Perchè Napoli non sia più un'eterna occasione persa.

Gennaro Matino (June 04, 2016)
Promemoria per una città che non vuole più parole di fumo. Chiunque ne sarà il sindaco si troverà a dover affrontare un’impresa impari che va ben oltre la penuria di mezzi economici, ben oltre la sostanza di una organizzazione della macchina comunale che comunque è indispensabile. Dovrà reinventare l’anima di una città iniziando dalla verità delle sue ferite. E non potrà farlo da solo o con la sua parte.





FORSE bisogna esagerare, rischiare l’antipatia, ma chi è nato in questa città e l’ha amata teneramente dal primo giorno, e ancora resiste nell’amarla, non può restare che indignato ascoltando parole di fumo che avanzano senza umiltà, senza verità nel descriverla come la più bella, la più umana, la più generosa. Forse lo è stata ma di sicuro non lo è adesso, non dappertutto.




È un bene che chi si appresta a governarla per i prossimi cinque anni ne faccia nota: la verità rende liberi e solo la libertà di un giudizio vero potrà segnare il confine tra una Napoli rassegnata a perdere, e una città che umilmente, lentamente ma progressivamente, vuole partorire speranza di rinnovamento, combattendo il suo degrado e la sua crescente volgarità.

Piangerci addosso è diventato lo sport più praticato per sfuggire alla responsabilità e al dovere di far fronte all’impegno personale e pubblico che chiama ciascuno a dare il proprio contributo per la rinascita della città, nel volerla forse meno bella ma di sicuro più normale, pronta a dare spazio nelle sue mura al rispetto delle regole comuni.



Una città dove ognuno sa e deve con forza riconoscere che la mentalità camorristica delinque oltre la mattanza dei malavitosi nei pensieri e nelle abitudini di sopraffazione quotidiana di tanti, di troppi napoletani.



Una città che sappia andare oltre il sopruso del patetico e arrogante paternalismo che giustifica ogni illegalità “perché pure bisogna campare”, dove la tolleranza zero contro ogni delitto o malaffare diventi il pane quotidiano di un’amministrazione mai collusa con il “popolo” ma politicamente e coraggiosamente votata a contrastarne la volgarità, a purificarla, forte di una proposta culturale alta, riconosciuta, visionaria.




 

È ridicolo cercare sempre altrove le responsabilità dei nostri fallimenti, è diventato perfino patetico il tentativo di sfuggire alla lettura e all’interpretazione dell’evidenza dei fatti come disegno di discredito orchestrato da chi sa quale mente gelosa del nostro benessere, delle nostri doti, della nostra grandezza. Gelosi altrove che altro non trovano come piacere di parlare male delle nostre avventure.




Così capita che se si proietta “Gomorra” ci affrettiamo a dire che Saviano è un criminale e non la camorra che quotidianamente offende il nostro onore, e se in onda arrivano le “Lucky Ladies”, spaccato di una Napoli borghese, che altra volgarità potrebbe partorire, ci nascondiamo dietro parole di circostanza e preferiamo glissare. E potremmo continuare con la processione dell’accanimento dei cattivi contro la napoletanità, citando per esempio i banchetti sponsali del “Boss delle Cerimonie” che certo per poter produrre la fiction ha cercato tutte comparse che hanno recitato una parte ben lontana dai loro costumi.

Certo Napoli non è solo questa, ci mancherebbe, ma è anche questa. Continuiamo a lamentarci di essere trattati male, ma di sicuro da noi è facile trovare materia “volgare” su cui lavorare e negarlo è da bugiardi.



Matilde Serao non ha avuto paura di raccontare la Napoli dei lazzari e, benché amasse la sua terra, il “Ventre di Napoli” non fa sconti a una verità di denuncia e a una invocazione di conversione di costumi politici e culturali, la sola capace di permettere a Napoli di poter uscire dalla sua decadenza. Curzio Malaparte nella “Pelle” non ha avuto vergogna di mettere a nudo un popolo che stava perdendo il suo vigore morale prostituendosi agli “alleati” non solo per fame, ma per attitudine al crimine.





In “Napoli Milionaria”, straordinario affresco di una città segnata dal passaggio dalla dignità alla volgarità, Eduardo punta l’indice contro la corsa a un benessere economico sognato come unico riscatto, ottenuto con qualsiasi mezzo, come forza di ogni rivalsa, responsabile dell’affondamento di tutta la storia di compassione che era la ricchezza di un popolo.

Senza una rivoluzione culturale indignarsi per le offese è patetico e Napoli continuerà a essere autoreferenziale, ipocritamente vanitosa, ripiegata su stessa, in cerca di colpevoli altrove.

Napoli ha bisogno di una prassi politica che si innalzi al di sopra delle miserie di comportamenti di basso profilo, ha bisogno di lungimiranza, di ambizione, di un nuovo linguaggio che sia attesa di riscatto e pretenda rispetto.



Chiunque ne sarà il sindaco si troverà a dover affrontare un’impresa impari che va ben oltre la penuria di mezzi economici, ben oltre la sostanza di una organizzazione della macchina comunale che comunque è indispensabile. Dovrà reinventare l’anima di una città iniziando dalla verità delle sue ferite. E non potrà farlo da solo o con la sua parte.



Le forze sane ci sono, chi soffre e ama Napoli ancora è rintracciabile. Potrebbe essere l’ultima occasione per non rassegnarci a una Napoli eterna occasione persa.

 

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