La risposta è: Multilateralismo. Parola di Mariangela Zappia

Letizia Airos Soria (August 22, 2018)
Andiamo a trovare la nuova Rappresentante Permanente dell’Italia presso le Nazioni Unite a New York. E' la prima donna italiana in questo ruolo. Con lei abbiamo una conversazione aperta. Parliamo della presenza italiana nel mondo che esalta le ragioni del dialogo e comprensione reciproca. Del suo credo multilateralista. In questa intervista incontrerete la diplomatica, moglie e madre, fermamente convinta di quanto sia importante la parità di genere per il futuro del mondo. 'Empowerment delle donne', occorre dare alle donne la possibilità di entrare nei processi. Mariangela Sappia ribadisce il suo sostegno all’azione del Segretario Generale Guterres a favore della parità di genere: "Mi concentrerò su questo tema"

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Incontro l’Ambasciatrice Mariangela Zappia, nuova Rappresentante Permanente dell’Italia presso le Nazioni Unite a New York. Mi accoglie con grande cordialità, nel suo ufficio al 49mo piano, pochi giorni dopo la presentazione delle sue credenziali al Segretario Generale Antonio Guterres.

E’ la terza volta che viene a New York con un incarico diplomatico. Ha ricoperto infatti il ruolo di Vice Console presso il Consolato Generale a New York nel 1990-1993 e di Primo Consigliere alla Rappresentanza Permanente presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite a New York nel 2000-2003. Ed è la prima volta che una donna assume l’incarico di guidare la missione italiana all’ONU.

‘Multilateralismo’ sarà la parola chiave intorno a cui girerà la nostra conversazione e, parlando con lei, avrò la conferma di quanto sia importante e promettente il fatto che sia una donna a crederci, parlarne, volerlo mettere in atto.

E’ un metodo che esalta le ragioni del dialogo e della comprensione reciproca, per soluzioni eque e che durino nel tempo, è qualcosa di profondamente congeniale e legato all’esperienza femminile.

Ambasciatrice Zappia, ci descrive alcune delle principali caratteristiche della nostra diplomazia recente nel mondo?

“Abbiamo introdotto diverse novità, con temi che abbiamo portato noi all’attenzione e che fanno la differenza. Ci siamo fatti conoscere nel mondo in un modo molto particolare. Abbiamo anticipato noi il concetto di protezione del patrimonio culturale e dell’ambiente nelle operazioni di peacekeeping. E’ importante infatti ridurre il più possibile l’impatto ambientale delle missioni ONU sul terreno. E’ un tema nuovo che ci distingue, legato ad altri aspetti che ci rendono noti nel mondo come la creatività, l’intuizione, la consapevolezza di come i temi si leghino e vadano affrontati, anche  nel contesto di un’operazione di peacekeeping.”

Tratti di italianità...

“Certo. Siamo un grande Paese, con una specificità tutta nostra, anche senza essere una super potenza.  Siamo rilevanti, ascoltati e questo si riflette in mille modi. Siamo tra i maggiori contributori al bilancio regolare dell’ONU e a quello delle operazioni di pace e il primo fornitore di truppe tra i Paesi occidentali alle operazioni di peacekeeping,  ma siamo anche conosciuti  per il modo in cui facciamo peacekeeping.  Siamo amati dalla popolazione, un peacekeeper italiano viene riconosciuto, non ha paura di stare in mezzo alla gente.”

L’immagine dell’Italia fa così il giro del mondo ...

“Assolutamente sì. Come rappresentante alla NATO ho visitato tanti nostri contingenti per esempio in Afghanistan.  Dove arrivano gli italiani creano amicizia, si fanno amare dai civili. Abbiamo anche questa specificità…

Noi crediamo fermamente nel multilateralismo. Viene dalla nostra Costituzione.

Siamo attenti all’individuo, è un tratto della nostra politica estera multilaterale.  Abbiamo portato avanti la bandiera di tante battaglie per i diritti umani, contro la pena di morte, per contrastare mutilazioni genitali femminili, la violenza contro le donne, tutti temi che ci contraddistinguono.

Poi abbiamo tanti organi delle Nazioni Unite in Italia. Va ricordato. Abbiamo il polo agricolo a Roma, costituito da tre Agenzie (FAO, IFAD, WFP). Abbiamo l’UNICEF con il centro di Firenze, per i fanciulli. A Torino, l’ONU è presente attraverso il Centro Internazionale di Formazione dell’ILO, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, lo Staff College del Sistema delle Nazioni Unite (UNSSC) e l’Istituto Interregionale di Ricerca delle Nazioni Unite sul Crimine e la Giustizia (UNICRI). E a Brindisi abbiamo un importante hub per l’approvvigionamento dedicato alle operazioni di pace.”
 

Mariangela Zappia, è nata a Viadana una cittadina in provincia di Mantova, ma come figlia di un militare ha girato l’Italia da nord a Sud. Si laurea in Scienze Politiche  all’Università di Firenze. Ma quando decide di entrare in diplomazia?

“Non è stata un’illuminazione. Ho frequentato l’Università Cesare Alfieri di Firenze in anni molto speciali. Era una fucina di cervelli, pensatori, ci insegnavano Spadolini, Sartori, Tarantelli, Cassese …. Mi sono avvicinata a tematiche internazionali, mi sono appassionata, anche se non avevo focalizzato sulla diplomazia. Poi ho fatto il concorso,  l’ho vinto subito e sono entrata in carriera. Quasi senza accorgermene…”

Erano tempi in cui le donne in diplomazia erano pochissime...

"Ero l’unica del mio concorso!  E’ una carriera che è stata aperta tardi alle donne (nel ‘67) e che ha conservato un marchio maschile per molto tempo.

Tuttora siamo ancora poche, nonostante alcuni progressi. In Italia siamo quattro donne Ambasciatrici di grado, con incarichi molto rilevanti.  Abbiamo per la prima volta una Segretario Generale del MInistero degli Esteri donna, Elisabetta Belloni, una Consigliera Diplomatica del Presidente della Repubblica ( Emanuela d’Alessandro) e l’Ambasciatrice a Parigi (Ambasciatrice Teresa Castaldo)."

Ma è ancora difficile la carriera diplomatica per una donna?

"E’ difficile prima di tutto dal punto di vista personale. Siamo in una società che di fatto non è totalmente paritaria, è difficile conciliare famiglia e carriera. Ma devo dire che l’avanzamento sociale della donna ha messo anche gli uomini nella stessa situazione. Ci sono tante colleghe sposate con mariti che le seguono all’estero, e allora sono gli uomini che devono seguire la moglie e trovare un lavoro…”

E nella sua carriera piena di incarichi importanti c’è stato un momento in cui ha deciso di fermarsi per la famiglia.

“E’ stato molto difficile. Ero a New York. C’era un’occasione di lavoro per mio marito, una grande occasione. Volevo che avesse la possibilità di prenderla. Ma al tempo stesso mi rendevo conto che sarebbe stato molto difficile fare il mio lavoro e organizzare la famiglia senza avere delle ripercussioni sui i miei figli, Claire e Christian, che avevano 11 e 7 anni. E’ stato difficile decidere, ma mi ricordo quando mandai il fax con la richiesta di aspettativa. Mi sentii subito meglio. Avevo fatto la cosa giusta.

Certo poi tornare non è stato facile. Chiedere un’aspettativa per motivi familiari ti fa uscire dal radar.  Ma si può fare. La mia Amministrazione è stata lungimirante. "

E’ la terza volta che viene a lavorare a New York.  La prima fu nel 1990 come Vice Console...

“Ero giovane, la mia seconda sede! Non dovevo venire a New York. Ero in Africa, in partenza per Parigi, che era il mio sogno. Ma incontrai mio marito e questo cambiò la mia vita.  Nonostante fosse francese non poteva lavorare in Francia. La soluzione fu New York, dove lui poteva avere un incarico all’Unicef.

Quella nel Consolato Generale fu un’esperienza bellissima. Mi occupavo della comunità italiana. Un lavoro delicato, molto interessante. E poi lì passa tutto il meglio dell’economia e della cultura presente in città.  Ho ancora tante amicizie che sto ritrovando in questi giorni.”

Nel 2000 è di nuovo a  New York, questa volta va alle Nazioni Unite. E’ questo quindi un ritorno dopo 18 anni.  Anni che hanno visto trasformazioni profondissime, quasi inimmaginabili nello scenario internazionale del ‘900.

“C’è stato un cambiamento globale. Il mondo si è complicato. Allora era più semplice capire chi stava dove, chi credeva in che cosa. Era più facile intuire cosa pensava l’altro. Ora non ci sono punti di riferimento. Non ci sono certezze. E’ una fase molto complicata. E’ un momento caotico, c’è un confronto costante su tutti i temi di cui ti devi occupare. Ma qui entra in gioco il mio credo multilateralista.

C’è un risorgere di nazionalismi, sovranismi e quindi il sistema multilaterale è fondamentale per evitare derive pericolose. Penso che oggi le Nazioni Unite siano ancora più importanti. Qui alcuni trend si capiscono meglio che altrove. Si possono fare delle previsioni e agire di conseguenza.”

Nel suo discorso, il giorno della consegna delle credenziali,  ha indicato come temi prioritari per l'Italia pace, sicurezza, diritti umani e anche sviluppo sostenibile, migrazioni.  Rispetto al passato la diplomazia ha quindi nuove finalità, nuove sensibilità. Cosa vuol dire, come donna, per lei questo nuovo incarico?

“Sono appena arrivata. Lo saprò meglio tra qualche mese, ma credo che una donna in diplomazia porti prima di tutto una maggiore sensibilità, ha più antenne, come nella vita.

E poi penso che porti una ‘cultura del risultato’.  Non abbiamo molto tempo da perdere, se facciamo una riunione vogliamo che si concluda con un risultato concreto.

Ora le Nazioni Unite sono un posto dove per vedere un risultato ci vuole del tempo, certo, ma per arrivarci ci vuole anche capacità di dialogo. Per questo occorre sforzarsi di più,  mettere da parte l’ego. In quindici anni di ego ne ho visto molto anche altrove, alla Nato, all’Unione Europea … Questo atteggiamento per cui devo essere sempre io a dire l’ultima parola. Credo che in molti casi siano le donne più degli uomini ad avere la capacità di mirare al risultato e privilegiare la necessità di far funzionare le cose.”

Un ragionamento legato al suo convinto sostegno all’azione del Segretario Generale Guterres a favore della parità di genere in ogni ambito del sistema ONU…

“Questo Segretario Generale sta facendo la differenza. Mi concentrerò anche io parecchio su questo tema. La famosa ‘quota’ del cinquanta per cento di donne, di cui si parlava già diciotto anni fa, e non si raggiungeva mai. Guterres ha dimostrato che si può fare, scegliere sistematicamente le donne. Fino a quando le donne non dovranno essere sempre ‘le più brave’ per affermarsi, mentre tantissimi uomini “solo” bravi…

La parità di genere è importante di per sé.  Finché non lo capiremo non si risolverà mai questo problema. In passato non sono stata favorevole alle quote di genere, ma comincio a pensare che,  per un certo periodo, le quote servano per stabilire una parità di base.”

E c’è il tema generale definito con il termine empowerment delle donne.

Empowerment delle donne,  dare alle donne la possibilità di entrare nei processi.  Il peacekeeping ed il peacebuilding sono ambiti fondamentali in cui applicare questo principio.  Si è fatto uno sforzo, ma non basta. Nei processi di pace devono intervenire le donne. Prima di tutto perché sono una parte della società (la metà), secondo per il ruolo che hanno nella famiglia, e terzo per la capacità di pensare al bene comune.

E credo che questo Segretario Generale abbia individuato questo tema non solo come uno slogan, ma come una policy. Se devo scegliere tra un uomo ed una donna a parità di competenze, scelgo una donna. E così si cambia."

Le Nazioni Unite. Sono percepite come una cittadella nella città chiusa in se stessa. Non pensa che entrambe, New York e UN, si potrebbero avvantaggiare con un rapporto più continuo?

“Non è una percezione. E’ una realtà. Chi lavora alle Nazioni Unite vive in una specie di bolla. Se uno non fa lo sforzo di reagire, può passare anni sempre in questo quartiere e frequentare solo gente delle Nazioni Unite.

Ho detto al mio team che sono disponibile ad andare a parlare fuori.  So quale sia il rischio di rimanere qui dentro. Tanto lavoro ... e poi si è assorbiti dalla bolla. Ci fa male. Anche se credo che al tempo stesso anche la Città debba venire incontro alle Nazioni Unite. Ci sono temi su cui si può lavorare insieme."

Per esempio?

“C’è stato un negoziato importante per la definizione del Global Compact for Migration che affronta la migrazione a trecentosessanta gradi. Mi sto chiedendo come si possa parlare di questo a New York, città di migranti con tutta la nostra migrazione storica.  Sto riflettendo a possibili iniziative sul tema rivolte alla città…”

E a livello personale… cosa la lega a questa città. Quale è il posto a cui è più affezionata?

“Dico solo una cosa.  La mia prima figlia è nata qui. Ho tanti ricordi. La zona a cui sono più legata,  Carnegie Hill, dove abitavo.  Dove i bambini andavano a scuola, con il Central Park che quando sei stanco, dopo una settimana intensa, ti regala weekend speciali. E poi andare al Guggenheim Museum con la carrozzina, e attraversare il verde da est a ovest per andare al Museo di Storia Naturale…”

Chiudiamo la nostra conversazione con questa bella immagine di Manhattan e di nuovo con tutta la convinta positività che Mariangela Zappia ha voluto imprimere la nostra conversazione.

“Difendere il multilateralismo è essenziale oggi,” mi dice salutandomi. “Non bisogna mai perdere la capacità  di dialogo, la volontà di continuare ad insistere per capire in quale punto il tuo ed il mio interesse si incontrano. E’ importante avere dei luoghi dove si parla si negozia si decide … Io ci credo.”

E’ una messaggio anche per la vita di tutti i giorni. Legato anche al modo con cui noi donne gestiamo il quotidiano.

“Esatto!”

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