“Terroni e Polentoni”, l’identità italiana tra divisioni e unità
Il Nord e il Sud dell’Italia di oggi non si incontrano più a Teano. Per farlo, infatti, scelgono la Grande Mela. In un gremito auditorium della St. John’s University di New York si è svolto ieri uno stimolante incontro tra le due anime d’Italia, quella settentrionale e “polentona” e quella “terrona” meridionale.
Alla presenza di Lorenzo Del Boca e di Pino Aprile, autori rispettivamente di “Polentoni: Come e perché il Nord è stato tradito” e di “Terroni: Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero meridionali”, si è discusso dell’importanza di riscoprire la vera storia del Risorgimento al di là della facile retorica con cui spesso essa viene presentata in occasione delle celebrazioni ufficiali dell’Unità d’Italia.
Soprattutto, si è posto l’accento sulla necessità di indagare le ripercussioni profonde del momento risorgimentale sull’attualità italiana sempre più convulsa e problematica, specie in questi giorni di acutissima crisi politica.
La tavola rotonda, moderata da Anthony Julian Tamburri, che ha visto intervenire anche il sindaco di Chioggia Giuseppe Casson, il sindaco di Bari Michele Emiliano, il rettore dell’Università per Stranieri di Siena Massimo Vedovelli, monsignor Hilary Franco e il direttore del quotidiano “America Oggi” Andrea Mantineo, è stata promossa da un’altra anima d’Italia: quella degli italiani all’estero che la Italian Language Inter Cultural Association (ILICA) riunisce annualmente per il suo prestigioso “Cultural Event”.
La lingua italiana, come veicolo di formazione dell’identità italiana nel mondo e come strumento di conoscenza e di fratellanza da condividere con i popoli amici, è al centro di tutte le riflessioni dei relatori.
Come sostenuto dal presidente di ILICA Vincenzo Marra, che si è definito “americano per scelta”, il disconoscimento dell’italiano da parte degli italiani emigrati in America, durato generazioni, non è più motivo di vanto.
Joseph Sciame, vicepresidente dell’Office of Community Relations della St. John’s University e presidente dell’Italian Heritage and Culture Committee, racconta di come i suoi nonni e i suoi genitori non volessero parlare l’italiano e di come molti degli italiani emigrati negli Stati Uniti americanizzassero i loro nomi e cognomi, nella speranza di potersi integrare con maggiore facilità nel tessuto della società nella quale speravano di trovare un futuro migliore.
L’interesse verso l’italiano, però, cresce non solo tra gli italo-americani, ma anche tra coloro che non hanno altro legame con l’Italia che l’amore per la sua cultura, la sua bellezza e la sua storia. L’italiano infatti, come dichiara il professor Vedovelli, è la quinta lingua straniera più studiata al mondo.
Andrea Mantineo, giunto negli Stati Uniti da Messina quarant’anni fa, racconta di come a quel tempo la volontà di integrarsi degli italiani in America coesistesse con l’intenzione di mantenere vive le proprie tradizioni. È proprio per questo, come sostiene il sindaco di Bari Emiliano, che gli italiani in America hanno saputo realizzare prima dei loro connazionali in patria quella “Unità” che a tutt’oggi non sembra caratterizzare la realtà italiana, in cui il divario tra nord e sud, dice Pino Aprile, “è il caso di disuguaglianza più duraturo della storia”.
Ma in una nazione che ha saputo risollevarsi da momenti di profonda crisi come il secondo dopoguerra poiché “ha voluto farlo”, come sostiene Aprile, perché la questione meridionale è ancora irrisolta?
Secondo Lorenzo Del Boca è perché in realtà il Risorgimento non ha unito alcunché. Il Sud e il Nord d’Italia, secondo l’autore, non erano blocchi monolitici, omogenei e consistenti. Il sud in particolare “era frammentato come lo erano gli indiani d’America, divisi in tribù, alcune delle quali aiutarono i coloni a sterminare altre tribù”. Nel momento dell’unificazione i marchesi del Sud si accordarono con i Savoia per ricevere benefici patrimoniali, racconta Del Boca. I comportamenti disonesti che hanno incrinato la possibilità di una vera unificazione erano diffusi sia al Nord che al Sud.
Commentando la tendenza dei primi emigranti italiani in America a cancellare ogni traccia della loro provenienza territoriale e culturale, Pino Aprile sostiene che quegli italiani, prevalentemente provenienti dal Sud, si sentivano “vinti”, e volevano “abitare una identità più forte”. La lingua italiana, dice Aprile, è stata ripudiata dagli emigranti “per porre una distanza tra sé e l’Italia, una distanza tra sé e la propria sconfitta”. L’emigrazione dal Sud è vista da Aprile come una violenza, “nessuno prima di allora se n’era mai andato da lì, il Sud era diventato una colonia interna: ai vinti non restava altra chance che quella di fuggire”.
Tra i concetti espressi dal moderatore Tamburri,va ricordato un accenno ma anche un invito a superare gli steccati di un'identità legata al nord e al sud. Occorre, secondo il preside del Calandra, riflettere sul concetto così ben delineato da Piero Bassetti di "Italico" soprattutto se si fa riferimento agli italiani fuori dall'Italia. Intendendo come italici tutti coloro che hanno radici etniche italiane o italofone, ma anche quelli ne condividono lingua e cultura e che, in tutto il mondo, hanno un’affinità con i valori del Bel Paese.
La divisione d’Italia è “uno strumento nelle mani di qualcuno”, sostiene il sindaco Emiliano, e per l’Italia contemporanea è fondamentale riprogettare sé stessa in modo che “nessuno possa comprare più qualcuno contro qualcun altro”.
Per entrambi i sindaci, esponenti delle istituzioni dell’Italia di oggi costantemente poste a confronto con le criticità del sistema Italia, discutere di queste tematiche a New York ha un’importanza particolare.
“È importante ripartire dalle proprie radici per costituire una nuova identità d’Italia. Solamente attraverso un vincolo solidale all’interno dell’Italia sarà possibile affrontare le difficoltà che stiamo vivendo”, dice ad i-Italy il sindaco di Chioggia Giuseppe Casson. “Se si mantiene viva la dinamica di divisione, frammentazione, frantumazione, non si andrà da nessuna parte.”
Proprio mentre il convegno si svolgeva, il presidente Obama telefonava al presidente Napolitano per informarsi sulle prossime difficili mosse che l’Italia intenderà adottare per superare la crisi del governo Berlusconi.
“Credo che Napolitano abbia detto a Obama che sa perfettamente qual è la cura per l’Italia, e abbia dato garanzia della disponibilità degli italiani a riconquistare la fiducia che abbiamo perso in questi anni”, dice ad i-Italy Michele Emiliano, sindaco di Bari.
Casson condivide la posizione di Emiliano: “Non c’è dubbio che l’Italia di oggi abbia perso molta credibilità. È indispensabile recuperarla e lo si può fare solamente attraverso un mutamento di guida”.
Le divisioni italiane trovano nell’esperienza degli italiani d’America un esempio di soluzione: “Dobbiamo imparare molto da loro, specialmente la loro disponibilità a riconoscersi reciprocamente come figli di un’identità comune, che si provenga da Domodossola o da Messina”, Casson dice ad i-Italy.
Il riconoscimento reciproco dovrebbe forse partire da una presa di coscienza dei grandi passi in avanti che il Mezzogiorno d’Italia ha compiuto. “A furia di essere additati come causa del dissesto italiano molti comuni del Sud hanno cominciato a funzionare molto meglio che in passato”, sostiene Michele Emiliano.
Il sindaco di Bari si meraviglia del fatto che l’Economist si interessi dei casi positivi di sviluppo del Sud Italia più di quanto non lo faccia la stampa italiana. Se ne disinteressa addirittura la politica: “Quando si parla del Sud che funziona non c’è desiderio di approfondimento. Non c’è neanche nel mio partito, il Partito Democratico, che pure senza i voti del Sud non governerà mai”.
Gli ostacoli alla vera unificazione dell’Italia sono secondo Emiliano la criminalità organizzata, un cancro diffuso sia al Sud che al Nord, come evidenziano le indagini sulle infiltrazioni delle organizzazioni mafiose nell’economia italiana, ma soprattutto una classe politica che riproduce sé stessa anziché cercare il cambiamento.
“Molti fanno politica come fosse una professione, senza porsi obiettivi precisi di miglioramento sociale, ma avendo molto chiaro l’obiettivo del miglioramento della propria posizione personale”, dice Emiliano ad i-Italy.
Nella ricerca del cambiamento l’Italia può imparare ancora una lezione importante dagli Stati Uniti.
Secondo Emiliano, infatti: “L’America non è certo un luogo senza contraddizioni. Ce ne sono di gravissime, pesanti, che rendono difficile anche il cammino del presidente Obama. Ma è altrettanto chiaro che in America tutti hanno una speranza di riuscire, che passa attraverso le capacità obiettive delle persone. Questa è la strada da seguire.”
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