Carlos Marcello, il boss che odiava i Kennedy
Il libro uscirà in ottobre in inglese, edito da Enigma Books e tradotto da Robert L. Miller, con il titolo "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination"
La verità, vi prego, sull’assassinio di John Kennedy. È passato mezzo secolo da quel tragico 22 novembre 1963 a Dallas. Da allora, prima o poi, tutti ci siamo chiesti almeno una volta: «Qual è la verità?». È sicuro che nei prossimi mesi, allo scadere dei 50 anni, la domanda ce la sentiremo riproporre. Come è altrettanto certo che verremo subissati di rievocazioni. Ma che cosa ne uscirà? Quello che la maggior parte dell’opinione pubblica ha finalmente capito è che le versioni ufficiali delle prime commissioni d’indagine, a cominciare da quella presieduta dal giudice Earl Warren e voluta da Lyndon Johnson - vice presidente e successore di Kennedy - non erano affatto convincenti. Ma poi?
Ed eccola, forse, la verità. La si era già vociferata in giro, in alcuni articoli e qualche libro. Ma ora Carlos Marcello, il boss che odiava i Kennedy di Stefano Vaccara (Editori Riuniti, pp. 240, € 16,90) toglie praticamente ogni dubbio. Attraverso documenti - quelli resi disponibili da autorità tuttora reticenti e che preferiscono assecondare l’imbarazzata voglia di non sapere di buona parte dell’opinione pubblica, americana e non - e facendo collegamenti logici quando i pezzi di carta e le testimonianze non è stato possibile trovarli o disseppellirli dal Top Secret, Vaccara punta il dito lontano da Dallas: verso New Orleans. E fa un nome che, tranne agli esperti di cose di mafia, ai più dice quasi nulla: Carlos Marcello. Che, per complicare subito le cose, in realtà non si chiamava così ma Calogero Minacori, figlio di siciliani di Ravanusa (Agrigento) emigrati nel 1910 negli Stati Uniti passando dalla Tunisia.
Potentissimo ma riservatissimo boss la cui “giurisdizione” arrivava fino al Texas, Marcello aveva un motivo personale per odiare i Kennedy. E non tanto John, il Presidente, quanto suo fratello Robert, all’epoca ministro della Giustizia, che riesce una prima volta a farlo espellere dal grande paese e poi continua a non dargli tregua. «Ma bisogna tagliare la testa, non la coda, affinché il cane non morda più» era la logica dichiarata del boss. E la testa era John. Anni dopo, le registrazioni nella cella in cui era rinchiuso colgono la confidenza: «L’ho fatto uccidere io, quel piccolo figlio di…». Per la cronaca, però, lui riuscirà a morire nel suo letto, molto tempo dopo, nel 1993 a 83 anni, nella sua casa di Jefferson Parish nei suburbi di New Orleans e con accanto tutta la famiglia. Come riesce soltanto ai veri Mammasantissima.
A questo punto, facciamo un passo in avanti ai giorni nostri, per spiegare le ragioni dietro la precisa inchiesta/ricostruzione fatta da Vaccara. Sono motivazioni belle e incoraggianti, perché partono dalla voglia di sapere e di giustizia dei giovani. Nelle aule del Lehman College della City University di New York, Stefano Vaccara, giornalista siciliano che da oltre venti anni vive e lavora negli States, tiene un corso sulla mafia. Fa un esperimento. Domanda agli studenti se hanno mai sentito parlare di Carlos Marcello. Dovrebbero, perché a un certo punto è stato il mafioso più potente e ricco degli Stati Uniti. E, soprattutto, perché «è il maggior sospettato di essere il mandante dell’omicidio di Kennedy». Ma, no, i ragazzi non lo sanno. Non capita mai che sappiano rispondere «perché questa verità non doveva essere conosciuta». Alla fine sono proprio gli studenti, che nel frattempo hanno anche partecipato alle ricerche, a spingere Vaccara a scrivere: «Forza, professore: deve fare un libro».
Per inciso: da questo libro dalla lettura serrata si potrebbe, anzi si dovrebbe, fare un film. La sceneggiatura è pronta: i personaggi, anche i più ambigui, si stagliano netti sullo sfondo grigio e nebbioso degli intrighi; le storie più sfumate e frammentarie si ricompongono inequivocabili nella mente del lettore grazie ai collegamenti fatti o lasciati intendere da Vaccara. Pare, comunque, da indiscrezioni raccolte da Variety che Leonardo Di Caprio abbia intenzione di girare una pellicola in cui finalmente Carlos Marcello apparirà come il vero mandante dell’omicidio del secolo XX. Una pellicola, si spera, che ridicolizzerà per sempre il JFK di Oliver Stone (1991), film vincitore di Oscar ma nel quale non viene dato alcun ruolo al boss, menzionato solo una volta e in un passaggio secondario.
Un vero film dovrebbe render conto (Hollywood lo sa far bene, quando vuole) del clima di reticenze, di omissis, delle ore di preziose registrazioni segrete che non compaiono nei verbali e sono state cancellate per sempre, delle incredibili “dimenticanze” e leggerezze da parte dei più diversi inquirenti. Puntualmente sottolineate da Vaccara. Una per tutte, ma sono tantissime: quando Jack Ruby - il piccolo gangster (appartenente indirettamente, si scoprirà, al giro di Marcello) che aveva ucciso Lee Oswald, l’uomo ritenuto l’esecutore dell’assassinio di Kennedy - riceve la sua prima visita in carcere pochi giorni dopo essere stato arrestato, a precipitarsi a trovarlo dietro le sbarre non è un familiare o un amico, ma un noto affiliato della famiglia mafiosa di Dallas. Eppure, per quanto possa sembrare sorprendente, la polizia non registra la conversazione. Che cosa si saranno detti? Probabilmente Ruby avrà avuto la rassicurazione che la “famiglia” non lo avrebbe dimenticato. Ma forse gli sarà anche stato fatto capire di non fare fesserie, di tenere la bocca chiusa. Magari, qualche altra frase avrebbe potuto essere preziosa per le indagini. Non lo sapremo mai. Come scrive Vaccara al termine dei 24 tesissimi capitoli: «Gli americani non sanno ancora come e perché il loro presidente sia stato ucciso a Dallas. E forse c’è più di una motivazione per questa ignoranza». In autunno, a ridosso del 22 novembre, uscirà la traduzione in inglese: potrebbe essere l’occasione buona.
i-Italy
Facebook
Google+