Buonismo, vera malattia morale di questo secolo
I criminali non hanno età, sono solo criminali. Basta con questa declinazione buonista del bandito, dell’omicida qualsiasi età abbia. Resta cattivo, crudele, malvagio, solo uno spietato assassino quando senza pietà, senza ragione, con lucidità inquietante e disumana, calpesta ogni valore, quando uccide con la consapevolezza di uccidere e lasciando intere famiglie nello sconforto, nella solitudine abissale, si fa assassino non per caso ma per vocazione. Fa il male perché vuole fare male, sceglie, si diverte a farlo, deliberatamente pianifica il crimine e affronta con spavalda sostanza il ruolo che ha deciso di interpretare, non di “ pecora”, perché tali sarebbero i bravi ragazzi, ma di “ lupo”, di “ leone” che come animali “ seri” si sentirebbero offesi ad essere paragonati a questa feccia.
Vomitevole perfino il linguaggio usato per descrivere un mondo che nulla ha a che fare con la normalità dei significati e che non può essere paragrafato con le solite liturgie che si ripetono ogni qualvolta un nuovo crimine efferato per le mani di un minore trova spazio di cronaca e di letteratura mediatica: non si tratta di fidanzatine, ragazzini, poco più che adolescenti. Sono belve sanguinarie che certo non sono i soli responsabili, ma questa storia che stiamo vivendo, impotenti di fronte a tanta libertà di offendere, rischia di essere oltraggiosa per chi ha ancora capacità di soffrire il lutto per l’ingiustizia, per chi non sopporta più che a tutto vada data una giustificazione, che c’è sempre qualcuno che per sociologia, psicologia, politica, religione sia pronto a spostare la responsabilità dalla mano omicida al contesto, all’ambiente, alla storia sfortunata.
E se questo può essere vero in parte, può diventare un alibi se non dicesse che le analisi servono per descrivere i fenomeni ma non per risolverli nell’immediato, servono per raccontare le disfunzioni della società ma non per superarle adesso, quando meritano di essere affrontate, mentre la mano omicida continua a perpetrare il suo disegno di potere, mentre ancora dichiara la volontà di divertirsi facendo del male attrezzando il suo circo quotidiano del tutto impunito. Cosa dobbiamo aspettarci ancora? Ancora dobbiamo accontentarci delle analisi in vista del prossimo delitto? E le analisi riporteranno in vita il povero Franco Della Corte così barbaramente trucidato?
Quando senti i commenti di chi avrebbe dovuto prevenire, di chi avrebbe dovuto punire, di chi avrebbe dovuto fare giustizia, di chi avrebbe dovuto sorvegliare, educare, hai la sensazione che restino sorpresi, che proprio loro non se lo aspettavano. Basta con questa commedia che, se non fosse tragedia per chi la vive sulla propria pelle, sarebbe una farsa. Il buonismo è il peccato originale, è il criterio di frantumazione di quel tempo valoriale dove sbagliare, eri ricco o povero, eri colto o ignorante, eri di città o di periferia, restava un errore.
E non c’erano attenuanti. Una voce, quella della coscienza, restava ancora percepibile, e se non per tutti, diffusamente passava come valore che il male è male e non va fatto. Perfino il delinquente quando sbagliava lo faceva con la consapevolezza del proprio errore a differenza dell’oggi dove la coscienza è muta quasi per tutti e prova a non vergognarsi della propria inettitudine, della squallida miseria in cui è degenerata. Fidanzatine, ragazzine, parole da far schifo in tempo di guerra e chi più ne ha più ne inventa. Criminali che se meritano un perdono, e questo va ricordato anche alla Chiesa, necessitano di una correzione seria, adeguata, che sia anche di impatto e di avvertimento per chi ancora vorrebbe delinquere. Una punizione adesso per un ravvedimento domani, certa la pena, subito senza aspettare che il buonismo metta sotto tappeto le lacrime dei sopravvissuti, il tempo rubato alle vittime, la serenità offesa di intere famiglie e soprattutto che apra nuove vie alla libertà di delinquere perché tanto “non ci fanno niente”.
Il buonismo è la vera malattia morale di questo secolo perché si ricollega alla decadenza dei tempi attuali, a quella paralisi della volontà, quell’inettitudine borghese che è la declinazione nazional- popolare del “pensiero debole”, del relativismo teoretico e morale. E sul piano sociale questa attitudine ha portato danni irreparabili in ambito pedagogico dove è più pertinente parlare oggi di “
lassismo” o “ permissivismo” che hanno sottratto bambini e giovani al senso del sacrificio e della disciplina. Senza generalizzare, le conseguenze di ciò sono sotto gli occhi di tutti: droga, comportamenti devianti, imbarbarimento dei costumi, mancanza di rispetto per gli educatori, siano essi della famiglia o della scuola, fino alla perdita totale di qualsiasi freno inibitorio. Uccidere è solo uno stadio di tale decadenza. E purtroppo, non ultimo.
*Gennaro Matino, teologo, scrittore, docente di teologia pastorale e parroco a Napoli
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