Quelle piccole cose che rendono bella la vita

Gennaro Matino (July 09, 2017)
Possibile che per sentirsi vivi bisogna sapere se qualcuno ha condiviso un nostro post su Facebook o se qualcuno voglia chattare con noi “in privato”? Sempre più persone pensano di esistere solo se qualcuno li abbia cercati o contattati sui social, dimenticando che si è uomini solo se ci si contamina con l’umano costringendo la vita a relazioni vere, autentiche. Piccole cose che fanno grandi le storie anche se non sfuggono alla necessità di avere un lavoro soddisfacente, un paese accogliente, un tempo interessante da vivere, ma le piccole cose sono l’essenziale che dà significato alle grandi e permettono alle grandi di crescere.

AVREMMO potuto parlare di Maradona “che è meglio ‘e Pelè” che per la cittadinanza, onore per lui e non per noi, “ci hanno fatto” un’altra volta “‘o mazz’ tanto pe ll’ave’”; avremmo potuto ragionare di classifiche, impietosa analisi di percorsi familistici, che consegnano le università campane agli ultimi posti; avremmo forse dovuto raccontare di quanto la politica assente causi quel degrado urbano fatto di sballo per alcuni e di notti insonni e traumi per troppi e non sarebbe stato sbagliato. Ma forse vale la pena raccontare anche di altro, di piccole cose che fanno grande una vita, di quello che non é facile offrire come cronaca, materia su cui ragionare o fare analisi e che tuttavia dicono qualità di vita, permettono alla parola felicità di non essere una parola ambigua anche perché, per quanto mi riguardi, non rinuncerò al desiderio di essere felice.

Mi illudo? Può essere. Ricordo che tanto tempo fa partecipai a uno dei primi talk show televisivi della Rai, “Tenera è la notte”, condotto dall’indimenticabile Arnaldo Bagnasco e tra le serate di parole e scambi uno degli argomenti fu proprio sulla possibilità di essere o meno felici. Tra gli ospiti, come spesso avviene, si sosteneva che la felicità non esiste, basterebbe la serenità.

Tutto sta ad intendersi e certo non è qui il luogo per trattati di filosofia, per lezioni di vita o per paradigmi ascetici, ma anche sotto l’ombrellone o al fresco della montagna, semmai nel silenzio della propria stanza è forse possibile chiedersi cosa voglia dire essere felici. Se non avessi nulla, e tutto mi potrebbe mancare da un momento all’altro, tutto potrebbe essermi tolto, cosa desidererei? Ci ho riflettuto tante volte e tante volte sono arrivato alla stessa conclusione: è l’essenziale il fondamento del tutto e dunque è l’essenziale il principio della felicità.

Piccole cose che ti accorgi quanto siano indispensabili quando le perdi, quando ti mancano, quando vorresti recuperarle e non ti è dato. Il sorriso di tuo figlio, l’abbraccio innamorato, una stretta di mano riconoscente, lo sguardo complice di un amico, tutto quello che la vita ti offre quotidianamente ma, distratto da quello che il mercato ti offre, non hai occasione di apprezzare: la salute, l’aria che respiri, l’acqua che bevi, i sapori, gli odori che ti avvolgono, aprono ricordi e ti consegnano volti, amori, vita che torna vita ogni volta che apri lo scrigno della memoria. Mia Martini cantava in “Preghiera”: “Ma l’uomo non capisce cosa fa, ha il mare in tasca e l’acqua va a cercare”.

Possibile che per sentirsi vivi bisogna sapere se qualcuno ha condiviso un nostro post su Facebook o se qualcuno voglia chattare con noi “in privato”? Sempre più persone pensano di esistere solo se qualcuno li abbia cercati o contattati sui social, dimenticando che si è uomini solo se ci si contamina con l’umano costringendo la vita a relazioni vere, autentiche. Piccole cose che fanno grandi le storie anche se non sfuggono alla necessità di avere un lavoro soddisfacente, un paese accogliente, un tempo interessante da vivere, ma le piccole cose sono l’essenziale che dà significato alle grandi e permettono alle grandi di crescere.

L’anemia di gioia è dentro questa strategia malata del nostro tempo che non dà valore ai sentimenti, che baratta il piacere con la gioia, e induce a pensare che la rinuncia sia sempre una sconfitta e che sia sprecato donarsi senza pretendere niente in cambio. Non rinuncerei un solo istante alla consapevolezza di me stesso per quello che sono con le mie fragilità e le mie risorse, non rinuncerei per niente al mondo a gridare che so di essere ciò che sono perché altri mi hanno concesso il dono del loro affetto, perché a loro ho concesso il mio. So che non sarei al mondo se qualcuno non mi avesse desiderato, che la mia è vita se spesa insieme agli altri, perché stare bene da soli non è possibile e il pane mangiato e non condiviso è pane rubato. Dio o non Dio, l’uomo è uomo se si dà un cielo da raggiungere, a cui aspirare. La felicità non è una parola, non è una poesia né una preghiera, è un viso, è la dolcezza di uno sguardo che ti rimane nel cuore.

È una promessa, un patto, una decisione, una lotta. È il giorno che si apre, la notte che ristora, un vecchio che racconta, un bimbo che corre. È il ricordo di ieri e il sognodel futuro, è la lotta per il traguardo, la fatica per raggiungerlo. È il gusto del bello, la sincerità dello scambio, il pianto di rabbia e di commozione. Avremmo potuto parlare di tante cose di sicuro più interessanti, di Napoli, della politica, di migranti, di Europa, di Trump e della libertà di stampa, di Papa Francesco e dei guai in Vaticano. Perdonatemi se oggi ho scritto solo di me, solo di voi, il resto, per quanto mi riguarda può aspettare.

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