Without Borders. L'importanza della diversità
Un festival sospeso tra denuncia sociale e new media. La potenza dell'audiovisivo per veicolare il messaggio universale dell'uguaglianza, di fatto "Without borders". Così è stato presentato il 3 giugno presso la Casa Italiana Zerilli-Marimò il "Senza frontiere", festival che da tre anni è di scena a Roma.
L'idea è partita dal documentario di Paul Smaczny “Knowledge Is The Beginning”, deliziosa storia incentrata sulla realtà multietnica della Divan Orchestra, una banda formata da studenti siriani, egiziani, giordani, libanesi. "Mentre i Paesi di provenienza si combattono, loro sono in grado di cooperare pacificamente, suonando dell'ottima musica" ha sottolineato l'organizzatrice Fiamma Arditi.
La mission del festival è tutta racchiusa in questa immagine. Lo scopo comune dei film in programma è proprio dimostrare, attraverso storie di vita vissuta, come il cinema, la musica, il lavoro collettivo possano superare le barriere create da pregiudizi e le fobie rafforzate dall’ignoranza.
E così, valicando i limiti mentali del preconcetto e quelli fisici dell'Oceano, le pellicole in concorso sono state promosse a New York, alla presenza di alcuni degli autori che si ritroveranno in Italia dal 7 al 9 luglio prossimi, alla Casa del Cinema di Villa Borghese. Tavola rotonda con la direttrice dello Human rights Watch, Carroll Bogert, la vicepresidente della fondazione Barenboim-Said, Miriam Said, il capoprogetto della UN Alliance of Civilizations, Jordi Torrent, e l'insegnante Joy Episalla. Un'insegnante di arte, perché ogni anno vengono coinvolti ragazzi delle scuole superiori in un progetto collaterale: una mostra fotografica che sensibilizzi al tema sviluppato dal Festival. E allora, se la prima edizione ha portato sotto i riflettori il dramma della Palestina, e la seconda ha affrontato il ruolo della donna e degli adolescenti nelle varie culture e il peso della censura, soprattutto in Iran, quest'anno è la volta dell'acqua.
Ma "Without borders" non supera solo le sovrastrutture culturali legate ai confini, annulla anche i canonici valori di "bando", "genere" e "selezione". Come vengono procacciati, infatti, i video in concorso? Tramite passaparola; così arrivano agli organizzatori i più bei lavori di amici, parenti, conoscenti, promettenti autori e registi segnalati. Di lì, quindi solo a posteriori, si sceglie il topic dell'anno. Per questa terza edizione, a dir poco illuminante è stato il documentario scientifico di Irina Salina, "Flow", distribuito in Italia da Feltrinelli con l'emblematico titolo "Per amore dell'acqua".
Un altro limite superato da questo festival di nicchia riguarda le classificazioni di genere, per cui in programma, il pubblico romano, potrebbe trovare documentari, fiction, reportage o spot, come nel caso del meraviglioso "Wombat", mini-sketch sul senso della globalizzazione e sul non-sense dell'indifferenza glocal.
E sul concetto si espresse, anni fa, un astronauta che le sue visioni glocal le ha avute, da una postazione privilegiata, la Luna. Dall’Apollo 8 Frank Borman vide che “quelle differenze per molti insormontabili risultano ciò che sono in realtà, puri limiti ideologici". Noi speriamo solo di non dover migrare sulla Luna per poter capire l’importanza delle diversità.
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