“Open roads” al cinema italiano

Maria Vittoria Solomita (June 07, 2010)
Dal 3 al 10 giugno, il Lincol Center ospita un festival della celluloide made in Italy: ed è tutto esaurito. Ma cosa pensano i registi italiani del loro cinema? Dibattito con grande partecipazione di pubblico alla Casa Italiana Zerilli Marimò (NYU)

E' tornato a NY “Open roads”, l’evento pensato da Antonio Monda e Richard Peña per dare spazio alla migliore produzione cinematografica italiana. E di fatto, in dieci anni, oltre centoventi pellicole italiane hanno attraversato l’Oceano per approdare sugli schermi del Lincoln, alcuni trovando una proficua distribuzione stelle-e-strisce. Inorgogliti da questa funzione di Pigmalione, gli organizzatori hanno oliato i meccanismi e si sono mostrati sempre più attenti  alle giovani leve.
 

Menti fresche eppure altamente professionalizzate; registi come Alessandro Angelini (nell’opera prima “Alza la testa” dirige Castellitto, miglior attore a Roma 2009), Francesca Comencini (premiata a Venezia lo scorso anno per “Lo spazio bianco”) e Pietro Marcello (miglior film a Torino e Berlino il suo “La bocca del lupo”). Nuovi autori, ma anche registi più navigati, capaci di filmare la realtà italiana da una diversa angolazione, lontana dall’ingombrante eredità del Neorealismo.

Molti dei cineasti italiani presenti in cartellone hanno incontrato il pubblico alla Casa Italiana Zerilli-Marimò, venerdì scorso. Clima altamente informale, per uno schieramento così tricolore da proiettarci ai Mondiali di calcio della prossima settimana. Ciarliero Carlo Verdone; accalorata la sua descrizione della coppia di sposi novelli armati di macchina da presa, a Central Park: il grido di guerra “A Carlo!” gli ha quasi causato un azzoppamento da mancato avvistamento di marciapiede (tutto filmato, dalla coppia e dal pubblico in sala!).

Al Lincoln Center il suo “Io, loro e Lara” promette di regalare non poche risate, forse dal retrogusto amaro, dato il tema del dissesto familiare. Schierato tra i “veraci” anche Rocco Papaleo, in programma col road movie “Basilicata coast to coast”: i suoi “anglolucanismi” erano in forte competizione con la simpatia di Paolo Virzì (“La prima cosa bella”, David di Donatello per miglior sceneggiatura, attore e attrice). A compensare il lato ridanciano della ciurma, gli autori più riflessivi, da  Gabriele Salvatores (“Happy family”) a Giuseppe Capotondi (“La doppia ora”), passando per Susanna Nicchiarelli (“Cosmonauta”), Valerio Mieli (“Dieci inverni”), Alessandro Angelini (“Alza la testa”), Giorgio Diritti (“L’uomo che verra’”) e Alessandro Aronadio (“Due vite per caso”).

Tutti accomunati dall’approccio innovativo alla narrazione audiovisva. Le loro storie sperimentano ellissi temporali, punti di vista estranianti, ibridi di generi. Sentono forte l’esigenza di svincolarsi da un pressante passato. “Il problema del cinema italiano è il modo di comunicare” – ha riassunto Salvatores - “Abbiamo due genitori che ci hanno insegnato il proprio linguaggio: madre e padre, commedia all’italiana e Neorealismo. Ci hanno fatto conoscere nel mondo; la sfida ora è riuscire ad emularli, usando il linguaggio cinematografico, ma in maniera innovativa”. In effetti i film coi quali si identifica l’Italia all’estero sono storici e ambientati nel Sud; bisognerebbe creare una nuova immagine, veicolata, magari, da nuove tecniche autoriali.

Eppure queste giovani menti trovano difficoltà anche a crescere, in un Paese che ha a rischio chiusura un’Istituzione come il Centro Sperimentale di Cinematografia - per intenderci, la scuola che ha formato Michelangelo Antonioni, Steno, Luigi Zampa, o quei Virzì e Mieli in sala. “Questi autori che si staccano finalmente da un certo para-Neorealismo diffuso”, ha sottolineato Verdone, “reagiscono positivamente alla tremenda crisi che sta vivendo l’Italia”. Non solo, quindi, si vogliono superare i predecessori in bravura, ma li si sfida in un periodo di estrema difficoltà. Fare di necessità virtù, perché “la grande risorsa del cinema italiano è la povertà” ha incalzato Alessandro Aronadio. E con un’impennata smaccatamente patriottica ha chiuso Virzì “Al momento abbiamo ottimi film, di numero sicuramente maggiore a quelli americani”.

Alla tavola rotonda i cavalieri sembravano alla ricerca del loro Artù, desiderosi del Graal, ma assai perplessi: cosa si potrà veramente fare in Italia? Attecchirà l’agognato sistema del tax credit, coi privati potenziali investitori e l’industria cinematografica meno sottomessa a quella egemonica, la televisiva?
 

A NY i finanziatori non mancherebbero, così come non scarseggiano i simpatizzanti, a giudicare dai risultati al botteghino. Tutto sold-out da giorni.

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