty), per postdoc (anche per supportare casi di green card), per casi di tenure di colleghi o premi, ecc.



Un’enorme quantita‘ di tempo e‘ poi spesa per scrivere proposte di ricerca: una stima basata su quella mia esperienza e quella di una decina di miei colleghi e‘ che circa 2-3 mesi/anno vengono dedicati a pensare e scrivere proposte, con circa una proposta ogni 8-10 approvata. Il sistema e‘ molto inefficiente, quindi, e spesso ho l’impressione di essere un manager, un passacarte, piu‘ che uno scienziato.

 



* Associate Professor of Physics and Astronomyat Dartmouth since 2004

 

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