Uomo, sei ancora merce
Quanto costa la libertà nei tempi dell’egoismo?
Tutto ha un prezzo, tutto sembra essere sottoposto allo strapotere del denaro.
“OGNI cosa ha il suo prezzo, ma nessuno saprà quanto costa la mia libertà”. Così cantava Edoardo Bennato negli anni Settanta. Erano anni di grandi speranze e di ideali traditi. Il movimento studentesco del 1968 aveva dato il via in Italia a un periodo di fermenti sociali, una grande stagione di azione collettiva. L’organizzazione della società italiana veniva messa in discussione, ogni livello della sua rappresentazione ridisegnato e ripensato alla luce delle nuove idee. Il movimento di protesta, dalle università e dalle scuole, si diffondeva nelle fabbriche e dilagava in tutta la società. Tutto sembrava destinato a cambiare, presto. La politica puntava alle riforme, cercava di contenere la protesta collettiva. Non ci riuscì. Si aprirono dibattiti, si discuteva di diritti civili. I giovani provarono a rintuzzare i poteri forti.
Ma intanto la rabbia per i diritti negati, la protesta delle piazze e il rumore delle idee degenerava a macchia d’olio in lotta armata, per tutto il territorio nazionale. Steccati, muri, trincee violente si ergevano in nome di una libertà che si riteneva svenduta al capriccio di poteri forti.
A Napoli, negli stessi anni, la protesta giovanile e l’endemica precarietà del vivere provarono a cucirsi insieme un solo abito rivendicativo.
Impresa mai riuscita, mentre il colera dell’agosto del ’73 con i suoi morti e la sua vergogna segnarono per sempre il destino di una città che da allora in poi non seppe più trovare una via d’uscita, se mai ne avesse avuta una davvero percorribile e se, soprattutto, ci fosse mai stata volontà politica di perseguirla.
Anni di idee forti, anche sbagliate, ma coraggiose di futuro che provarono a raccontare di speranza e di riscatto, di quella libertà cantata da Bennato con la sua “Venderò”. Libertà come spazio vitale indispensabile per progettare qualsiasi impresa, libertà che non ha prezzo e non può essere svenduta.
Oggi, benché la crisi dei mercati abbia di fatto decretato il fallimento dell’uomo economico che ha messo in vendita la sua libertà per qualche spicciolo di benessere, scegliendo la dimensione monetaria dei sentimenti e delle aspirazioni, non si intravede, soprattutto nel meridione, una ribellione positiva e pacifica dei cittadini, dei politici, degli uomini di pensiero e di fede allo strapotere tirannico della sola economia.
Una rivoluzione di idee e di pensiero capace di riportare al centro dell’interesse generale l’uomo concreto, la sua vita relazionale, salvando quell’aspirazione alla libertà, orizzonte di nuova sostanza in tempo ammuffito di parole inutili.
Il nostro tempo è ancora malato di mercificazione, i mercati hanno fallito ma tutto è ancora ridotto a merce.
Tutto ha un prezzo, tutto sembra essere sottoposto allo strapotere del denaro. Ma quanto vale la lotta per un mondo migliore? Quanto costa la parola data? Tutto ha un prezzo, una riduzione indecorosa in prodotto economico di cose che per loro natura non sarebbero oggetto di scambio commerciale.
Quanto costa una qualità umana? Quanto bisogna pagare per instaurare relazioni? E le tradizioni culturali, gli ideali, i valori fondamentali, che prezzo hanno? Se esiste oggi una caduta così vistosa della libertà, una perdita del suo desiderio è perché il fine della nostra vita è stato seviziato dalla degenerazione del possesso, perché l’orizzonte del nostro futuro è mutato ed è mutato l’oggetto del nostro desiderio.
Non abbiamo più aspirazioni comuni, non ideali, non amore per quello che siamo insieme, per il nostro essere comunità. Cerchiamo la sola soddisfazione individuale, e la cerchiamo dal ruolo sociale che ci permetta di essere riconoscibili tra gli altri, di essere qualcuno e quando non ci riusciamo ci sentiamo falliti, vinti, depressi.
C’è una grande retorica nella comunicazione massmediale dell’autorealizzazione per chi sa adeguarsi al ritmo dei tempi e far emergere in lui il desiderio di potersi affermare, una retorica che consegna una patina di magnificenza e splendore alla vita di chi ha successo. Niente da obiettare, nulla di male nel voler lottare per migliorare la propria vita, nel voler ottenere i migliori risultati raggiungibili grazie ai propri meriti e al proprio impegno. Ma è triste constatare che diffusamente dilaga la sensazione che in realtà la lotta di chi cerca la parte migliore non contenga valori particolarmente nobili al di là della sola soddisfazione personale calcolata in base al metro comune di giudizio.
E se per tale raggiungimento “a tutti i costi” nel frattempo si sono determinate in altri compagni di viaggio sofferenze, disagi, fallimenti, poco importa: mors tua, vita mea!
* Gennaro Matino è docente di Teologia pastorale e insegna Storia del Cristianesimo presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Editorialista di 'Avvenire' e 'Il Mattino'. Opinionista di 'La Repubblica". Parroco della SS Trinità. Il suo più recene libro: “Economia della crisi. Il bene dell'uomo contro la dittatura dello spread" (Baldini & Castoldi - 2013).
i-Italy
Facebook
Google+