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Articles by: Maria rita latto
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Opinioni"La firma dell'accordo interconfederale del 21 settembre ha fortemente ridimensionato le aspettative sull'efficacia dell'articolo 8. Si rischia quindi di snaturare l'impianto previsto dalla nuova legge e di limitare fortemente la flessibilità gestionale".
Con queste parole contenute in una lettera datata 30 settembre indirizzata a Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, annuncia che dal primo gennaio 2012 Fiat e Fiat Industrial lasceranno Confindustria. Una rottura annunciata, frutto delle divergenze sul tema dei contratti nazionali e sull’effetto “anestetizzante” che l’accordo dello scorso 21 settembre ha, di fatto, sull’articolo 8 della manovra di bilancio del governo. Questo articolo, visto dalla Fiat e dal suo ad come essenziale per poter avere più libertà di azione nelle contrattazioni aziendali e quindi per stare sul mercato globale, dava alle aziende facoltà molto più ampie anche in tema di licenziamenti. Le potenzialità dell’articolo 8 si sono tuttavia ridotte di molto con l’accordo tra Confindustria e Sindacati.
Nella sua lettera alla Marcegaglia Sergio Marchionne sottolinea: "Fiat, che è impegnata nella costruzione di un grande gruppo internazionale con 181 stabilimenti in 30 paesi, non può permettersi di operare in Italia in un quadro di incertezze che la allontanano dalle condizioni esistenti in tutto il mondo industrializzato. Per queste ragioni, che non sono politiche e che non hanno nessun collegamento con i nostri futuri piani di investimento, ti confermo che, come preannunciato nella lettera del 30 giugno scorso, Fiat e Fiat Industrial hanno deciso di uscire da Confindustria". E ancora più esplicitamente, pressato dalle domande dei giornalisti, Marchionne è andato oltre la lettera, affermando che “per noi la Confindustria politica ha zero interesse”.
Intanto, mentre i cosiddetti “padroni” litigano tra di loro, lo scorso 3 ottobre a Barletta, in Puglia, si è verificato il crollo di un palazzo di due piani che per un cedimento strutturale è imploso inghiottendo dieci persone, tra cui cinque operaie al lavoro in uno scantinato fatiscente adibito a opificio che ieri si è trasformato in una trappola mortale. E non c’è stato niente da fare per Maria, 14 anni, la figlia del titolare della maglieria che ieri era uscita un’ora prima da scuola ed era andata a cercare i genitori al lavoro e per altre quattro donne, quattro operaie, Matilde, Giovanna, Antonella e Tina, che si trovavano all’interno dell’edificio.
Una tragedia, assurda, che proietta il nostro Paese indietro nel tempo, alle morti sul lavoro avvenute cent’anni fa ed anche oltre. Come non pensare alle opere dickensiane che narravano le condizioni massacranti di chi lavorava nelle workhouses della Londra ottocentesca, o all’incendio avvenuto a Manhattan, alla Triangle Factory, dove nel 1911 morirono 146 donne tra le fiamme? Non c'erano idranti né uscite di sicurezza al nono piano del palazzo nella Manhattan industriale dei primi del Novecento. Le condizioni di lavoro di quelle donne erano ancora obsolete, con orari massacranti, spazi da sardine, paghe decise di volta in volta dai capireparto. La sicurezza, poi, era inesistente, specie in fatto di incendi. Le scale più alte dei vigili del fuoco arrivavano al sesto piano quando la metà degli opifici si trovava al di sopra del settimo.
E poi ecco cent’anni dopo riproporsi il dramma di donne costrette a lavorare “in nero”, senza contratto, per poter vivere, anzi per sopravvivere, per poter pagare il mutuo della casa o per consentire ai propri figli di fare una vita almeno accettabile. A Barletta, nel sottoscala del palazzo crollato c’era il laboratorio di confezioni dove un gruppo di donne cuciva magliette e tute da ginnastica, lavorando dalle 8 alle 14 ore al giorno per 3 euro e 95 centesimi all'ora. Una paga da terzo mondo, una situazione da terzo mondo, una storia che la dice lunga sul Meridione d’Italia, sulle donne che vi abitano. Nella nostra Italia popolata da tante donne disposte a tutto (basti pensare alla famosa intervista con la escort Terry de Nicolò, pronta a passare sul cadavere della madre pur di vivere nel lusso ed avere successo) anche le morte di Barletta appaiono come donne disposte a tutto, con la differenza che pur di potersi sposare, dare una mano ai magri bilanci di famiglia accettavano un lavoro ai limiti della sopravvivenza. Disposte a tutto, anche a lavorare in condizioni estreme, pericolose, ignare del rischio di non tornare più a casa dai propri cari.
Dura, in merito, la presa di posizione del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha subito inviato un messaggio al sindaco della città Nicola Maffei. “L’inaccettabile ripetersi di terribili sciagure, laddove si vive e si lavora, impone l’accertamento rigoroso delle cause e delle responsabilità e soprattutto l’impegno di tutti, poteri pubblici e soggetti privati, a tenere sempre alta la guardia sulle condizioni di sicurezza delle abitazioni e dei luoghi di lavoro con una costante azione di prevenzione e di vigilanza” ha detto il capo dello Stato. -
Fatti e Storie
Lo scorso 21 settembre Confindustria e sindacati hanno firmato definitivamente l'accordo interconfederale su contrattazione e rappresentanza già redatto in occasione del precedente vertice del 28 giugno scorso.
Lo hanno annunciato la presidente degli industriali Emma Marcegaglia e i leader di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti al termine di un incontro che si è svolto nella sede di Confindustria di via Veneto a Roma. Una firma attesa da mesi con cui le parti sociali (quelle firmatarie, ovviamente) rispondono alle norme previste dall’articolo 8 della manovra economica che, sopratutto sulla parte relativa alle deroghe in materia di licenziamenti, aveva scatenato un duro coro di critiche da parte sindacale e la perplessità del mondo industriale.
Ma cosa prevede quest’intesa? Il documento elaborato contiene nove punti che vanno dalle nuove regole per la rappresentanza sindacale, alle garanzie di efficacia per gli accordi contrattuali firmati dalla maggioranza dei rappresentanti dei lavoratori, ad una sostanziale possibilità di deroghe a livello aziendale (termine che comunque non compare esplicitamente nel testo della bozza), al quadro dei contratti nazionali. Comunque, il punto più importante è quello che sottolinea la centralità delle parti nelle decisioni sui contratti e stabilisce regole precise per la rappresentatività sindacale. E, visto che l’articolo 8 della manovra prevede che le deroghe ai contratti nazionali vadano concordate con i sindacati maggiormente rappresentativi, nella pratica l'intesa risolve la questione. Tuttavia, la Cgil è decisa a voler cancellare del tutto l’articolo 8 che, comunque, prevede la possibilità di venire meno allo Statuto dei lavoratori, e in particolare all'articolo 18 che sancisce l'impossibilità di licenziare. Su questo punto la Cgil è decisa ad andare avanti con iniziative volte alla cancellazione dell'articolo 8, vista come un “obiettivo fondamentale” per la Cgil. “L'ipotesi su cui ci stiamo muovendo è quella del ricorso alla Corte Costituzionale”, conclude Susanna Camusso.L’accordo interconfederale tra l’altro prevede meccanismi precisi per la rappresentatività sindacale: ad esempio, un sindacato per firmare un contratto deve avere almeno il 5% degli iscritti in quella categoria. Inoltre, un contratto aziendale deve essere controfirmato da rappresentanze che abbiano almeno nel complesso il 50% degli iscritti fra i lavoratori di quella società; il contratto può essere sottoposto a referendum. Tuttavia l’accordo, pur prevedendo i contratti aziendali, sottolinea che il riferimento resta comunque il contratto nazionale, che garantisce “la certezza dei trattamenti economici e normativi per tutti i lavoratori del settore”.Dopo la firma dell’accordo, le parti hanno rilasciato un breve comunicato in cui si sono impegnate inoltre a “far sì che le rispettive strutture, a tutti i livelli, si attengano a quanto concordato e che le materie delle relazioni industriali e della contrattazione sono affidate all'autonoma determinazione delle parti”. Susanna Camusso, segretario della Cgil ha sottolineato che i rapporti tra le parti non sono, quindi, materia del governo: “Abbiamo detto a questo governo che non può interferire – ha aggiunto la leader Cgil – l'art.8 non è la strada con cui si costruiscono le relazioni sindacali”.
Questo accordo chiude una stagione di separazione tra Confindustria e sindacati. In particolar modo, il fatto che questo accordo sia arrivato dopo quattro anni in cui la Cgil non aveva più firmato un accordo unitario, segna una fase nuova per la Confederazione. Non ha nascosto la propria soddisfazione Emma Marcegaglia, la quale ha espresso la volontà di “andare avanti tutti insieme”. Giudizio condiviso anche dai segretari di Cisl e Uil, nonché dal segretario della Cgil Camusso che ha dichiarato: "Abbiamo superato una stagione di divisione conseguente, anche, alla ristrutturazione della contrattazione. Abbiamo dato un contributo a rimettere il valore del lavoro e la centralità della contrattazione all'attenzione del nostro Paese e dei lavoratori".
La firma dell’accordo da parte dei segretari Bonanni (Cisl) e Angeletti (Uil) non ha sorpreso più di tanto, dal momento che sin dal referendum voluto a Pomigliano e Mirafiori da Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, questi due sindacati si erano dichiarati disponibili a sottoscrivere qualsiasi proposta elaborata dagli industriali. Ha sorpreso, invece, la firma della Camusso che, dopo appena quindici giorni dallo sciopero generale dello scorso 6 settembre, sciopero che aveva portato in piazza con la Cgil milioni di lavoratori, con quest’intesa emargina la Fiom (Federazione Italiana Operai Metallurgici), l’ala più “dura” del sindacato e rischia di creare contraddizioni all’interno della Confederazione stessa. Infatti, già a giugno, dopo il primo assenso all’accordo con Confindustria, c’era stato chi aveva criticato l’operato del segretario Camusso dal momento che, pur avendo ottenuto la certificazione della rappresentatività delle sigle sindacali, apriva, di fatto, la strada ad una subordinazione del contratto nazionale ai contratti aziendali, per di più restringendo gli spazi di democrazia sui luoghi di lavoro, prevedendo solo in alcune occasioni la possibilità per i lavoratori di esprimersi sui contratti attraverso i referendum. Tant’è che il segretario della Fiom, Landini, aveva chiesto da subito alla Confederazione di “ritirare il proprio sostegno e adesione all'ipotesi di accordo del 28 giugno”, richiesta rispedita al mittente. Nel frattempo, lo sciopero generale del 6 settembre ha messo in evidenza il grande potenziale della Cgil nel mobilitare i propri iscritti, nonché quelli di altri sindacati. Ecco perché adesso tutti aspettano di vedere come la firma dell’accordo con Confindustria possa influire sui futuri rapporti all’interno della Confederazione.All’indomani della firma dell’accordo molti osservatori hanno notato come la lotta contro il governo Berlusconi abbia unito due donne da sempre su posizioni diametralmente opposte come Emma Marcegaglia e Susanna Camusso. A chiedere per prima le dimissioni del premier è stata il segretario della Cgil, che ad agosto, all'indomani della manovra, indisse lo sciopero generale per il 6 settembre e da allora continua sulla strada della mobilitazione delle piazze. Ora anche la Marcegaglia va allo scontro: “O il governo vara riforme serie e impopolari oppure deve andare a casa”, ha detto pochi giorni fa, dopo il declassamento del debito dell’Italia da parte di Standard & Poor’s. Le richieste della leader degli industriali sono chiare: “La riforma delle pensioni, una riforma fiscale che abbassi le tasse su imprese e lavoratori e, eventualmente, alzi quelle sulle cose, una grande vendita di patrimonio immobiliare, un investimento sulle infrastrutture e sulla ricerca”. Con queste affermazioni il capo di Confindustria si fa interprete di un malumore diffuso tra gli industriali italiani nei confronti di Silvio Berlusconi e del suo esecutivo.
Da parte del governo, ed in particolar modo del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, c’è un vivo apprezzamento per la firma dell’accordo tra Confindustria e sindacati: “L'accordo definisce i criteri di rappresentatività delle organizzazioni sindacali e definisce le maggioranze che rendono le intese applicabili a tutte. La legge aggiunge la sua forza per dare certezza agli accordi”. Per quel che concerne le deroghe, il ministro ha ripetuto la sua posizione, e cioè che l'articolo 8 “si limita a definire le materie che liberamente le parti possono regolare”, aggiungendo che così il sistema delle relazioni industriali si evolve verso una “dimensione di prossimità, come auspicano le autorità sovranazionali”, ha scritto il ministro nella nota, riferendosi implicitamente alla Bce e all'Ocse: cioè si dà più peso alla contrattazione aziendale. Diversa l'interpretazione che arriva da alcuni esponenti della sinistra. Per il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, la firma “è l'unico segnale positivo di fiducia, su cui puntare per una ricostruzione del Paese”. L'ex ministro del Lavoro del Pd, Cesare Damiano, si spinge oltre: “l'esigibilità dell'accordo renderà del tutto inutile l'articolo 8 della manovra, riconsegna alle parti l'autonomia delle decisioni sulle relazioni industriali, dopo le inopportune intromissioni del Governo”. -
Opinioni
Il prossimo 23 settembre avrà luogo “La Notte Europea dei Ricercatori”, evento promosso dall'Unione europea per far conoscere il lavoro di questi scienziati. Musei e laboratori aperti, spettacoli e aperitivi scientifici saranno un pò ovunque, in Italia e in tutta Europa, un’occasione unica per la ricerca per far divertire ed aprire le porte a tutti, per cercare di far scoprire ai cittadini che cosa succede dentro i laboratori, che cosa si studia, come si fanno gli esperimenti.
Ogni struttura ha cercato la maniera più divertente e accattivante per attrarre l'attenzione del pubblico e togliere alla scienza la solita etichetta di cattedra e di lezione. A Londra si potrà partecipare alla costruzione di un universo fatto di Lego guidata da un gruppo di fisici all'Università Queen Mary. A Bologna ci sarà lo spettacolo "Il viaggio di Joe il fotone, una storia blues", mentre a Frascati "Il Kyoto fisso" rappresenterà in forma teatrale la tematica del riscaldamento globale, ma non solo.
A Roma si racconterà la scienza partendo dai telefilm, a Torino i ricercatori saliranno anche sui tram della città, a Gorizia si abbatterà la frontiera che separa la città dalla Slovenia lavorando insieme con l'Università di Nova Gorica, a Trieste si punterà sull'energia. In particolare, a Bologna si celebrerà la Chimica, perché all'Università di Bologna, nel 1737, fu istituita la prima cattedra di questa materia e anche perché il 2011 è l’anno dedicato a questa scienza. E per questa notte speciale la chimica si farà nelle strade della città, non nei laboratori. In realtà, man mano che l’evento prendeva forma, ci si è resi conto che, per fare spazio a tutte le iniziative in programma, la “Notte” avrebbe dovuto avere inizio con la luce del giorno, occupando, in alcuni casi, l’intera giornata del 23. Addirittura, in molti casi le giornate dedicate ad alcuni appuntamenti sono diventate più di una, tant’è che a Frascati la “Notte” non è altro che l'evento finale di un’intera settimana dedicata alla scienza, da sabato 17 a sabato 24 settembre, con visite guidate e tantissime occasioni per incontrare scienziati e ricercatori. Questi ultimi, in particolare, sono un piccolo esercito che in Italia arriva a contare oltre 100.000 persone e che in Europa ne raccoglie 1,5 milioni. Nel nostro Paese sono poco considerati, poco pagati e poco conosciuti, alle prese con i continui tagli alla ricerca e con la difficoltà ad avere un contratto stabile.La situazione dei ricercatori in Italia è la punta dell’iceberg della crisi in cui versa l’università nel nostro Paese: i laureati sono ancora pochi e una volta finiti gli studi stentano a trovare lavoro. Questo è quanto emerge dall’annuale rapporto del consorzio Almalaurea sulla condizione occupazionale dei laureati, secondo il quale il numero di questi ultimi ha iniziato a ridursi nel 2008 ed è destinato a contrarsi ulteriormente. Nel periodo 2004-2009, la quota di laureati nella popolazione di età 30-34 è cresciuta di 3,3 punti percentuali, partendo da un valore inferiore al 16%. Un livello molto lontano, fanno notare i ricercatori di Almalaurea, rispetto a quello, pari al 40%, che la Commissione Europea ha individuato come obiettivo strategico da raggiungere entro il 2020.E poi, una volta conseguita la laurea, la situazione non migliora, anzi, inizia una vita all’insegna della disoccupazione che cresce fra i laureati triennali (dal 15% al 16%), fra i laureati specialistici biennali (dal 16% al 18%) e anche fra i laureati che hanno condotto gli studi a ciclo unico (dal 14% al 16,5%). Crescono i precari e scende la percentuale di chi ha un lavoro a tempo indeterminato (46% fra i laureati di primo livello e 35% fra chi ha la laurea magistrale); contemporaneamente, aumenta il lavoro in nero, passando dal 3,5% dell’anno scorso al 6% attuale fra i laureati di primo livello, dal 3,5% al 7% fra chi ha fatto il biennio di specializzazione e dall’8% all’11% fra i laureati del ciclo unico.E che dire degli stipendi medi? Facendo un parametro con gli indici ISTAT dei prezzi al consumo sono calati del 5% in due anni per i laureati del primo livello, del 10,5% per quelli del secondo livello e del 7,5% per chi ha la laurea specialistica.Questi dati sono davvero preoccupanti, eppure sono anche più rosei di quelli reali per quanto riguarda i laureati che lavorano in Italia: in effetti, i laureati specialistici biennali che lavorano all’estero, a un anno dal titolo, sono il 4,5% (erano il 3% nel 2009) e questi laureati guadagnano 1.568 euro al mese contro 1.054 dei colleghi rimasti in Italia. Insomma i laureati che lavorano all’estero alzano la media! Tra l’altro il divario sale a 700 euro mensili per i laureati del 2005, a dimostrazione che le retribuzioni all’estero sono proprio di un altro livello.Un quadro desolante che colpisce chiunque legga questi dati e non solo. C’è chi ha provato di persona la situazione universitaria qui da noi: nei giorni scorsi è stata riportata dei media la storia di Nico Perrino, studente americano 21enne dell’Università dell’Indiana, figlio di immigrati italiani, il quale aveva programmato di trascorrere un intero anno accademico all’Università di Bologna. Poi, per un problema di salute, il progetto è saltato ed il buon Nico è dovuto tornare negli States, con però le idee un po’ più chiare riguardo la terra dei suoi avi. Nei pochi giorni a Bologna ha incontrato ingegneri meccanici che si arrangiano con piccole riparazioni a domicilio, ricercatori che passano la loro vita nelle università perché per loro non c'è mercato. Per non parlare dei biologi plurilingue, che negli Stati Uniti sarebbero visti come risorse preziose mentre qui, dopo mesi di ricerche, al massimo trovano lavoro come camerieri. E tra le tante stranezze viste nel Belpaese, una che ha colpito particolarmente Nico è stato il fatto che, mentre negli Stati Uniti “in un fast food o in un negozio di musica trovi uno studente universitario, se non un ragazzo delle scuole superiori, in Italia invece trovi probabilmente un uomo di mezza età”, ed ancor più grave è stato scoprire che molti di quelli che fanno un lavoro “umile” hanno pure una laurea o stanno pensando di prenderne un'altra (secondo Nico, ormai “inutile”).Insomma, è bastato un breve periodo in Italia per far convincere Nico che “It feels good to be back in America”. -
Fatti e Storie
11 settembre 2001-11 settembre 2011. Dieci anni che hanno cambiato il corso della storia all'inizio di questo secolo, dieci anni in cui l'America si è improvvisamente scoperta vulnerabile, esposta ad un nemico non identificabile, non riconducibile ad una potenza straniera, com’era accaduto, ad esempio, a Pearl Harbor, dove l’attacco era stato sferrato dal Giappone. Un anniversario importante, vissuto con grande partecipazione non soltanto dagli Stati Uniti, ma dal mondo intero. Da giorni ormai i maggiori quotidiani italiani contengono inserti commemorativi dell’11 settembre con foto, DVD, ricostruzioni e opinioni di illustri editorialisti.
Su La Stampa del 4 settembre Gianni Riotta, all’epoca inviato per Il Corriere della Sera a New York, rievoca lo spirito di quegli anni, prima che tutto accadesse: “l'entusiasmo per un Terzo millennio libero da fantasmi, ideologie e odio del XX secolo, ci nascose i pericoli. Il populismo che fa saltare il Federal Building a Oklahoma City nel 1995, un terrorista americano contro l’America. Le bombe che i fondamentalisti di al Qaeda fanno esplodere in Africa nell'estate ‘98 contro obiettivi Usa e che non vediamo, distratti dal flirt tra Clinton e Monica Lewinsky”. Per Riotta l’11 settembre è il “Giorno che ha cambiato le nostre vite”, la linea di demarcazione tra un “prima“ e un “dopo” che ha lasciato alle spalle l’ottimismo di inizio secolo e ha proiettato tutti noi in una crisi globale che dura ancora oggi. Il bilancio è denso di incertezze: “Dieci anni dopo «noi» ci ritroviamo con la crisi finanziaria e la fine dello sviluppo, «loro» con il difficile laboratorio democratico e l’agonia dei dittatori, in Siria e Iran. I qaedisti inseguono lo scacco matto dell’attacco nucleare, persuasi che le nostre democrazie non reggeranno”.
La Stampa, come tutti i media italiani del resto, sta dando un grande risalto al decennale dell’11 settembre con articoli giornalieri sull’edizione cartacea e con uno speciale online che ogni giorno viene aggiornato con articoli e testimonianze. Degna di nota è l'intervista del 4 settembre di Paolo Mastrolilli a Jay McInerney, scrittore statunitense, famoso per “Le Mille Luci di New York”, uscito nel 1984, che con “The Good Life” ha scritto il primo romanzo dedicato all’11 settembre. McInerney pensa che l’America avrebbe già potuto voltare pagina se non fosse stato per la “maledetta crisi economica” che blocca tutto: “L’11 settembre non ha cambiato le nostre vite, se non per aspetti marginali e per la politica estera. Siamo programmati per sopravvivere, metterci alle spalle i traumi e tirare avanti”. Per lo scrittore statunitense, tuttavia, è cambiato radicalmente il modo in cui noi vediamo gli islamici, e loro vedono noi. Il dialogo con gli islamici sarà “un processo culturale, oltre che politico, molto lungo. Gli estremisti che ci hanno colpito –continua McInerney- hanno una visione della vita completamente diversa dalla nostra, e non hanno alcuna intenzione di ascoltarci. Possiamo cercare di favorire l’ascesa dei musulmani più moderati, a patto di non bruciarli con la nostra amicizia, e sperare che dalle primavere arabe emerga una classe dirigente più aperta e moderna. Ma sono speranze che richiederanno decenni”.
Enrico Franceschini sul suo blog su Repubblica concorda con Philip Stephens, columnist di affari internazionali e nazionali del Financial Times, il quale ritiene che tutto sia cambiato dopo l’11 settembre. All’indomani dell’attentato ci si sarebbe aspettato da parte degli Usa che riaffermassero la propria posizione di leadership mondiale, che si ridefinisse la sicurezza dell’Occidente con una lunga guerra contro gli estremisti islamici e che il Medio Oriente si ridisegnasse a immagine e somiglianza della democrazia occidentale. Tuttavia, nota Franceschini, “dieci anni più tardi, il declino del potere americano è sotto gli occhi di tutti (nel 2001 si pensava che la Cina avrebbe sorpassato l’economia Usa nel 2050, oggi si pensa che succederà nel 2020 – se non prima); la guerra santa islamica è ancora un problema, ma è ormai chiaro che non rappresenta una minaccia esistenziale per la sicurezza dell’Occidente; e in Medio Oriente si sente sì parlare di democrazia, ma non sotto la spinta di bombardamenti americani bensì sotto quella di una rivoluzione popolare dal basso, il cui esito non sarà necessariamente quello di una democrazia a immagine e somiglianza dell’Occidente”.
Gli Stati Uniti appaiono sempre più indeboliti, con un Medio Oriente in fermento, con istanze di democrazia che si stanno facendo strada, ma non sotto la spinta dei bombardamenti americani, bensì da una rivoluzione popolare dal basso il cui esito non sarà necessariamente quello di una democrazia a immagine e somiglianza dell’Occidente. La sconfitta maggiore della sfida di al Qaeda, conclude Franceschini, “non è stata dunque l’uccisione del suo leader Osama bin Laden, bensì il fatto che il futuro viene oggi scritto a Pechino, a Nuova Delhi, a Rio de Janeiro, non nei rifugi dell’estremismo islamico. Il mondo è cambiato e molto, rispetto all’11 settembre 2001. Ma non è stato – fortunatamente – l’11 settembre a cambiarlo”. Oltre agli articoli presenti sul quotidiano, La Repubblica ha dato risalto al decennale dell’11 settembre con un Atlante in cui vengono rievocati l’attacco, le storie di vittime e carnefici, la guerra al terrore. Le grandi firme di Repubblica, gli esperti, gli scrittori nazionali e internazionali, con testimonianze e foto, danno un quadro ampio all’evento. Anche sul Corriere della Sera c’è spazio alle commemorazioni con articoli e con uno speciale online in cui vengono proposte, tra l’altro, anche le tesi complottistiche che negli ultimi dieci anni si sono ciclicamente ripresentate e che, per l’occasione, sono riaggiornate con ultimi filmati e nuove ipotesi.
Sul Fatto Quotidiano Roberto Festa guarda alle ripercussioni dell’11 settembre sull’economia, rifacendosi alle tesi di Linda Bilmes e del Premio Nobel Joseph Stiglitz, economisti autori di “The Three Trillion Dollar War”. Per Festa non si può ignorare il fatto che il vero lascito economico dell’11 settembre siano proprio le spese militari, “il fiume di denaro fatto affluire dall’amministrazione Bush, e poi da quella Obama, in Afghanistan, in Iraq, in ogni altra parte del mondo in cui gli Stati Uniti abbiano percepito un (supposto) pericolo. I 4 mila miliardi che Stiglitz e la Bilmes hanno visto prendere la strada dell’Afghanistan e dell’Iraq sono stati sottratti al lavoro, agli investimenti, alla sanità, all’educazione”. Non è possibile spendere miliardi in una guerra fallita all’estero, e non vedere le ripercussioni di tutto questo in patria. “A parte i numeri e le percentuali, -conclude Festa- è proprio quel “dolore” – nelle case, sulle tavole, nelle scuole e negli ospedali – che gli americani hanno più percepito dopo il settembre 2001”.
Il decennale ha spazio anche in televisione, con i palinsesti volti a dare il giusto risalto all’evento con dirette, film ed esclusive, con tanti speciali dei programmi di approfondimento. Una vera e propria maratona in tutti i canali italiani che è iniziata i primi giorni di settembre e che avrà il suo culmine il giorno dell’anniversario con le varie dirette da New York.
L’11 settembre verrà anche ricordato in molte parti d’Italia con numerose iniziative. Tra le tante ci sono quelle dalla sezione italiana di "Democrats abroad", il ramo ufficiale del partito Democratico degli Stati Uniti, attivo in oltre 164 paesi, che ha organizzato alcune commemorazioni a Venezia, Milano, Firenze, Roma e Cagliari per rendere omaggio alle vittime di tutto il mondo. Infatti, nell’attacco al World Trade Center di New York persero la vita quasi 3000 persone provenienti da oltre 70 paesi, facendo di questa una tragedia non solo americana. Gli eventi organizzati da “Democrats abroad” avranno luogo durante la mattinata di domenica 11 settembre: ispirandosi alle "liste" di Roberto Saviano e Fabio Fazio nel programma televisivo "Vieni Via Con Me", i partecipanti leggeranno e condivideranno brevi ricordi e pensieri.
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Opinioni
Mare Nostrum: così lo chiamavano i Romani e così è stato fino al Cinquecento, fino alla conquista del Nuovo Mondo. Era il solo mare conosciuto, considerato da tutti la culla della civiltà e della storia, da tempi immemorabili via di comunicazione e di scambio condiviso da culture differenti eppure unite sotto il segno della presenza di questo mare sulle loro coste. Sin dai tempi più remoti ci sono state migrazioni di popoli da una regione all’altra del Mediterraneo, spesso per necessità, e tra queste le più importanti sono state le grandi colonizzazioni greche del XIV secolo avanti Cristo sulle coste dell’Italia meridionale, in Sicilia, in Francia, in Spagna.
Un’avventura verso quello che allora era considerato il Nuovo Mondo e cioè il Mediterraneooccidentale. Tutto questo portò alla fondazione di grandi città come Siracusa, Gela, Selinunte, Agrigento, ed i migranti greci convissero pacificamente con le popolazioni già esistenti, assumendo spesso i loro miti ed i loro riti.
Mediterraneo centro di grandi civiltà e di grandi migrazioni, dunque, ma anche luogo letterario per eccellenza, scenario delle peregrinazioni di Ulisse e dei tanti eroi epici della guerra di Troia che tornavano in patria, in quelli che Omero aveva chiamato “oi nostoi”, i ritorni. Mediterraneo solcato anche dal troiano Enea, l’eroe descritto da Virgilio in fuga dalla sua città distrutta il quale, dopo aver vagato tra l’Africa e l’Etruria, aveva fondato nel Lazio l’Italia romana. Da quel villaggio le cui origini si confondevano con la leggenda, aveva avuto inizio la storia della penisola italica, una storia strettamente connessa al Mediterraneo, un lungo percorso nei secoli fatto di migrazioni ma anche di guerre, dominazioni, battaglie navali, commerci, contatti tra popoli, navigazioni. Un percorso che avrebbe portato all’Unità d’Italia solo nella seconda metà dell’Ottocento. Ed anche in quel caso tutto sarebbe passato attraverso il Mediterraneo, con la spedizione di Garibaldi e dei Mille che dalla Liguria, da Quarto per l’esattezza, navigando verso sud, avrebbe dato l’avvio “marinaresco” all’Unità, di cui proprio quest’anno si festeggia il 150° anniversario. Un’impresa considerata “epica” ancora oggi da molti italiani: circa mille uomini giunti da ogni parte della Penisola, persino da altri Paesi, partirono da Quarto ed in maniera rocambolesca, eludendo ogni controllo, giunsero a Marsala. Un viaggio attraverso le acque del Mediterraneo che trasformò un gruppo di persone quanto mai eterogeneo, che parlava poco italiano e tanti dialetti, in un esercito con lo scopo comune di unire l’Italia. Questo accadeva, appunto, nella seconda metà dell’Ottocento. Tuttavia, già da secoli, con la scoperta del Nuovo Mondo, il Mediterraneo aveva perso la sua centralità. Cristoforo Colombo e gli altri grandi navigatori si erano spinti oltre lo stretto di Gibilterrra, superando le Colonne d’Ercole, quelle che nell’antichità erano considerate il limite oltre il quale c’era l’ignoto: l’Ulisse dantesco aveva pagato con la dannazione quel “folle volo” fatto attraversandole, un gesto necessario per saziare la sua sete di conoscenza. L’oceano appariva vasto e misterioso ed il passaggio dal “rassicurante” Mediterraneo alla grandiosità dell’Atlantico divenne oggetto di storie di viaggio, racconti, fino alle cronache che riferivano della grande emigrazione verso le Americhe.
Quanti bastimenti hanno solcato il Mediterraneo ed oltrepassando le Colonne d’Ercole si sono avventurati nell’Atlantico in cerca di una vita migliore! Tuttavia, durante il XIX secolo ci sono stati migranti che non si sono spinti così lontano ma hanno semplicemente attraversato il Mediterraneo, proprio come accade ai giorni nostri, con la sola differenza che si trattava d’italiani che partivano dal meridione d’Italia per andare nel Maghreb ed in particolar modo in Tunisia. Un’emigrazione iniziata nei primi anni dell’Ottocento e che aveva riguardato liberali perseguitati dalla polizia borbonica del Regno di Napoli che trovavano un rifugio sicuro in Algeria ed in Tunisia, dove tra l’altro andò esule persino Giuseppe Garibaldi. Verso la fine dell’Ottocento la Tunisia divenne la meta di una grossa ondata migratoria di braccianti italiani i quali, non trovando lavoro a causa della crisi economica che aveva colpito il meridione d’Italia, erano stati costretti a lasciare la loro terra, dando vita, nelle città in cui si erano trasferiti, a tante “Piccola Sicilia” o “Piccola Calabria”. Quest’ondata migratoria italiana in Tunisia favorì, tra l’altro, l’apertura di scuole, istituti religiosi, ospedali italiani, orfanotrofi. Tutto questo fa pensare con amarezza ad oggi, alla tragedia dei migranti dal nord Africa stipati nei centri d’accoglienza, respinti e nel peggiore dei casi morti in fondo al mare. Le grandi battaglie navali che si erano consumate sul Mediterraneo nel passato hanno lasciato il posto alla battaglia per la sopravvivenza di questi poveri migranti in lotta contro la povertà, inseguendo il loro sogno di libertà in una vera e propria carneficina che dal 1988 ad oggi ha visto più di 15.000, tra uomini, donne e bambini inghiottiti dalle acque del mare.
Tuttavia, tra tante guerre reali, letterarie e dolorose che si sono consumate nel Mediterraneo, come non ricordare quella più frivola ed ugualmente “leggendaria” che ha visto contrapporsi agli inizi degli anni ’50 due attrici indimenticabili e totalmente diverse l’una dall’altra come Anna Magnani ed Ingrid Bergman? Anna Magnani, archetipo della donna mediterranea passionale fu lasciata da Roberto Rossellini, regista con cui aveva girato l’indimenticabile “Roma città aperta” e con cui aveva una relazione. Le era stata preferita l’algida, nordica Bergman, diva famosa in tutto il mondo.
Oltre allo smacco sentimentale Anna Magnani aveva subìto anche quello professionale, dato che il ruolo della protagonista del film di Rossellini, “Stromboli, terra di Dio”, ruolo pensato espressamente per lei, dopo la brusca fine del legame amoroso era stato assegnato ad Ingrid Bergman, attrice che fisicamente aveva ben poco della donna passionale descritta nel film. Ed ecco allora la furia da Erinni di Anna Magnani che, furente, vuole farla pagare a Rossellini ed alla rivale accettando in fretta e furia di girare “Vulcano” del regista statunitense William Dieterle nell’omonima isola di Vulcano, un melodramma dai toni esagerati con Rossano Brazzi, un flop annunciato, un vero e proprio “buco nell’acqua” del Mediterraneo. I due film girati in contemporanea scatenarono quella che la stampa chiamò “la guerra delle isole”, che vedeva contrapposti a Stromboli Rossellini e la Bergman immersi nelle riprese e nella loro storia d’amore e a Vulcano una furibonda Anna Magnani che girava un film di qualità minima rispetto ai suoi standard e che, tra una ripresa e l’altra, come testimoniano i colleghi della troupe, lanciava strali alla coppia che si trovava a Stromboli, in una vera e propria eruzione di rabbia senza fine. Una guerra combattuta a distanza, all’ombra di due vulcani, al centro di un mare antico chiamato Mediterraneo.
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La Sclerosi Laterale Amiotrofica si può combattere anche con la musica. Questo è il messaggio che arriva ascoltando “Ma quando dici amore”, uno degli ultimi album di Ron, cantautore italiano da quarant’anni sulla ribalta della musica italiana.
Ron farà un concerto a New York e parlerà di questo alla Casa Italiana Zerilli-Marimò. Due appuntamenti da non perdere il 17 ed il 21 di questo mese.
Quella di Ron è una a carriera iniziata da giovanissimo, quando nel lontano 1970 sale sul palco di Sanremo insieme con Nada, conquistando il settimo posto con la canzone “Pà diglielo a mà”. Da subito Ron (o Rosalino Cellamare, all’inzio della carriera usa il suo nome) mostra una sensibilità ed un’attenzione a tematiche non certo facili per il tempo, partecipando alla manifestazione “Un Disco per l’estate” con il brano “Il gigante e la bambina”: un testo difficile per l’argomento trattato, la violenza sui minori. Inutile dire che il brano fu censurato.
Nel 1972, durante un viaggio in nave per la Sicilia scrive la musica di “Piazza Grande”, canzone presentata a Sanremo da Lucio Dalla. E da lì Ron non si è fermato mai, sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, componendo brani di successo, collaborando con altri artisti italiani, esibendosi dal vivo in stadi ma anche in teatri, sperimentando vari modi di comunicare col pubblico, proponendosi anche come attore in film di successo e non disdegnando neanche la vetrina di Sanremo, non sempre gradita ai cantautori nostrani. Anzi, Ron ha addirittura vinto l’edizione del 1996 in duetto con Tosca, con la bellissima “Vorrei incontrarti fra cent’anni”. Poi l’incontro, attraverso un suo amico fraterno Mario Melazzini che si ammala di sclerosi laterale amiotrofica (SLA), con la malattia e con la disabilità. Da quel momento la vita e la carriera di Ron saranno sotto il segno della solidarietà.
Dopo aver partecipato con il brano “L’uomo delle stelle” all’edizione del 2006 del Festival di Sanremo, ribalta scelta per parlare della SLA a più persone possibili, esce l’album “Ma quando dici amore” in cui Ron duetta con altre voci famose per dare vita ad un importante progetto: tutti i proventi della vendita sono destinati alla ricerca per la SLA, la terribile malattia degenerativa che ha colpito il suo amico, malattia al momento inguaribile, di cui si conosce poco e che porta alla completa paralisi dei muscoli volontari. Sono 14 canzoni, per la maggior parte successi di Ron rivisitati, con nuovi arrangiamenti che li rendono diversi, rinnovati e riadattati per diventare duetti con artisti che hanno collaborato senza percepire compensi.
Artisti del calibro di Carmen Consoli, Jovanotti, Raf, Elisa, Lucio Dalla, Nicky Nicolai e Stefano Di Battista, Claudio Baglioni, Luca Carboni, Samuele Bersani, Anggun, Mario Lavezzi, Loredana Bertè, Tosca e Renato Zero che ci accompagnano in un viaggio nella memoria attraverso alcuni tra i più famosi brani tratti dallo sterminato canzoniere di Ron.
È un’iniziativa che vede ancora una volta il cantautore pavese impegnato per aiutare chi è più fragile, in una collaborazione iniziata nel 2004, anno in cui Ron ha assunto il ruolo di testimonial di AISLA Onlus (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica), un’associazione nata nel 1983 per promuovere la tutela, l’assistenza e la cura e delle persone che convivono con la SLA. Oltre ai brani sul CD c’è anche una traccia ROM in cui è registrato un incontro-chiacchierata tra Renato Zero, Ron e Mario Melazzini che raccontano brevemente come sia nato e si sia sviluppato questo progetto musicale, ma spiegano anche cosa sia esattamente la SLA.
Un toccante dialogo che diventa testimonianza di quanto l’arte e la musica possano essere un’arma in grado di dichiarare guerra all’indifferenza specie se messe al servizio di qualcosa di bello e positivo nei confronti del prossimo. E proprio Mario Melazzini, l’amico malato che ha fatto conoscere a Ron la SLA, è a sua volta medico e presidente di AISLA e si è esibito insieme al cantautore in numerosi teatri italiani, proprio per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sulle problematiche ed i bisogni dei malati di SLA e delle loro famiglie. Uno spettacolo intitolato “L’altra parte di Ron”, che ha visto come protagonista il cantautore qui in veste di attore, autore e cantante: un incontro emozionante a cui, appunto, ha partecipato anche l’amico Mario Melazzini, nelle inedite vesti di attore, ad interpretare se stesso, cioè un malato di SLA. Un modo per portare all’attenzione del pubblico un argomento importante, drammatico, e tuttavia proposto con leggerezza e profondità, con sincerità e sensibilità.
L’impegno di Ron a fianco di chi soffre non conosce soste e recentemente, con “L’inguaribile voglia di vivere”, brano appositamente scritto per l’AISLA, il cantautore pavese ha cercato di raccontare ciò che questa malattia devastante produce in chi ne soffre: uomini e donne sono visti come giganti, montagne, come guerrieri capaci di lottare sempre e comunque, armati solo d’amore, anche quando finiscono in gabbia, senza la possibilità di muoversi. In Italia si contano circa 5.000 malati, persone che progressivamente perdono la possibilità di muoversi, comunicare, nutrirsi e respirare in maniera autonoma, mantenendo però intatte le capacità cognitive. Tutti, giorno dopo giorno, aggrappati alla speranza di potersi svegliare una mattina e sentire che è stata trovata una cura a questa terribile malattia.
Intanto l’inarrestabile Ron è proiettato verso un nuovo progetto, pur non abbandonando l’impegno nel sociale. Infatti, la crisi del mercato discografico e il successo dei reality alla X-Factor hanno fatto nascere in lui un’idea ormai in via di realizzazione. L’iniziativa si chiama “Una città per cantare”, proprio come una delle sue canzoni di maggior successo. La città per cantare questa volta è la sua Garlasco, dove ha vissuto da bambino e dove ancora risiede. Qui Ron ha progettato di aprire un laboratorio musicale dove “entri artigiano ed esci artista”. Una realtà aperta a tutti, con corsi di musica e docenti di altissimo livello, tra cui lui stesso. Ancora una volta un impegno a sostegno degli altri, sotto il segno della musica.
January 17, 7:30 pm
The artist in concert @ Sullivan Room
(217 Sullivan st, Manhattan)
BOX OFFICE: inticketing (http://inticketing.com)January 21, 6:00 pm
the artist meets his public @ Casa Italiana Zerilli-Marimò
(24 west, 12th st., manhattan)
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Amyotrophic Lateral Sclerosis can be fought with music. This is the message that comes through after listening to “Ma Quando Dici Amore”, one of the latest albums of Ron, an Italian singer-songwriter at the center of the Italian pop music scene for the last forty years.
Ron will perform in New York and will speak about this at Casa Italiana Zerilli-Marimò. Two appointments not to be missed, respectively on Januray 17 and 21.
Ron's career began at a very young age when, in 1970, he performed at Sanremo with Nada, obtaining 7th place with the song Pa' diglielo a ma'. Immediately Ron (at the time under his real name Rosalino Cellamare) demonstrated sensibility and attention towards controversial themes for the time, participating in “Un Disco per l'Estate” with the song "Il gigante e la bambina", a song about violence on minors. Obviously the song was censured.
In 1972, during a boat trip to Sicily he wrote "Piazza Grande", a song that was performed at Sanremo by Lucio Dalla. Nothing could stop him afterwards, always researching something new, writing hits, collaborating with other Italian artists, performing live in stadiums and theaters, experimenting several communication methods and acting in successful movies as well as participating more in Sanremo, a festival frequently snubbed by Italian singer-songwriters. Ron actually won the 1996 edition in a duet with Tosca, in the beautiful Vorrei incontrarti fra cent'anni. Through his best friend Mario Melazzini, Ron discovered Amyotrophic Lateral Sclerosis (ALS), and experienced disease and disability. From that moment Ron's career turned its attention to solidarity.
After participating in the Sanremo Festival in 2006 with the song L'uomo delle stelle, a way to speak about ALS to as many people as possible, he released “Ma quando dici amore”, a collection of duets with other famous artists to try to launch an important project: all the receipts go towards ALS research, the terrible disease of his friend, which at the moment doesn't have a cure and leads to the total paralysis of the voluntary muscles. The album includes 14 songs, mainly old successes of Ron's, revisited in a way that makes them sound different, renewed and re-adapted for duets with artists that participated for free.
Artists such as Carmen Consoli, Jovanotti, Raf, Elisa, Lucio Dalla, Nicky Nicolai and Stefano Di Battista, Claudio Baglioni, Luca Carboni, Samuele Bersani, Anggun, Mario Lavezzi, Loredana Bertè, Tosca and Renato Zero, present in this journey down memory lane of some of Ron's most famous songs.
It is a project that sees the singer-songwriter from Pavia working to help those who are more fragile, in a collaboration that began in 2004, when Ron became a spokesman for AISLA Onlus (the Italian Association for Amyotrophic Lateral Sclerosis), an association that began in 1983 to promote protection, assistance and cure of ALS patients. The CD also includes a Data track with an interview/conversation between Renato Zero, Ron and Mario Melazzini, talking briefly about how this musical project began and developed, as well as explaining exactly what ALS is.
This moving dialogue becomes the demonstration of how much art and music can be a weapon in declaring war to indifference, especially when placed in function of something beautiful and positive towards other people. And Mario Melazzini himself, Ron's friend who is affected by ALS, is a doctor and is the president of AISLA, and has performed together with Ron in many Italian theaters, to try to sensitize the public and institutions about the problems and necessities of ALS patients and their families. A show entitled “L'altra parte di Ron”, saw the artist performing as lead actor, author and singer: a moving event with Melazzini as actor, as himself, an ALS patient. It was an effective way to raise public awareness towards this important, dramatic subject, brought on stage with lightness and depth, honesty and sensibility.
Ron's commitment together with those who are suffering never stops and recently, with the song L'inguaribile voglia di vivere, written specifically for AISLA, the singer-songwriter from Pavia tried to tell the story of what this devastating disease produces in those who suffer from it: men and women are seen as giants, mountains, warriors who can fight everywhere anyway, armed only with love, even when trapped, without the ability to move. In Italy there are about 5,000 ALS patients, who gradually lose the ability to move, communicate, eat and breath autonomously, maintaining all brain activity perfectly intact. Day after day they all cling on to the hope of waking up one morning and finding out that a cure has been found to this terrible disease.
In the meantime the relentless Ron is beginning a new project, without abandoning his social efforts. The music market crisis and the success of reality shows like X-Factor gave him a new idea, which is almost completed. The initiative is called “Una citta' per cantare”, like one of his most famous songs. The city this time is his own Garlasco, where he lived as a child and still is a resident. Ron decided to open a musical laboratory where “one enters as an artisan and leaves as an artist”. An opportunity opened to everyone, with music courses and highly qualified teachers, including himself. Once again a commitment to help others in the name of music.
January 17, 7:30 pm
The artist in concert @ Sullivan Room
(217 Sullivan st, Manhattan)
BOX OFFICE: inticketing (http://inticketing.com)January 21, 6:00 pm
the artist meets his public @ Casa Italiana Zerilli-Marimò
(24 west, 12th st., manhattan)
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Art & Culture
Describing Claudio Baglioni is a bit like describing one self, especially if one was an adolescent during the early Seventies, when Italy was living its economic boom and was about to enter a difficult era, transitioning from optimism to the strategy of tension, and finally to the so-called Years of Lead.
It was an Italy where the music of the younger generation was still traditionally melodic, even though some singer-songwriters were beginning to emerge with a new sound, less catchy, with lyrics that suggested unusual topics for those years, sometimes intimate, and the opposite of the then usual “papaveri, papere” [poppies and ducks] and “mille bolle blu” [a thousand blue bubbles] sorts. It was in this period of Italian transition that Claudio Baglioni's brilliant career began. He was a young singer-songwriter from a common family: his father was a petty officer of the Carabinieri, and his mother was a housewife who did some tailoring on the side.
Even as a child Claudio showed a precocious passion for music and song that convinced him (with the help of his parents) to participate in many competitions for new voices.
At just age thirteen, in 1964, Baglioni took part in “Voci nuove di Centocelle” [New voices of Centocelle], a vocal competition that took place in his own neighborhood of Centocelle, just outside Rome: on that occasion he performed “Ogni volta” [Every Time] by Paul Anka. He tried again the following year and actually won, with “I tuoi anni più belli” [Your best years], the piece sung at Sanremo that year by Gene Pitney and Iva Zanicchi. Other competitions followed, such as the “Festival degli sconosciuti” [Festival of Unknowns] in Ariccia, Rome, and performances in small cinemas of the Roman outskirts as well as parishes, always in front of a really small public, to which he proposed a mix of protest songs, from the Beatles and Bertolt Brecht, to the poems of Pablo Neruda and Cesare Pavese.
In 1969 producer Antonio Coggio, for RCA, signed Baglioni for the recording of his debut disc, a 45 rpm containing “Una favola blu” [A Blue Fable] and “Signora Lia” [Mrs. Lia]. The latter was entirely composed by the young artist. After another single, “Io, una ragazza e la gente” [Me, a Girl and the People], and the vocal participation in the soundtrack of Franco Zeffirelli's movie Brother Sun, Siter Moon, he published his first album which was such a flop that it was withdrawn from the market after only a few months.
However, luckily for us, his passion was strong and Baglioni pushed forward until 1972, when he released “Questo piccolo grande amore” [This Little Big Love], a concept album in which the several songs are linked to each other by a single story. It was an immediate success that reached the top positions of Italy's hit parade and defined him as the Italian Romantic Singer-songwriter par excellence. When the 45 rpm reached one million sold copies, he released a new album entitled “Gira che ti rigira amore bello” [All Things Considered Beautiful Love]. This was also a great success, with a theme and a prominent song, “Amore bello” [Beautiful Love]. This time the plot is a young man traveling aimlessly in a yellow Citroen 2CV named 'Camilla', a car Baglioni actually owns.
From that moment on Claudio Baglioni's career was unstoppable; album after album he gained notoriety and within a public that appreciated his originality, and his attempts to experiment new musical languages, questioning himself and trying to grow out of the label of “the singer with the thin t-shirt”. Baglioni speaks about love, but tries to overcome the typical “romantic” clichès, digging deeper, describing melancholies, concerns, and disillusions of those who feel love.
His constant research of new expressive methods led to “Ninna nanna” [Lullaby] in 1974, in which the music accompanied a poem by Trilussa. In “Poster”, on the other hand, he introduced the idea of “going far away”, as expressed by the chorus in which the voice takes flight beyond the routine in which the protagonists lives day by day.
Baglioni demonstrated from the start his wish to not only concentrate on the topic of love, but also on the world around him. In 1981, when the Berlin wall was still years away from being torn down, he sang tenderly about the “girls of the East” and of their longing tears for a “springtime that never came”.
Baglioni's success didn't diminish even when he focused on far fetched topics such as “I vecchi” [the elderly], an affectionate portrait of those who reach the final stages of their life, or in “Uomini Persi” [Lost Men], in which he leniently observed those who took wrong turns in their life, but that were children a long time ago. And finally he composed refined works such as “Io sono qui” [I am here], “Noi no” [Not us], “Io dal mare” [I from the sea], “Acqua dalla luna” [Water from the Moon], and many others.
It is during the last years that Baglioni re-invented himself, ripening and holding on to the high places of the hit parade, developing a direct contact with his fans thanks to his concerts around Italy and the world. He also collaborated with musicians such as Pino Daniele, Mia Martini, Paco De Lucia, Phil Palmer, Youssou N’Dour, Laura Pausini, Irene Grandi, and Andrea Bocelli, demonstrating his constant research for something new, a research that went beyond the musical language. He was frequently evolved in cultural panels, seminars and lectures with the younger generations, frequently in music schools all over Italy. Baglioni's artistic evolution brought him to television and in 1997 and 1999 he co-lead shows with Fabio Fazio that revisited the 1970s in Italy as well as the whole 20th century through music and the many social phenomena of the past. This gave him a chance to show his more ironic side, which amazed those that only knew him as a romantic singer. In 1998, for the centennial of the Italian Soccer Federation, he wrote “Da Me a Te” [From Me to You], which became the official anthem of the azzurrifor the 1998 Fifa World Cup in France. Baglioni's success was unstoppable and brought him through the Millennium still as a protagonist. Especially in his live concerts he showed a constant search for innovation, for something different to offer the public, with light designs, evocative atmospheres and essential choreographies. Not stopping at that, a series of concerts in the most important Italian amphitheaters soon followed, minimalist live events characterized by the dialogue between the public and himself, alone, on stage, accompanying himself on the piano. This culminated in the project of re-proposing a new version of “Questo Piccolo Grande Amore” from 1972, “Q.P.G.A.”, the acronym of the song, which brought to theatrical concerts, and album, a feature film and even a book written by Baglioni himself.
A career of over forty years has allowed Claudio Baglioni to maintain his original public, which was subsequently joined by the younger generations. Not many Italian artists today have the opportunity to perform in front of grandparents, parents, and those kids that today are the age of those kids that in the 1970s saw the beginning of Baglioni's career and who today have white hair and the same amount of enthusiasm, just like their idol.
And Baglioni's concerts are events in themselves, even if some of them have been surprises and free, as happened in 2007, when he performed from the terrace of his house from the 1960s in Centocelle. Or when he got on the 51 Bus in Rome and improvised on the guitar for a small number of baffled passengers, a stunt he replicated in Milan on the 24 Tram and in Naples on a bus in Chiaia!
His latest large live event was the “One World Tour 2010 – Un solo mondo”, the first part of which ended on May 29, 2010, with a sold out concert at London's Royal Albert Hall, in front of 3600 spectators. After the summer Claudio Baglioni has taken up his voyage through the five continents, playing in Argentina, Chile, Brazil, Venezuela, Costa Rica, Colombia and now New York in the States, after which he will move on to China, Japan and Australia before returning to Europe in December. A concert that shouldn't be missed: three hours of music and memories in which Claudio Baglioni is sided by a group of nine poli-instrumentalists. A unique opportunity for someone who has never heard his songs, but also for all those fans who wish to personally meet a friend that shared a large amount of life with them.
Friday, December 17 · 8:00pm - 10:30pm
Angel Orensanz
172 Norfolk Street New York, NY 10002-1602
New York, NY
1-866-55-TICKETS
www.inticketing.com -
Life & People
Maria Montessori was born on August 31, 1870, in Chiaravalle, in the province of Ancona, from an austere army officer, Alessandro Montessori, and his wife, Renilde Stoppani, an intelligent, modern-thinking woman who influenced and supported her daughter’s decisions, teaching her how to be compassionate by giving her the daily task of knitting for the poo. At elementary school, Maria emerged as a good student but also as a leader in many games. She found the classroom set-up and repetitiveness very boring but this did not keep her from learning a lot. After elementary school she had to ask her parents the permission to continue her studies. Women of her time were not encouraged to go beyond an elementary school education. Her father discouraged her interest in a professional career; her mother, on the other hand, encouraged her ambitions and, when she was twelve, the family decided to move to Rome where it was easier to find better educational facilities for young Maria. Her interest in engineering technology and mathematics led her to enroll in classes at a technical institute by the age of fourteen, but later on her interest in biology led her to decide to study medicine. This was a bold decision in a period when very few women finished their studies. In 1894 Maria Montessori became the first woman to receive a medical degree in Italy, a goal that reinforced her “revolutionary” ideas (for the time) regarding the equality of the sexes. Maria’s first job was as assistant doctor in the psychiatric clinic of the University of Rome, where she had her first contact with children suffering of learning disabilities.
She became convinced that the problem of handling these children could be solved not only through medical treatment, but also with appropriate teaching methods. In 1898 she was appointed director of the State Orthophrenic School in Rome, whose function was to care for the “hopelessly deficient” and “idiot” children of the city. Here she reached successful results teaching the children herself, while refining and applying her unique methods, giving birth to the so-called “Montessori method”. In 1901 Dr. Montessori left the school to pursue further studies and research, going back to the University of Rome and pursuing her studies in Psychology and Philosophy. In 1904, she was appointed Professor of Anthropology at the University. She was then asked to open a school for the children from the slum in the district of San Lorenzo, in Rome. Maria Montessori actually gave up her job at the university and founded a school on the January 6, 1907. She named it “Casa dei Bambini”, House of Children, and hosted sixty kids, from age three to six, all from very poor families. This was the first of her schools that are now spread all over the world. It was there that she found the inspiration for her philosophy and discovered that children teach themselves: a simple yet intense observation that is at the basis of her educational reform methodology, psychology, teaching and teacher’s training. She had already successfully experimented some of her theories with children suffering of learning disabilities and thought to try the same educational methods with normal children. She used what she called a “prepared environment” to provide the best atmosphere for learning, furnishing the class with small chairs and tables instead of rows of desks.
The basic features of the method are the development of the child’s natural curiosity through responsible and individual freedom of behavior, improvement of the sharpness of the five senses (hearing, seeing, tasting, touching, smelling) through training, and the development of body coordination through games and exercise. The function of the teacher is to provide educational material, such as counting beads or geometric puzzles, and act as an adviser and guide, staying in the background as much as possibl, preparing and arranging a series of learning opportunities which each child can move through instinctively. Maria Montessori’s observation of children led her to identify in them a series of “sensitive periods” with “creative moments”, when they show spur-of-the-moment interests in learning. It is at those moments that children have the greatest ability to learn, and these periods should be used to the fullest so that the children learn as much as possible. They should not be held back by forced, rigid curricula or classes. Work, according to Maria Montessori, is its own reward to the child, and there is no necessity for other rewards. The freedom of the learning environment creates, naturally, self-discipline.
Her work with the poor children of San Lorenzo was fruitful and incredibly creative. These children were so poor and yet so eager to learn and begged for more. They were fascinated by numbers and were adding four and five digit numbers at the ages of four and five. Their enthusiasm was so great that Dr. Montessori spent many nights awake making new learning tools for them. Her style of mathematic blocks and tiles are still in use today.
By the year 1917 she had caught the interest of many education reformists and enthusiasts who understood the importance of her philosophy. Such a success led her and her followers to establish similar institutions to the “Casa dei Bambini” in other parts of Europe and in the United States, where the first Montessori school was established in Tarrytown, N.Y., in 1912. In 1913 Maria Montessori visited the United States for the first time. She had strong support from Alexander Graham Bell and his wife Mabel, Thomas Edison, Helen Keller and Margaret Wilson, the daughter of U.S. President Woodrow Wilson. In her lecture at New York’s Carnegie Hall she concluded with these words: “The development at which I aim includes the whole child. My greater aim is the prospective perfection of the human race.” Maria Montessori returned to the States in 1915 and set up a glass-enclosed classroom at San Francisco’s Panama-Pacific International Exposition. Thousands of people from all over the world came and observed her teaching method during the four months of the exhibit. When awards were given, the Montessori class won the only two gold medals for education.
In 1929 the Association Montessori International was established to further the Montessori method by sponsoring conventions and training courses for teachers. In the meantime Maria Montessori was exiled by Mussolini because she refused to go against her principles and train children in becoming soldiers. She moved to Spain in 1936 and stayed there until the Spanish Civil War broke out, after which she moved to the Netherlands where she lived for the rest of her life. Having experienced the misfortunes of both World Wars, she became a strong advocate of peace, believing that peace could be achieved through children. Maria Montessori was nominated in 1949, 1950 and 1951 for the Nobel Peace Prize. In parts of a letter that she sent to numerous governments, she summarized her life’s work: “My life has been spent in the research of truth. Through the study of children I have scrutinized human nature at its origin both in the East and the West and although it is forty years now since I began my work, childhood still seems to me an inexhaustible source of revelations and – let me say – of hope. Childhood has shown me that all humanity is one. All children talk more or less at the same age, no matter what their race or their families are; they walk, lose their teeth and all those things at certain fixed periods of their life. Also in other aspects, especially in the psychological field, they are just as similar, just as susceptible. Children are the constructors of men whom they build, taking from the environment such things as language, religion, customs and the peculiarities not only of the race, not only of the nation, but even of the particular special district in which they develop. No child is a Bolshevist or a Fascist or a Democrat; they all become what circumstances or the environment turn them in to. Man must be cultivated from the beginning of life, when the great powers of nature are at work. It is at that moment that one can hope to plan for a better international understanding.”
Maria Montessori died on May 6, 1952 at the age of 81 in Noordwijk, Netherlands. Her epitaph reads: “I beg the dear all powerful children to unite with me for the building of peace in Man and in the World.”
Maria Montessori’s work lives on and her influence can be seen today in many early childhood educational programs. Today there are over 7,000 Montessori schools worldwide.
----The Italian Heritage and Culture Committee,
New York, Inc.
&
The John D. Calandra Italian American Institute
(Queens College, CUNY)
invite you to
An Evening with Maria MontessoriErica Moretti
Beyond Biological Ties:
Maria Montessori and the 1908 Messina Earthquake
Dr. Suzanne Stewart-Steinberg
Maria Montessori's Scientific MethodTuesday, October 12, 6:00-8:00 pm
The John D. Calandra Italian American Institute,
Queens College/CUNY
25 West 43rd Street, 17th Floor
New York, NY 10036
Erica Moretti is a candidate for the Ph.D. in Italian Studies at Brown University. Before coming to Brown, she completed her Italian "laurea" and a Diploma in American Studies at Smith College engaged in research projects on pedagogical methods designed to assimilate Italian immigrants in the United States. Her dissertation is on Maria Montessori.
Suzanne Stewart-Steinberg, Ph.D., is the Acting Director of the Pembroke Center for Teaching and Research on Women and Associate Professor of Italian Studies and Comparative Literature at Brown University. She has written and published widely on Italian culture, her latest book being The Pinocchio Effect: On Making Italians 1860-1920, with the University of Chicago Press (2007), which won the Modern Language Association's prestigious Aldo and Jeanne Scaglione Award for Best Manuscript in Italian Studies (2006).
RSVP 212.642.2094. Free and open to the public.The John D.Calandra Italian American Institute, Queens College, is a university-wide research institute of the City University of New York, dedicated to the history and culture of Italians in the United States.
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Facts & Stories
On September 21, 2010 Italian bank UniCredit, SpA announced the resignation of its Chief Executive Officer Alessandro Profumo, who has been at the helm of the company since 1997.
The board and Mr. Profumo “agreed that after fifteen years, the time was right for a change in leadership.” Despite this conventional official statement, the former CEO attempted to maintain his job at UniCredit, but allegations that he had not told the company’s board and shareholders about growing Libyan investments within the company ultimately cost him his job.
His brilliant career began with a degree from Milan’s Bocconi Business University and a job at Italy-based Banco Lariano, where he worked from 1977 to 1987. In December 1987, he joined McKinsey & Co. as a consultant to financial companies. He later joined Bain, Cuneo & Associati. In 1991, Mr. Profumo left the field of company consultancy to join Riunione Adriatica di Sicurtà (RAS), where he was named General Mmanager for the banking and banking support sectors. He became CEO of Credito Italiano in 1997, and restructured the lender into UniCredit. He led it through an enormous expansion, moving eastward with the 2005 acquisition of Munich-based HvB and expanding its Italian business with the purchase of Capitalia.
Mr. Profumo, Europe’s longest-serving bank CEO, transformed UniCredit from a regional bank to a pan-European player with operations in 22 countries. After thirteen years following a successful global strategy and playing an important role outside of Italy, Alessandro Profumo’s resignation is viewed by some analysts as the first step in a battle for political control of Italy’s largest bank. Interim bank operations are now in the hands of Dieter Rampl, the bank’s Chairman. Rampl also has the mandate to identify and propose Profumo’s successor. Despite his experience and ability, Mr. Profumo was sometimes regarded as overly-ambitious, and was dubbed “Mr. Arrogance” by the Italian press. Under his leadership, the company’s market capitalization rose from 1.5 billion to 37 billion Euros and it remained profitable even during the global financial crisis.
Mr. Profumo’s international strategy as the head of UniCredit was to increase the bank’s capital through the period of global economic crisis. He thought that the bank needed the money that would arrive from Libya; the Libyan Investment Authority, a sovereign wealth fund, recently increased its holding in UniCredit by 0.5% to 2.6%, while the Central Bank of Libya holds an almost 5% stake in the bank. The Libyan Central Bank is now UniCredit’s third-largest shareholder, while Libya’s sovereign wealth fund is the eighth largest. This is said to have alarmed politicians, regulators, and shareholders in Italy, who have expressed concern whether UniCredit might come under Libyan control.
Mr. Profumo, however, had reportedly defended the Libyan investments and praised its support for the bank, according to his global strategy. His statements, though, did not convince the UniCredit Group foundation, whose board members included supporters of the right-wing Northern League party and who expressed reservations about Libya’s growing role as a shareholder. These reservations added to the board’s opposition to the increasing power that Libyans demonstrated over the summer.
The final straw occurred last August, when Chairman Rampl is said to have turned against Profumo for not informing him about the Libyan Investment Authority’s stake purchase. Economic media analysts think that the standoff was not over Mr. Profumo’s competence, but rather a fight to gain political control in UniCredit which includes the Northen League claiming power over northern Italian banks. Verona Mayor Flavio Tosi, the foundation member who has been most critical of Alessandro Profumo’s leadership, told reporters that other shareholders have the same concerns about Libya’s role in the bank. The city of Verona is the largest shareholder in the Cariverona Foundation, Unicredit’s fourth largest investor. “It seems to me, reading the media reports, that our worries are shared by other members,” Mr. Tosi told the news agency ANSA.
Flavio Tosi also accused the bank of focusing on business abroad at the expense of Italian enterprises that still need help recovering from the world economic crisis. Mr. Profumo defended himself from accusations by telling foreign journalists that a Libyan sovereign fund acted on its own to take a stake in the bank and that the move was autonomous and not solicited, executed by purchasing shares on the open market.
Alessandro Profumo’s exit from UniCredit may be seen as a significant victory for the Foundations and for the federalist Northern League party, which is a strong ally in Prime Minister Silvio Berlusconi’s conservative government. The League controls two of the regions in which the Foundations are based. At the moment, the situation is continuously evolving and so many players are involved in a covert war to control the bank, although it could be argued that the war is not particularly concealed.
There are three major players: various Foundations that want to change the company’s global character to one that is local and more deep-rooted in the northern territory; Libyan investors who have increased their influence within the bank; and the Northern League (and by extension, Berlusconi himself) that recognizes the importance of having a direct way to increase its political power.
It appears to be a game centered on taking control over the entire Italian banking system. Many analysts are stressing the need for a quick replacement, and the Bank of Italy and the Economy Ministry are worried about the economic impact of instability at UniCredit. In order to reassure its shareholders, in an interview with the Corriere della Sera newspaper, Dieter Rampl denied that politics have any influence on the bank. “Anyone who thinks that politics can determine the choices made at UniCredit is wrong,” he said. He also declined to comment on Mr. Profumo’s successor, except to say that the search would conclude in a matter of weeks and that his replacement could come from outside the company.
Milano Finanza newspaper reported that Economy Minister Giulio Tremonti wanted Italian institutional shareholders to propose Treasury Director General Vittorio Grilli as CEO. Possible successors also include former Goldman Sachs executive Claudio Costamagna; Matteo Arpe, former executive of Rome’s Capitalia bank, which was bought by UniCredit in 2007; Merrill Lynch top banker Andrea Orcel; and Royal Bank of Scotland Deputy CEO of global banking and markets Marco Mazzucchelli.