Quando una città è governata come un ducato, una baronia

Gennaro Matino (January 26, 2016)
La democrazia locale è la democrazia della vita quotidiana ed è troppo importante perché se ne trascuri l'esercizio e il controllo, per permettere che qualcuno la trasformi in gioco di potere o di avanspettacolo


AMAGGIO saremo chiamati alle urne per il rinnovo del consiglio comunale, una tornata elettorale che, comunque la si intenda e benché la degenerazione della politica l'abbia trasformata in un circo di periferia, resta ancora un grosso avvenimento civile che si presta a volte a interpretazioni contraddittorie. Da un lato si dice che tutto sommato sono elezioni che hanno un carattere locale e vanno ridimensionate alla loro portata, quasi a mettere le mani avanti sulle possibili ricadute negative dell'esito elettorale sugli equilibri nazionali.





Dall'altro, chi sa perché, gli analisti e i politici di Roma, approfittano degli orientamenti che si determinano con le scelte degli elettori alla scadenza delle amministrative considerandoli utili, come segnali più generali da interpretare. Per quanto mi riguarda, politici e osservatori, dovrebbero invece fare attenzione, molta attenzione, a quello che succederà alle prossime amministrative di maggio, perché la democrazia si sta avviando a una situazione pericolosa che non risparmia lo Stato centrale e si sta avvicinando ulteriormente a una sua occulta trasformazione che la snatura da quello che dovrebbe essere se verrà ancora meno la presenza della partecipazione popolare al voto, se sarà ancora così massiccia la distanza del cittadino dalla cosa pubblica. Difficile pensare che qualche spot pubblicitario di qualche candidato sindaco riesca a colmare il vuoto di rappresentanza, ridicolo perfino non comprendere che ormai le promesse elettorali siano per lo più percepite dalla gente come un repertorio di stravaganze.




Come stravagante è la ricerca di nomi di cartello da parte di questo partito e di quest'altro movimento che possano meglio interpretare il ruolo di candidato a sindaco o consigliere, quasi una medaglietta in più sulla divisa della popolarità della lista, tanto che se si presentasse come candidato Higuain, di sicuro verrebbe eletto allo scranno più alto di Palazzo San Giacomo. La caccia a nomi "prestigiosi" e "noti" ha senso se è una cosa seria, se seria è la proposta politica che a quel nome è collegata, come seria dovrebbe essere la loro individuazione, la loro scelta non con lotterie mediatiche in rete, gioco di carte, bussolotti aperti a caso, che vincono o perdono senza autorevolezza e competenza. Non dico che non sia una cosa buona la partecipazione sempre più ampia, aperta e interessata di uomini e donne alle amministrative, gente lontana da quel professionismo politico che spesso è degenerato in mestiere familistico, ma la democrazia non ha bisogno di anonimi attori in cerca di un copione da recitare, ma di uomini e donne forti di programmi e di idee da condividere.





E nel quadro di questi avvenimenti l'uso che si è fatto della poltrona di sindaco negli ultimi anni da Bassolino a de Magistris (la legge lo consente) ha visto Napoli uguale alle grandi metropoli essere governata come un ducato, una baronia, un marchesato o meglio trasformato in un'azienda retta da un presidente di amministrazione così come richiesto al sindaco manager. Fatto che ha una sua logica ma ripropone modelli lontani, quasi neo prefettizi tra l'antica Roma e il napoleonico, che non riescono a rendere appetibile la vita democratica. Certo quando viene eletto un sindaco ci si affretta a proclamare che sarà il sindaco di tutti, ma è chiaro che così non sarà, le decisioni resteranno nelle mani di uno solo o semmai, in realtà quasi mai, della parte a lui favorevole, senza costruzione di percorsi condivisi anche con la differenza delle visioni, delle opinioni.





Tutto questo inevitabilmente allontana la maggioranza dei cittadini dalla partecipazione attiva alla costruzione del bene comune della città, spinge fuori dal recinto dell'interesse democratico soprattutto quelli che si sentono offesi dalla parte che vince o peggio gli arrabbiati, i delusi, la maggior parte dei cittadini che evita di partecipare alla vita democratica disertando il voto e colpevolmente consente ai pochi di governare indisturbatamente sul destino di tutti. Gli antichi dicevano che la democrazia è possibile solo se è possibile esercitarla effettivamente nella città, dove si può discutere di bene comune nelle piazze. La crisi valoriale della città è anche crisi di pensiero. Rischieremmo di compiere un serio errore se ritenessimo che l'affermarsi o il declinare delle "grandi idee" che cambiano il mondo sia dovuto solo alla volontà di qualcuno, sarebbe davvero serio se pensassimo che le colpe della nostra sofferenza siano solo altrove. La democrazia locale è la democrazia della vita quotidiana ed è troppo importante perché se ne trascuri l'esercizio e il controllo, per permettere che qualcuno la trasformi in gioco di potere o di avanspettacolo.

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