Federico Bordonaro: l'Italia difronte alla sfida globale
Dario Cristiani: Dott.Bordonaro, analisti e commentatori, osservando i risultati del voto del 13 aprile, hanno sottolineato l’importanza del fattore “globalizzazione” e delle paure ad essa legate nelle scelte degli elettori. Si è tornati ad utilizzare termini come “dazi” e “protezioni” e molte voci si sono levate contro queste opzioni. Come giudica l’impatto della globalizzazione rispetto alla politica e all’economia italiana?
Federico Bordonaro: In Italia, pare esservi una reazione quasi pavloviana rispetto alla tematica dei dazi. Vi è una certa intellighenzia che, appena si discute di garantire sostegni all’economia nazionale tramite l’imposizione di misure di protezione, criticano tali scelte sostenendone l’incompatibilità rispetto ai principi del libero mercato e la loro sostanziale inutilità per sostenere la crescita italiana. In realtà, si dovrebbe tornare a studiare Friedrich List e lo sviluppo della Germania e del Giappone lo dimostrano. In alcune fasi storiche, il vantaggio del libero scambio non è uguale per tutti; occorre rafforzarsi prima di aprirsi. Ciò dipende dal contesto, e la storia economica è più utile della teoria per comprenderlo. E’ preferibile una visione del liberalismo non dogmatica, più calata nella realtà e meno nelle teorie astratte. In alcune fasi storiche vi è bisogno di più mercato, in altre di meno. Si ammanta di retorica scientifica la necessità di aprire l’economia e il mercato nazionale anche rispetto all’acquisto di asset strategici, come piò essere Alitalia. Questo, probabilmente, è in realtà l’aspetto più visibile di una battaglia di potere che si gioca tra gruppi politici e finanziari, alcuni più legati ad una visione nazionale dell’economia, che ad esempio trovano espressione nelle riflessioni tremontiane degli ultimi anni, ed altri invece più legati alla finanza e all’economia transnazionale.
Una delle principali sfide che il nuovo governo si trova a dover affrontare è quella relativa ai problemi economici. Come pensa si muoverà il nuovo esecutivo guidato da Berlusconi?
Per attuare le scelte politiche di cui ha parlato Berlusconi, l’Italia dovrebbe riuscire a rinegoziare i parametri europei concernenti il debito pubblico. È impossibile riuscire a garantire contemporaneamente il taglio delle imposte sui consumatori, per far aumentare l’aumento del potere d’acquisto, e sulle Piccole e Medie Imprese, per favorirne la competitività, e la riduzione del debito entro i parametri stabiliti da Maastricht. Ciò non significa voler uscire dal Patto di Stabilità, ma semplicemente rinegoziarne i parametri, per garantire la stabilizzazione della discesa del debito nella giusta direzione. Se si dovesse riuscire a fare questo, si potrebbe garantire lo sviluppo delle infrastrutture funzionali all’economia, come le strade, le ferrovie e i porti, e si potrebbero fornire incentivi alla PMI, sperando che il rallentamento dell’economia americano non sia un elemento di lungo periodo. Sono queste le condizioni basilari per potere mettere in atto le politiche tremontiane annunciate in campagna elettorale.
Un altro grande tema dell’agenda economica italiana è la questione energetica. Quali pensa siano i principali problemi legati a questo tema?
Rispetto al problema energetico, bisogna sottolineare tre punti. Il primo è la necessità, per l’Italia, di portare avanti una politica di tagli agli sprechi. La seconda riguarda le strategie di diversificazione che l’ENI e l’ENEL devono portare avanti. In questo senso, la politica di amicizia con gli Stati Uniti, la Russia e i paesi arabi sono scelte intelligenti, soprattutto alla luce dei condizionamenti geografici con cui l’Italia e la sua politica estera deve fare i conti. Il terzo punto riguarda l’energia nucleare. Probabilmente, è arrivato il momento opportuno per il rilancio di tale settore. Berlusconi dovrebbe cogliere il momento, conscio anche che un tale sviluppo potrebbe garantire un rilancio importante anche nel settore della ricerca scientifica.
Lei ha citato il problema Alitalia, una delle questioni centrali della scorsa campagna elettorale. Pensa che sia un pericolo per l’Italia l’eventuale perdita della propria compagnia di bandiera?
Sì, può rappresentare sicuramente un brutto colpo. Il paradosso è che ancora negli anni ’90, Alitalia era una delle compagnie aeree più apprezzate d’Europa. Perdere un asset strategico come può esserlo la propria compagnia di bandiera, può infliggere un grave danno alla competitività e allo status internazionale di un paese. Non a caso, tutte le più grandi potenze mondiali, dagli Stati Uniti alla Russia, dall’India alla Cina, per non parlare della Francia e di altri paesi europei, ritengono il mantenimento del controllo dei propri asset strategici una priorità. Questo non significa rinnegare il libero mercato, ma semplicemente garantire un controllo politico rispetto a settori rilevanti per l’economia e la sicurezza dei propri paesi.
La politica estera dell’ultimo governo Berlusconi si è caratterizzata per un forte rapporto con Washington e con Mosca. Come pensa si evolveranno tali relazioni?
Con gli Stati Uniti, l’Italia condivide un rapporto consolidato per ciò che riguarda le tematiche economiche, ma esso va ben oltre, dato il rapporto strutturale che Itali e Stati Uniti condividono per ciò che concerne le politiche di difesa e di sicurezza. Il ruolo italiano in vari teatri di crisi, sebbene limitato nelle risorse, è politicamente rilevante ed è la dimostrazione della solidità di tale relazioni. Le relazioni con la Russia, invece, sono caratterizzate di più per la centralità dell’elemento economico. La Russia è importante per la bolletta energetica italiana e per gli investimenti dei gruppi finanziari russi in Italia. Per la sicurezza e la difesa, invece, la situazione è diversa. L’Italia ha posizioni che divergono da quelle russe sul problema del Kosovo, non vede di buon occhio la moratoria russa sui trattati Conventional Armed Forces in Europe (CFE) e quella, ancora possibile purtroppo, sull’Intermediate-Range Nuclear Forces (INF) e ha più di una riserva sulla presenza di truppe russe in territorio georgiano con funzioni di peacekeeping. In questi ambiti, Berlusconi è più propenso a far blocco con la Nato.
Nonostante la geografia, l’Italia continua a giocare un ruolo di retroguardia nei Balcani. Quale è la sua opinione sulle scelte italiane in tema di politica balcanica e che prospettive vede?
Rispetto ai Balcani, si sono dimostrati tutti i limiti dei decisori italiani. Inoltre, gli organi di riflessione italiani hanno parlato quasi “sottovoce” di un tema di fondamentale importanza per la sicurezza italiana. L’Italia dovrebbe essere preparata per l’eventualità di un conflitto nell’area. C’è da aggiungere poi che nei Balcani è in atto un processo di frammentazione. In vista di una possibile adesione di questi paesi all’Unione Europea vi è il rischio di trovarsi impreparati, in particolar modo rispetto al problema dell’immigrazione, come il caso romeno ha dimostrato. L’Italia, nonostante ciò che alcune forze politico sostengano ora, è sempre stata favorevole all’allargamento dell’UE e Roma ha anche sostenuto pienamente l’ingresso della Romania. È mancata una politica di scelta, si sono applicate le stesse regole a paesi con contesti socio-economici profondamente diversi, a danno, peraltro, soprattutto dei cittadini romeni ben integrati nel nostro paese. Rispetto ai paesi dei Balcani occidentali, si rischia lo stesso processo. Tutto ciò, aggravato dalla presenza delle mafie balcaniche. Vi dovrebbe una maggiore attenzione prima, durante le trattative di ingresso, e non dopo, con una mera reazione – in gran parte inefficace – a quanto già avvenuto.
* Federico Bordonaro è senior analyst ed Europe editor con il Power and Interest News Report (PINR) e Europe editor con Equilibri. Dottore dell'Università la Sorbona (Paris-IV) e docente del dipartimento di Storia dell’Europa Orientale dell’Università di Roma “La Sapienza”, esperto di Politica europea di sicurezza e difesa (PESD), di relazioni internazionali e del pensiero geopolitico contemporaneo, è autore di “La potenza incompiuta. Scenari di sicurezza europea nel XXI secolo” (Angeli, Roma 2005).
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