Unioni civili. La distanza della Chiesa dal mondo in veloce cambiamento

Gennaro Matino (February 02, 2016)
La Chiesa non dimentichi che il tempo della societas christiana è irrimediabilmente finito e che il suo ipse dixit, che anche al suo interno è sempre meno considerato come cattolico, universale, non è più ritenuto dalla maggioranza degli uomini e delle donne italiane un imperativo assoluto.



 

NON sarà certo una piazza rumorosa a cambiare il corso della storia, ancor meno se quella piazza la riempiono la Chiesa o movimenti di matrice cattolica. Non dico che la Chiesa cattolica non debba o non possa rivendicare un suo spazio "politico" nell'agorà dei pensieri liberi per sostenere le proprie idee, come fa normalmente con grande disinvoltura, contrariamente a quanto detto da Papa Francesco pochi giorni fa, ma ritengo che un'invasiva discesa in campo, nell'ampio dibattito sulle unioni civili, possa trasformarsi in un'ulteriore distanza tra il mondo in veloce cambiamento e la sua proposta, la sua idea di società e la sua concezione di coppia o di famiglia.




 

Riempire una piazza, una soltanto, e svuotare di simpatia, nel senso etimologico del termine, le mille piazze della comunicazione umana, dove nel quotidiano normalmente ci si ritrova, non si ottiene nulla, se non impedire ogni possibilità di dialogo con la differenza delle idee e allontanare qualcuno che, pur pensandola diversamente, potrebbe appassionarsi al vangelo.




 

La simpatia è spazio di pre-evangelizzazione, è condizione indispensabile per costruire ponti sulla diversità di opinioni, anche se essere "in simpatia" con il mondo non significa svendere i propri convincimenti, abbassare l'asticella dei valori a cui la Chiesa fa riferimento.




 

Certo non si vuole negare proprio alla Chiesa quella libertà di parola che a giusta ragione si rivendica per tutti, ma è necessario che la Chiesa non dimentichi che il tempo della societas christiana è irrimediabilmente finito e che il suo ipse dixit, che anche al suo interno è sempre meno considerato come cattolico, universale, non è più ritenuto dalla maggioranza degli uomini e delle donne italiane un imperativo assoluto.




 

La libertà di parola, che la Chiesa rivendica, o si inserisce in uno spazio di condivisione, di confronto con altre parole, con altre idee, con altre visioni di vita, o quel dialogo con il mondo che a fatica si costruisce, e ha impegnato Papa Francesco dall'inizio del suo pontificato, finisce per essere interpretato come un bluff, o peggio uno squallido "sfottò".




 

Al tempo del Concilio Vaticano II, la consapevolezza della necessità del dialogo e la nuova idea di mondo avevano suscitato interesse e curiosità nei confronti della Chiesa, e anche se per la maggioranza degli uomini, diversi per religione e idee, la sua parola non era del tutto credibile, era comunque da ascoltare, e questa condizione era e resta l'unica premessa per intercettare un possibile confronto. La Chiesa era attenta ai cambiamenti del mondo e dell'umano: "Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore" (Gaudium et Spes 1).




 

Oggi, si può anche essere in disaccordo con proposte di legge che vorrebbero equiparare il matrimonio tradizionale a quello tra due persone dello stesso sesso, si può ritenere che l'adozione di bambini da parte di coppie omossessuali possa compromettere il sano sviluppo e la crescita armoniosa dei figli, ma la storia è cambiata, la cultura è cambiata e il mondo va irrimediabilmente in una direzione contraria. E se la Chiesa vuole ancora dialogare con il mondo, pur rivendicando le sue idee, non può fare barricate, né forzare i governi democratici a scegliere quello che ritiene giusto, soprattutto se in questo modo la sua posizione venisse interpretata dalla maggioranza dei cittadini come prevaricazione sulla loro libertà.




 

Succederebbe ancora una volta quello che purtroppo successe nella società italiana con i referendum sul divorzio e sull'aborto voluti con forza dalla Chiesa, che non solo perse i referendum, ma anche quella maggioranza degli italiani che, pur essendo battezzati e quindi cattolici, furono pronti a scegliere in maniera diversa dalle sue indicazioni. Il referendum, a cui oggi sembra appellarsi il ministro Alfano, quando afferma che la maggioranza degli italiani è contraria alla legge proposta sui matrimoni gay, non servirebbe a molto.




 

In ogni caso, l'esito del referendum, in Italia come è successo in Irlanda, sancirebbe quello che dappertutto, perfino nelle chiese, è già vita data e vissuta. Comprendo il disagio della Chiesa italiana, capisco anche la sua sensazione di sconfitta, ma la sua missione, ovunque si trovi, a Roma o a Napoli, in qualsiasi contesto o condizione, è comunicare il vangelo in un mondo che cambia, senza pretendere che sia quello più congeniale, il più sottomesso, il più facile e semplice da evangelizzare.

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