Europa distante. Un fallimento della politica

Gennaro Matino (May 19, 2014)
I candidati alle europee e i loro partiti, che poco si stanno impegnando in questa improvvisata sfida elettorale, senza emozioni, senza programmi, senza progetti, senza nessun manifesto, nessuna strategia, solo il dolore di una perdita, la morte dell'idea originaria di Europa così come sognata dai padri fondatori. Una visione sfumata per la miopia di una classe politica mediocre che dichiara la sua incapacità nel saperla raccontare, il fallimento di un progetto visionario dilapidato sul tavolo marcio di banchieri spudorati e di burocrati incartati.


QUANTO ancora lontana sia la comprensione di uno Stato sovranazionale che venga avvertito dai comuni cittadini come casa comune. Gli esperti sostengono che il calo dei votanti alle europee sia fisiologico in quanto è un voto vissuto con minore convinzione dagli elettori rispetto alle politiche e alle amministrative.


Tuttavia, proprio questa progressiva disaffezione e la valanga di astensionismo che si registrerà domenica prossima, la dice lunga su quanto la politica abbia fallito e quanta responsabilità ci sia stata da parte degli Stati nazionali nell'aver affondato il sogno di popoli uniti nella costruzione del bene comune.


Non c'è una spinta ideale che possa convincere davvero sulla necessità del voto, non c'è una protesta eroica per decidere di non farlo. Resta un fatto, semplice e drammatico, l'Europa per molti non esiste, è solo un nome su una carta geografica. La scelta di quanti non andranno a votare non solo renderà palese la presa di distanza di chi non ha mai creduto o ormai non crede più nell'Europa, ma anche l'amarezza di chi, credendo ancora in quel sogno, avrebbe voluto partecipare attivamente alla sua costruzione da cittadino consapevole e non da suddito.


Democrazia è partecipazione, resa di significato per i bisogni di ogni giorno, risposta alle attese di giustizia e di pace che riguardano ogni uomo che vive in una comunità specifica. Partecipazione è farsi carico per la propria parte della responsabilità comune che non si delega.


Tuttavia siamo stati esclusi dalle scelte decisive che riguardano la nostra vita, senza poter esercitare questa responsabilità e se questo già provoca in noi una progressiva perdita di contatto con le istituzioni nazionali, che promulgano leggi quasi mai in sintonia con i cittadini, avremmo voluto che almeno l'Europa fosse stata cosa diversa.


Invece l'Europa sembra un'intrusa, un'istituzione ancora più distante culturalmente come non necessaria, inutile, poco familiare, tanto quanto le sue determinazioni. Anzi, per il cittadino comune, al di là del voto di domenica, è difficile comprendere perfino cosa significhi essere europei, difficile ancor di più se si sente limitato da disposizioni restrittive. E questo perché poco si è investito sulla cultura europea che resta somma di diverse lingue e non desiderio di unità. Non si è intrapresa una strada capace di impegnare diversi popoli in una visione di vita comune e condivisa, compresa da tutti come utile a tutti. Difficile credere nell'Europa dei popoli se ancora non si è determinato un contrappeso politico e ideologico alla tecnocrazia che decide da sola senza consenso popolare, segnando il destino di intere popolazioni con scelte economiche pesanti, imposte dall'alto, avvertite dalla gente come odiose.


Come certifica l'Istituto Toniolo, per sei giovani italiani su dieci, l'Ue è un progetto sostanzialmente fallito e le istituzioni politiche comunitarie non sono state all'altezza delle sfide degli ultimi anni. Sentimento ancor di più esteso alle nostre latitudini, a Napoli e nel Meridione, dove l'Europa non esiste affatto, come non esiste ancora compiutamente l'unità d'Italia. Il disgusto per la politica ha fatto il resto, ha cambiato i connotati della partecipazione popolare e se i parlamenti nazionali, quanto i consigli comunali, sono ritenuti inutili, difficile pensare che possa essere diverso per il parlamento di Strasburgo.


D'altronde lo sanno bene i diretti interessati, i candidati alle europee e i loro partiti, che poco si stanno impegnando in questa improvvisata sfida elettorale, senza emozioni, senza programmi, senza progetti, senza nessun manifesto, nessuna strategia, solo il dolore di una perdita, la morte dell'idea originaria di Europa così come sognata dai padri fondatori. Una visione sfumata per la miopia di una classe politica mediocre che dichiara la sua incapacità nel saperla raccontare, il fallimento di un progetto visionario dilapidato sul tavolo marcio di banchieri spudorati e di burocrati incartati.


Qualche comizio qua e là, più di rumore e di colore che di contenuti, un solo auspicio per tutti: che tutto termini in fretta. A prevalere resta la falsa preoccupazione che a trionfare siano i populismi, quelli di vecchi e nuovi urlatori che sparano nel mucchio per raccattare carcasse, ma restano comunque complici del sistema, anch'essi prossimi sconfitti per aver partecipato a qualcosa in cui neppure credono.


* Gennaro Matino  è docente di Teologia pastorale e insegna Storia del Cristianesimo presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Editorialista di 'Avvenire' e 'Il Mattino'. Parroco della SS Trinità. Il suo più recene libro: “Economia della crisi. Il bene dell'uomo contro la dittatura dello spread" (Baldini & Castoldi - 2013).


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