Elezioni. Oltre le parole di fumo
La somma dei pretendenti alle poltrone, agli scanni e ai sediolini, tutti insieme non fanno un'idea, una visione comune, un ideale da condividere, ma massa, corpo fragoroso senza sostanza, poltiglia insapore al solo scopo di riempire senza saziare. Se la politica della città, se il benessere collettivo è fuori portata, perché è divenuto secondario all'utile di chi vorrebbe rappresentarla, la deriva populistica si avvia a diventare autoritaria.
C'È da preoccuparsi, davvero. Un mese di baraonda elettorale, parole inutili a sfregio delle più elementari regole del buon senso, uomini e donne, tanti, troppi, in cerca di un consenso personale che niente ha a che fare con la città e il suo futuro. Impazzano in ogni dove, in rete, in strada, nei bar per portare a casa per lo meno un voto. La deriva populistica passata per nuova democrazia svende il collettivo, lo sacrifica egoisticamente a vantaggio dell'individuo, sposta il bene comune, che è il bene di tutti, verso la ricerca del solo interesse personale.
Al contrario, la politica, soprattutto quella della città, è scienza morale perché è scienza del rapporto tra gli uomini. E il rapporto tra gli uomini suscita, anima, provoca gli interessi essenziali della politica. Così dovrebbe. L'opera progressiva della polverizzazione della politica ha portato all'antipolitica strutturale e ora gli interessi parziali e occulti, quelli che davvero sono in lista per governare la città, sono difficili da poter essere controllati.
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