Una nuova narrativa per l'industria italiana

Il Presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, incontra la platea della Casa Italiana-Zerilli Marimò (NYU) in conversazione con Letizia Airos (video in pagina)

“Molti diventano personaggi perché non sanno essere persone”: inizia così Letizia Airos, citando Gesualdo Bufalino.

La Editor in Chief di I-Italy ci fa immediatamente comprendere il focus della sua introduzione, e più in generale dell’intera conversazione, guidata dalla parola chiave “racconto”: “Vincenzo Boccia è una persona, in un momento, come quello che stiamo vivendo, pieno di personaggi; e se lo è, molto dipende dalla storia di suo padre, e dalla regione in cui ha vissuto, la Campania”.

Il Presidente di Confindustria è infatti il figlio di Orazio Boccia, un uomo che impersonifica perfettamente il self-made man: orfano a soli undici anni è rinchiuso in un terribile orfanotrofio salernitano chiamato ‘il Serraglio’. Dopo aver vissuto da “scugnizzo” nei vicoli cittadini ed aver combattuto la fame, è stato uno dei pionieri dell’imprenditoria italiana delle arti grafiche nel secondo dopoguerra. La sua caparbietà e il suo intuito l’hanno portato a mettere in piedi l’attuale “Arti Grafiche Boccia”, di cui Vincenzo Boccia è AD.

Con i suoi 160 dipendenti e un fatturato di oltre 40 milioni di euro l’anno, questa azienda di famiglia operante da più di 50 anni è stata definita dall’ex Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano “l’immagine di un Mezzogiorno capace di far emergere e valorizzare le sue migliori energie, concorrendo con il proprio fattivo apporto allo sviluppo dell’Italia intera”.

Vincenzo Boccia ha dunque vissuto la sua giovinezza nei capannoni della tipografia del padre, respirando l’aria delle rotative, incontrando i collaboratori e gli intellettuali che gravitavano attorno all’azienda di cui diverrà direttore nel 1993.

“Nelle parole di Letizia la mia memoria è andata a un pezzo della mia storia”, esordisce Boccia prendendo parola; “ognuno di noi è i libri che ha letto, le persone che ha visto, i maestri di vita e di scuola che ha incontrato, le persone che ha amato”, prosegue, “e ricordo quando la domenica mattina mio padre andava a raccontare di quella piccola fabbrica che all’epoca avevamo, descrivendo i suoi sogni, gli investimenti realizzati, e soprattutto ricordo che io e mio fratello giravamo con la bici intorno a quello stabilimento; finché a un certo punto, come per magia, ci siamo ritrovati dentro”.

Il Presidente di Confindustria spiega al pubblico della Casa Italiana Zerilli Marimò, costituito anche da molti giovani, come all’epoca la tipografia fosse un settore molto romantico.

Si sofferma sul punto per cui, essendo priva della tecnologia odierna, la forma lavorativa prevedesse che i clienti  visitassero l’azienda: ”il mondo ti entrava in casa”. Boccia ricorda come da adolescente, seduto dall’altro lato della scrivania, osservasse scrittori, poeti e politici prendere un caffè col padre Orazio e raccontarsi, e rimarca di dovere molto a questo mondo.

E l’esperienza che il Presidente ha fatto sul campo, fin da giovanissimo, è più che mai evidente nella chiarezza con cui riesce a spiegare, durante l’incontro-lezione, temi difficili con parole semplici, capaci di essere chiarificatrici anche per chi, come chi scrive, non è esattamente avvezzo alla materia economica.

Nel parlare della rivoluzione industriale, che dice  attualmente in atto nelle aziende italiane, guidata ovviamente dalla capacità di stare al passo con l’innovazione tecnologica, il Presidente si sofferma su un dato importante: l’Italia è uno dei pochi paesi al mondo ad avere una percezione degli italiani stessi molto peggiore di quella che invece ha il resto del mondo.

È un dato rilevante soprattutto se collegato al fatto che l’Italia è la seconda potenza industriale d’Europa dopo la Germania, nonostante il pesante deficit di competitività che ha rispetto a quest’ultima (tassazione, spread, infrastrutture).

L’obiettivo, per Boccia, è quello di passare dalla percezione alla realtà.

Chiarisce che in questo passaggio l’intento di Confindustria è quello di evolversi nel suo ruolo di corpo intermedio dello Stato; spiega che dietro il pensiero economico di Confindustria c’è un’idea di società, intesa come inclusiva, aperta, con le persone al centro delle società e le imprese al centro dell’economia, che c’è un’idea di un Paese che non deve essere considerato periferia d’Europa, ma centrale, vista la sua posizione tra Europa e Mediterraneo.

Il Presidente sviluppa il suo discorso raccontando come Confindustria stia dunque cercando di definire una visione degli imprenditori italiani che non si chiedono più, e solo, come sarà la propria impresa tra qualche anno, ma come sarà il proprio Paese; del fatto che voglia essere rappresentante di interessi e non solo più difensore (come da ruolo storico di “sindacato”), nel senso di essere un ponte tra gli interessi delle imprese e quelli del Paese, in una visione europea, di cui il Presidente ricorda i 3 fondamentali: pace, protezione e prosperità.

Alla fine del suo intervento Vincenzo Boccia definisce a chiare lettere l’obiettivo della Confindustria diretta da lui: diventare un attore sociale nella sfida tutta italiana di puntare alla crescita, delle imprese e della politica economica, come fine per raggiungere l’appianamento delle diseguaglianze sociali. E ricordando la annosa questione tra Governi e corpi intermedi, conclude citando Goethe: ”l’importante non è andare d’accordo, ma andare nella stessa direzione”.

Dopo gli svariati input forniti dal discorso del Presidente di Confindustria, sorge spontanea la domanda: l’Italia, quindi, che futuro ha?

Boccia non ha dubbi: l’obiettivo è riportare al centro del discorso economico l’occupazione, soprattutto quella giovanile, creare posti piuttosto che sussidi. E per fare questo la politica economica deve produrre le condizioni di base che favoriscano il cambiamento, che è inevitabilmente dato dall’innovazione, nelle industrie come nella vita.

Secondo il Presidente, se il cambiamento non è frutto di qualcosa di veramente nuovo allora non raggiungeremo mai un risultato rivoluzionario, ma ci limiteremo a realizzare un prodotto ben fatto, senza aver fatto la differenza.

La linea di Confindustria è chiara; la speranza è che si possa trovare un cammino comune con il Governo.

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