Articles by: Benny Profane

  • Events: Reports

    Mauro Pagani. Back to US with Taranta

    Mauro Pagani returns for concerts in New York and Boston – and that’s good news for all of his fans in the New York area. This time he’s showcasing the tradition and flavor of the taranta. In recent months, Mauro has been busy working on the soundtrack for the new film by Gabriele Salvatores and organizing the San Remo music festival.
     

    He’s taken time away (unfortunately, but let’s not tell him that) from composing his new album and writing his new novel. We caught up with him at a bar in Brera, at sunset, while all around us young and old were consuming one alcoholic aperitivo after another (but judging from the snippets of conversations, there didn’t seem to be any traces of that “Johnnie Walker wisdom running high” as sung by the exceptional Leonard Cohen).

    So you’re about to leave for New York after a stop in Japan. Can you tell us something about this experience?

    It was really exciting. I have wonderful memories of the concerts I did there years ago with PFM. I remember that there was an almost devout level of attention. We hadn’t been back since, and I found out that there had been a nearly frantic wait. It was very exciting and rewarding.

    What can you tell us about this tour, playing the taranta throughout the United States?

    We came here on the occasion of the Year of Italian Culture in America. It’s an honor, in a sense, to be the most “Italian” musical element that’s presented in that regard. There will be many good jazz musicians, but not many things that are typically Italian. Above all, we’ll bring something of Italian pop culture and music, carefully revisited of course, but that’s still part and parcel of traditional Italian music.
     

    What do you expect the audience to be like at this concert? What does America know about the taranta?

    In general, Americans know very little about the taranta. The official blessing as a “sophisticated” musical form came from the great ethnomusicologist Alan Lomax who did field research in the 50s and 60s, and later De Martino. So there is a whole popular tradition connected to tarantismo, familiar to specific groups of educated Americans, but this music is not widespread. We hope that Italians and the children of Italians will attend, those who have connections to the music’s historical roots, but we also hope to attract a local audience. We’re playing a festival in Boston so we hope that the music will be appreciated there as well.

    You’re the artistic director of the San Remo music festival, you created the soundtrack for Salvatores’s latest film. That’s a lot of projects, but we’re still awaiting the arrival of your new album. Can you tell us a little bit about it?

    Yes, I’ve been very busy with various projects but I’ve continued to work on the album. I’m headed to New York to finish recording. I hope to have it finished by the fall. 

    In recent years you’ve played with many talented avant-garde musicians in New York such as Anthony Coleman and Marco Cappelli. How have these experiences influenced your music? What impression did they make?

    This journey and the experience of collaborating with them have been very valuable; it helped me a lot. I was able to determine the “state of the art,” so to speak, to take stock of the way in which contemporary American musicians relate to their musical heritage, which is often awkward, especially in jazz. For us, the influence of jazz is an addition, an enrichment of our musical scene since it’s not part of our traditional “baggage.” For them it’s different.

    On the one hand, it’s very refined music, but on the other hand it enters predominantly as musical texture, and it runs the risk of being cumbersome. Sometimes you hear a classic jazz theme or refrain and you may not even know where it comes from. In the end it’s not important, and at that point swing and improvisation begin, and it runs the risk of covering up the rest. And so contemporary American artists, I noticed, sometimes try to free themselves from this legacy.

    The meeting point for Americans and Europeans are the European avant-garde musicians of the 20th century, and these are the major points of common interest. The New York avant-garde tries to discover “other” languages ​​with respect to classic jazz themes, with interest in musical languages from South America and Asia, for example. For me it was very beneficial to work with American artists.

    You’re also working on a new book. At what point are you?

    The new book has suffered since I’ve had an intense period of work over the last year. I’ve already completed 70 pages of plot. In reality it’s already all in there, but I have to massage it into narrative form, to render it as I have it in my head. I hope I can work on it and finish it soon so it doesn’t become 120 pages of plot. (He laughs.)

     
    -----
    Mauro Pagani & La Notte della Taranta
    Tuesday, Jul  15    7:30p
    Le Poisson Rouge New York, NY

  • Arte e Cultura

    Mauro Pagani. Ritorno a New York con Taranta

    Mauro Pagani di nuovo in concerto a New York ed a Boston, è una bella notizia per tutti noi appassionati di musica italiana. Verrà a portare la tradizione e le atmosfere della Taranta.
     

    In questi ultimi mesi Mauro è stato impegnato con la colonna sonora del film di Gabriele Salvatores e soprattutto con l’organizzazione del festival di San Remo. Tempo sottratto (purtroppo, ma evitiamo di dirglielo) alla composizione del nuovo album ed alla stesura del nuovo romanzo. Lo incontriamo in un bar di Brera, al tramonto, mentre intorno giovani e meno giovani consumano un aperitivo alcolico dopo l’altro (ma dai frammenti di conversazione intercettati non sembra esservi traccia di quella “Johnnie Walker wisdom running high” cantata dall’eccelso Leonard Cohen….).

    Sei in procinto di partire per NY e reduce da una tappa in Giappone. Puoi raccontarci qualcosa di quest’ultima esperienza?

    E’ stato davvero emozionante. Avevo un ricordo meraviglioso dei concerti fatti lì anni fa con PFM, mi ricordo che c’era per noi un’attenzione quasi devota. Poi da allora non siamo più tornati e ho scoperto che c’era un’attesa quasi spasmodica.  E’ stato molto emozionante e gratificante.

    Cosa ci puoi dire di questo tour della taranta negli Stati Uniti ?

    Andiamo lì in occasione dell’anno della cultura italiana in America. Ci pregiamo di essere, in un certo senso, l’elemento musicale più “italiano” che viene presentato in quell’ambito. Ci saranno molti jazzisti bravi, ma non molte cose così tipicamente italiane. Soprattutto, noi portiamo qualcosa della cultura popolare italiana musicale, rivisitata con attenzione, certo, ma che fa pur sempre parte del nostro bagaglio “tradizionale”.

    Cosa ti aspetti dal pubblico per questo concerto? Cosa si sa in America della Taranta?

    In generale, gli americani sanno ben poco della Taranta. Anche se la benedizione ufficiale a questo genere di musica popolare “sofisticata” fu data dal grande etnomusicologo Alan Lomax, che andò a fare ricerche sul campo già negli anni 50 e 60, e poi da Ernesto De Martino con la Terra del Rimorso. C’è quindi tutta una tradizione popolare soprattutto nel Salento (Puglia) legata al tarantismo, conosciuta eccome negli ambienti americani colti, anche se, naturalmente, non c’è molta diffusione di questa musica tra il pubblico. Ci auguriamo vengano italiani e figli di italiani, legati alle origini, ma anche di attirare il pubblico locale. Questa volta andiamo anche a un festival a Boston, speriamo che anche lì sia apprezzata.

    Sei stato direttore artistico a Sanremo, hai realizzato la colonna sonora per l’ultimo film di Salvatores. Insomma, un sacco di progetti, ma stiamo ancora aspettando l’arrivo del tuo nuovo album. Puoi darci qualche anticipazione in proposito?

    Sì, guarda, sono stato molto impegnato con vari progetti, ma ho continuato a lavorare all’album. Sto andando a NY per finire le registrazioni. Conto di finirlo per l’autunno.

    In questi anni a NY hai suonato, tra gli altri, con artisti dell’avanguardia newyorkese del calibro di Anthony Coleman e Marco Cappelli. Che influenza avranno queste esperienze sulla tua musica? Cosa ti hanno lasciato?

    Per me questo soggiorno e la collaborazione con loro è stata feconda, mi è servita tantissimo. Ho potuto stabilire lo “stato dell’arte”, diciamo così, fare il punto sul modo in cui i musicisti contemporanei americani si rapportano con le loro eredità, spesso ingombranti, soprattutto nel jazz. Le contaminazioni con il jazz per noi sono un arricchimento del panorama musicale, non facendo parte del nostro bagaglio tradizionale. Per loro è diverso. Da un lato è una musica molto colta, ma in certi casi entra in maniera preponderante in un tessuto musicale, e rischia di essere ingombrante. A volte si sente un classico “tema” jazzistico, che non si sa neanche bene da dove arrivi, e poi in fondo non è così importante, e a quel punto parte lo swing, l’improvvisazione, e rischia di coprire tutto il resto. Così gli artisti contemporanei americani, ho notato, a volte cercano di liberarsi di questa eredità.
     

    Il punto d’incontro con gli americani e gli europei sono le avanguardie musicali europee del novecento, e questi sono i maggiori punti d’interesse comune. L’avanguardia newyorkese cerca di scoprire linguaggi “altri” rispetto al classico tema jazz, ad es. l’interesse per i linguaggi musicali sudamericani e asiatici. Per me è stato molto formativo lavorare con gli artisti americani.

    Sappiamo che stai anche lavorando a un nuovo libro. A che punto sei?

     

    Il nuovo libro ha sofferto della fase di iperlavoro che ho dovuto affrontare nell’ultimo anno. Sono già a 70 pagine di “plot”. In realtà c’è già tutto dentro, ma devo spalmarlo in forma narrativa, renderlo per come ce l’ho in testa. Spero di poterci lavorare e rifinirlo presto e che non diventino 120 pagine di “plot” (ride).

     
    -----
    Mauro Pagani & La Notte della Taranta
    Tuesday, Jul  15    7:30p
    Le Poisson Rouge New York, NY

  • Events: Reports

    'Area'. 2 Concerts You Shouldn't Miss

    To find Area in New York you need to head to the heart of Chinatown, specifically Monroe Street, in a basement inhabited by resilient mice. It’s one of the most venerable music institutions in New York – the Downtown Music Gallery, a historic record and CD shop and performance space previously located on the Bowery from where they were evicted because, as you know, the Bowery is becoming increasingly trendy (even if the winos continue to hang out there, undeterred). The Downtown Music Gallery as the name suggests is a place for musicians from the downtown New York music scene (from John Zorn on down…), and its friendly owner Bruce often hosts concerts by avant-garde artists and the other lucky few.

    Along the walls of the dusty room lined with CDs, the pea green border of the historic Cramps label sticks out, which, as my “loyal” readers may already know, back in the 70s represented a refuge from conformity for some of the most significant Italian and foreign artists of the time. First, of course, is Area, which under the careful guidance of legendary producer Gianni Sassi churned out a series of albums that are among the most beautiful and important of that time.

    Bruce loves Area a lot and this speaks volumes about the greatness of the band, as my friend Bruce must have listened to thousands of albums in his lifetime, and if he says that Area deserves to be heard you must believe him (since I’m afraid you don’t believe me ...). For your “beloved” reporter, the best work by mythic European bands as Soft Machine, Popol Vuh, Can, Henry Cow, and the like have nothing on Area’s albums. Unfortunately, Area’s artistic legacy ended in the late 70's, after the death of Demetrio Stratos, the Master of Voice who with his vocal experiments earned the great distinction of connecting the world of pop music with the avant-garde.

    Area is the soundtrack to a decade full of great passion and transformation. Stratos’ death was the first in a series of tragedies that struck the band. Years later, the fantastic drummer Giulio Capiozzo died, and even saxophonists Eddi Busnello, Larry Nocella, and Massimo Urbani, who collaborated with Area several times, are no longer with us. It’s a shame that Area is not very well known today, since without them many other pseudo-groups and singers would never have ventured into a profession in which they did not belong; for example Jovanotti’s off-key barking would most certainly have been considered noise pollution and perhaps instead he would have followed in his father’s footsteps and worked for Vatican City. But since we don’t live in a perfect world, Jovanotti sells 500,000 copies of his CDs and does not work at the Vatican, Clerici hosts “San Scemo” and attracts a ton of listeners, and only a handful of us know Area.

    But now I appeal to you, dear reader. I know – we don’t love each other, we’ve never loved each other, you accuse me of being elitist and obnoxious, I scold you for not understanding good music, for following trends and worshipping Jovanotti. I call a truce. Believe me for once; listen to my words. Let’s forget the past. And follow my advice. Area is coming to New York after 30 years for a historic reunion with the original members of the group. The great Mauro Pagani will also be there.
     

     

     

     
    There will be two concerts at the Italian Cultural Institute (April 30) and the Brecht Forum (May 2). Do yourselves, and me, a favor. Be there. Come out in large numbers. I know that you saw Jovanotti at Webster Hall and you danced and sang Jovanotti’s chants at the top of your lungs. Okay, no comment. But for once in your (music) life, be bold, take a chance. Try something new. One day you’ll thank me. Do it for me, do it for that kid who far too many years ago cut school to avoid his Greek exam, and while wandering around the Pantheon he entered a record store and driven by who knows what instinct purchased Area’s live album, Areazione. It’s an absolute masterpiece of Italian music that I strongly suggest that you listen to at least once in you lifetime.

    ********

    Friday April 30th,  2010 6:00 PM
    Italian Cultural Institute
    686 Park Avenue, New York
    RSVP   212 879 4242 ext. 368

    id


     
    Sunday May 2nd, 2010 8:00 PM

    Brecht Forum
    451 West Street
    New York, NY 10014-2041
    (212) 242-4201
    Admission: 10$

  • Gli "Area" a New York. Musica da non perdere

    Per trovare gli Area a New York dovete recarvi nel cuore di Chinatown, precisamente a Monroe Street, dove in un basement abitato da aitanti topolini ha sede una delle più  venerabili istituzioni musicali newyorkesi, ovvero Downtown Music Gallery, storico negozio di cd ed album in precedenza sito sulla Bowery e da lì sfrattato perchè  come sapete la Bowery sta diventando molto trendy (anche se gli "winos" continuano imperterriti a bazzicarvi). 

    Downtown Music Gallery come dice il nome è un pò il punto di ritrovo dei musicisti della scenadowntown newyorkese (da John Zorn in giu per capirci....) ed il simpatico proprietario Bruce ospita spesso concertini di artisti d' avanguardia et similia a vantaggio di pochi fortunati.
     

    Tra le pareti del polveroso locale tappezzato di cd spicca il bordo verde pisello della storica etichetta Cramps, che, come certamente noto ai miei "affezionati" lettori, nei lontani anni 70 rappresentava un rifugio dal conformismo per alcuni tra i più  significativi artisti italiani e stranieri dell'epoca.

    In primis ovviamente gli Area, che sotto l'attenta guida del mitico produttore Gianni Sassi sfornarono una serie di album tra i piu'  belli ed importanti di quel periodo. Bruce ama molto gli Area e questo la dice lunga sulla grandezza della band, in quanto il mio amico Bruce nella sua vita deve aver sentito decine di migliaia di album e se vi dice che gli Area meritano di esser ascoltati gli dovete credere (se come temo non credete a me....).

    Per il vostro "amatissimo" cronista parimenti i dischi degli Area non hanno nulla da invidiare alle migliori produzioni di storiche band europee come Soft Machine, Popol Vuh, Can, Henry Cow e via dicendo. Purtroppo, la vicenda artistica degli Area terminò  alla fine degli anni 70, dopo la morte di Demetrio Stratos, il Maestro della Voce che con i suoi esperimenti vocali ebbe il grande merito di mettere in comunicazione il mondo del pop con quello dell'avanguardia.

    Gli Area rappresentano un pò  la colonna sonora di un decennio di grandi passioni e trasformazioni. La morte di Stratos è  stata solo la prima di una serie di tragedie che colpì  la band. Anni dopo morì  il fantastico batterista Giulio Capiozzo, ed anche i sassofonisti Eddi Busnello, Larry Nocella e Massimo Urbani, che in diversi periodi collaborarono con gli Area, non sono piu'  con noi.

    E'  un peccato che oggi gli Area non siano granchè noti, altrimenti tanti pseudo-gruppi o cantanti avrebbero evitato di avventurarsi in un mestiere che non gli appartiene e per esempio lo stonatissimo Jovanotti si sarebbe ben guardato dall'ammorbarci le orecchie con i suoi latrati e magari avrebbe seguito le impronte paterne e avrebbe lavorato per la Città  del Vaticano. Ma siccome non viviamo in un mondo perfetto Jovanotti vende 500.000 copie dei suoi cd e non lavora al Vaticano, la Clerici conduce Sanscemo e fa il pieno di ascolti, e gli Area li conosciamo in quattro gatti.
     

    Ma ora mi appello a te, caro lettore, lo so, non ci amiamo, non ci siamo mai amati, tu mi accusi di essere elitario ed antipatico, io ti rimprovero di non capire la buona musica, di seguire i trend e di adorare Jovanotti. Propongo una tregua. Per una volta ascoltami, credi alle mie parole. Scurdammoce 'o passato. E segui il mio consiglio. Gli Area sbarcano a New York, si tratta della storica reunion dopo 30  anni dei membri originari del gruppo.  In più ci sarà il grande Mauro Pagani.

    Terranno due concerti all' Istituto Italiano di Cultura (il 30) ed al Brecht Forum (il 2). Fatevi, e fatemi, un favore. Siateci. Venite numerosi. Lo so che siete stati a vedere Jovanotti a Webster Hall ed avete ballato e cantato a squarciagola le nenie jovanottesche. Va bene, non commento.

    Ma, per una volta nella vostra vita (musicale), osate, avventuratevi. Cercate il nuovo. Un giorno mi ringrazierete. Fatelo per me, fatelo per quel giovanotto che troppi anni fa marino'  la scuola per evitare l'interrogazione di greco e gironzolando per il Pantheon entrò in un negozio di long playing e spinto da non so piu' quale istinto acquisi'  il live degli Area, Areazione.

    Un capolavoro assoluto della musica italiana che vi suggerisco caldamente di ascoltare, almeno una volta nella vita.

    ********

    Friday April 30th,  2010 6:00 PM
    Italian Cultural Institute
    686 Park Avenue, New York
    RSVP   212 879 4242 ext. 368

    id


     
    Sunday May 2nd, 2010 8:00 PM

    Brecht Forum
    451 West Street
    New York, NY 10014-2041
    (212) 242-4201
    Admission: 10$

  • Maestro Bob ed i suoi discepoli italiani

    Cari lettori, dovete sapere che per me Bob Dylan è come il Dalai Lama per i buddisti e la Regina d’Inghilterra per i sudditi, e quindi se viene in città lo vado ad ascoltare, costi quel che costi, e anche se va in un’altra città che non sia all’altro capo del mondo io salto sul treno o sull’aereo e sono lì due ore prima del concerto, in religiosa attesa a gustarmi l’atmosfera, con le barbe bianche ed incolte dei vecchi hippies e i giovanotti con cappello texano, stivali a punta e camicia a motivi floreali. Ci scambiamo occhiate e siamo tutti sulla stessa lunghezza d’onda e siamo tutti convinti che neanche un invito a cena di Obama o di Naomi Campbell (vabbè ora sto esagerando....) ci indurrebbe a privarci dell’agognato posto nel teatro.
    Ripassiamo mentalmente i pezzi che più vorremmo ascoltare ma naturalmente sappiamo già  che il vate del Minnesota farà di testa sua e non esaudirà le nostre preghiere.

    E così l’altra sera ero puntuale nel kitschissimo United Palace Theater (di norma sede di sermoni evangelici) ad assistere al concerto/rito di His Bobness, il terzultimo prima della conclusione del tour autunnale.

    Ad aprire la serata, felice sorpresa, il grande rock’n roller italo-americano Dion Di Mucci (all’anagrafe Dion Francis di Mucci), vecchio sodale di Lou Reed ed altri rifiuti, che ha riscaldato a dovere il teatro con i suoi classici doo wop e rock’n roll. Io ho iniziato a ballare come un orso ubriaco trascinando i miei 95 e passa kg, nessuno rideva per fortuna ma solo perche’ non mi vedevano (ero in ultima fila.......).

    Poi è stata la volta di Sua Maest....oooopss volevo dire di Bob Dylan e sin dalle prime note di Cat’s in the Well il vostro fedele ed appassionato cronista notava con malcelata soddisfazione che il Nostro era in gran forma vocale (una rarità di questi tempi allorche’ in certe occasioni la voce del bardo di Duluth assomiglia a quella di una rana....), mentre il grande chitarrista Charlie Sexton, tornato come il figliol prodigo all’ovile dopo alcuni anni di carriera solista, sembrava posseduto dal fantasma di Jimi Hendrix e la chitarra in saturazione ci prendeva la pancia e ci stringeva le budella e mollava la presa solo dopo due ore di estasi. Insomma, cari ed affezionati lettori, se non eravate all’United Palace Theater l’altra sera vi siete persi qualcosa di straordinario e se non mi credete e pensate che ormai Bob Dylan sia roba da ferrivecchi e Jovanotti e Shakira e gli U2 siano la “real thing” ed il sottoscritto abbia le orecchie foderate di prosciutto, beh proprio non so che farci e non posso far altro che impietosirmi per voi.

    Già sento le vostre obiezioni: smettila con il tuo tono rivendicativo e saccente e piuttosto spiegaci che c’azzecca un articolo su Bob Dylan su un sito che si occupa di cultura italiana ed italo-americana. State calmi, è la mia risposta, date tempo al tempo e comprenderete il senso di questa lunga e tediosa introduzione.

    In breve, cari lettori, mio intento odierno è quello di riflettere sull’inflenza che il
    più grande cantautore americano (e non) di sempre abbia esercitato sulla musica italiana nel corso degli ultimi decenni. Mizzica !! nientemeno ! direte, qui ci vuole Umberto Eco o in subordine Ceronetti, come puoi pensare di affrontare un topic così impegnativo con il tuo notoriamente limitato background musical-culturale !?!? io ringrazio per la “fiducia” e provo comunque a cimentarmi e se non vi sta bene sono problemi vostri e prendetevela con Letizia che continua bontà sua a pubblicare imperterrita i miei “scritti”. 

    Allora, in primo luogo va detto senza ombra di dubbio (e provate a contraddirmi)  che il Bardo di Duluth ha esercitato un’influenza decisiva sullo sviluppo della canzone d’autore italiana. Alcuni dei più grandi autori italiani, penso a De Andrè, Bubola, De Gregori, Guccini, sono stati “dylaniati” in varie fasi delle rispettive carriere. Penso a De Andre’ che interpreta Via della Povertà (Desolation Row) o Avventura a Durango (Romance in Durango, tradotta ed arrangiata in collaborazione con Massimo Bubola). Pare anche che Dylan, avendo ascoltato la versione di Romance in Durango, abbia inviato un biglietto di apprezzamento al compianto Fabrizio e l’abbia anche invitato ad aprire i suoi concerti italiani nel 1984, ricevendone in cambio un inopinato rifiuto.......

    Penso anche a De Gregori che ha interpretato un pezzo di Dylan nel film Masked and Anonymous (in cui Dylan ha una parte) e che adora a tal punto Dylan da presentarsi dal vivo con una band che assomiglia incredibilmente (nella strumentazione e nel look: tutti vestiti con completi neri) all’attuale band del maestro americano. Anche le interpretazioni vocali e gli arrangiamenti del Principe ricordano il metodo dylaniano, allorchè spesso per capire di quale canzone si tratta si e’ costretti ad ascoltare le parole, dal momento che gli arrangiamenti sono stati modificati radicalmente.

    Anche Guccini si è detto a più riprese seguace di Dylan.  Quando in un’intervista gli fecero notare che Dylan andava a cavallo nel salone della sua villa californiana Guccini non mancò  di replicare: ma no !?! così mi fai cadere un mito !!!.(peraltro trattasi di boiata colossale: sembra che His Bobness abbia semplicemente chiesto metaforicamente all’architetto di disegnare un salone tanto grande da poterci andare a cavallo, che è cosa ben diversa da quanto chiesto dall’intervistatore a Guccini, e comunque se anche Dylan vuole distruggere il salone con il suo cavallo saranno pure affari suoi o no??).

    Insomma, potremmo continuare a lungo ma per non tediarvi oltremisura mi pare lecito e doveroso concludere qui, osservando che senza Dylan la canzone d’autore italiana sarebbe stata ben diversa, ed a mio immodesto parere molto meno interessante. Dite, argomentate, intervenite.

  • Una bella serata di musica e parole alla Casa Italiana della NYU

    L’altra sera abbiamo assistito ad una bella serata di musica e parole presso l’impagabile Casa Italiana Zerilli Marimò della New York University. Ad organizzare l’evento, assieme al sempre ottimo Stefano Albertini, l’ubiqua Letizia Airos, come noto direttrice/presidente/plenipotenziaria/nume tutelare di questo premiato sito web, e l’immaginifico Gaetano Calà, responsabile di ANFE Sicilia.
    Sul palco, piccolo ma accogliente, si sono alternati musicisti italiani di valore, dai siciliani Sun al chitarrista Marco Cappelli, da Mauro Pagani a Roy Paci. Tutti si sono soffermati sulle rispettive esperienze musicali, per poi imbracciare gli strumenti e proporre alcuni estratti del loro repertorio.

    I Sun, che colpevolmente non conoscevo, hanno proposto alcuni pezzi in veste acustica ispirati alla tradizione musicale siciliana, espressa con rispetto e notevole ispirazione, grazie anche all’ottima tecnica strumentale ed alla passione che visibilmente li anima. Davvero una bella sorpresa.

    A seguire, abbiamo assistito ad un bellissimo duetto tra Marco Cappelli alla chitarra acustica, loop ed altre diavolerie elettroniche, ed il grande Mauro Pagani al violino elettrico, ormai una presenza fissa sulla scena newyorkese. Marco Cappelli è un musicista di incredibile talento che meriterebbe una platea molto più vasta, disponendo di notevolissima tecnica strumentale e di rimarchevoli capacità compositive. Con Mauro Pagani hanno dato vita ad una straordinaria improvvisazione sulle arie di una canzone popolare campana che avremmo voluto non finisse mai.

    Purtroppo l’inflessibile Letizia ha interrotto questo momento di personale estasi mistica per ragioni di scaletta e di tempi mentre ero in procinto di raggiungere il Nirvana. Spero davvero di poter avere il privilegio di riascoltare questi due straordinari musicisti assieme quanto prima.

    Infine, è salito sul palco Roy Paci che con garbo ed ironia ha descritto la sua esperienza di musicista ed ha proposto 3 videoclip di altrettanti pezzi, tutti molto divertenti e piacevoli.

    Insomma, davvero una bella serata che ha avuto l’unico torto di concludersi troppo presto.

  • Giovanni Allevi al Carnegie Hall. Successo o Bufala?

    Mizzica! complimenti, è la mia prima reazione, non è mica da tutti sfondare nel tempio della musica newyorkese (uno dei templi, via....), bravo ad Allevi, il profeta della nuova musica secondo la sua stessa definizione che scatenò la reazione del maestro Ughi, ed avanti il prossimo (Battiato il 19 al Poisson Rouge).
     

    Un momento, calma e gesso. Ragioniamo. Mica te la puoi cavare così. Insomma, ha avuto successo sì o no ? Ebbene, il vostro affezionato cronista non ne è così convinto, pur non avendo partecipato al concerto. E allora come fai a parlare? direte, stai zitto e rispetta l’arte di Allevi e smettila di seminare dubbi (di fare il cacadubbi, si diceva un tempo....). Beh io sarò un cacadubbi, ma leggete quello che ho da dirvi e poi ne riparliamo. 
     

    Primo: "il Mozart de noantri" non ha suonato alla Carnegie Hall, o meglio, ha suonato alla CH, ma nella sala piccola da 600 posti, chiamata Zenkel Hall, non certo nella grande sala da concerto da 4200 posti a sedere in cui mesi fa vidi il grande Keith Jarrett (che manco a dirlo fece il sold out...). Insomma quella di Allevi (e del suo potente ed immaginifico ufficio stampa) non è tecnicamente una bugia, solo che detta come la mette il Corrierone risulta quantomeno fuorviante.

    Anche perchè, e qui passo alla seconda considerazione, il potente press agent del riccioluto strimpellatore di vacue melodie non dice che per riempire quei 600 posti (non so se ci sia riuscito o meno) il suo potente management regalava biglietti a destra e manca nei giorni precedenti il concerto. Sarebbe interessante sapere quanti biglietti siano stati venduti, ma sicuramente (mi ci gioco lo scooter) non in numero sufficiente da coprire gli ingenti costi di affitto della sala (per non parlare del cachet e delle spese di viaggio, vitto ed alloggio).

     

    Insomma, faccio questa lunga premessa per riflettere assieme a voi fedeli lettori sui meccanismi dell’informazione-spettacolo. Nel caso di Allevi è acclarato che in prima pagina questi ci va più per le sue roboanti e ridicole dichiarazioni sul suo status di novello Mozart che non per la sua musica, francamente soporifera e del tutto priva di spunti interessanti.

    Ma non credete che sia profondamente triste ed ingiusto che le notizie sul primo quotidiano italiano, sia pur sotto forma di trafiletto nella sezione spettacoli, vengano pubblicate senza un minimo di controllo e soprattutto senza mettere leggermente in dubbio le boiate propinate dall’ufficio stampa del pianista con i capelli alla Branduardi ??? Permettetemi di concludere che c’è qualcosa di marcio in questo sistema dell’informazione che trascura colpevolmente eventi musicali e culturali ben più interessanti che vedono protagonisti artisti italiani a New York e per contro dà risalto in maniera completamente acritica alle farneticazioni di pennivendoli della notizia.
     

    Sono troppo cattivo ?? dite, argomentate, intervenite.

  • E il concerto di Pino? Ti è piaciuto sì o no? Dipende (aridanghete !!!!).........

    Inizio a scribacchiare queste quattro fesserie e nel frattempo clicco su Youtube e vado a cercare il Pino d’annata, quello degli anni belli per intenderci, inizio anni ‘80.

    Concerto alla tv svizzera, nel gruppo riconosco Tullio De Piscopo, Toni Esposito, forse il grande Joe Amoruso alle tastiere ? e al basso, Rino Zurzolo ? al sax c’é Larry Nocella ? in ogni caso, arrangiamenti splendidi, repertorio meraviglioso, quel mix unico ed inebriante di elettrico ed acustico, con perle come Putesse essere allero, Bella Mbriana, Sto vicinoa te, Napule è, Appocundria etc etc....Vado un po’ indietro nel tempo e trovo James Senese ed i Napoli Centrale.

    Poi torno alla memoria al concerto che vidi nell’85 a Roma (i bei tempi del ginnasio.....), Festa dell’Unita’ all’EUR, c’era Nana Vasconcelos alle percussioni, era il tour di Musicante, forse l’album in cui Pino ha “osato” di più, tanta sperimentazione, tanto jazz nelle vene, sicuramente uno dei musicisti piu’ interessanti nel panorama musicale italiano, un po’ in declino in quegli anni...

    Allora Pino iniziava ad accompagnarsi anche a grandi artisti stranieri, di area prevalentemente jazzistica, penso a Wayne Shorter, Steve Gadd, Gato Barbieri (sentire per credere il suo solo di sax in Chi Tene o Mare nel bellissimo album dal vivo Scio’), Alphonso Johnson, piu’ tardi Pat Metheny e Chick Corea.

    Il salto verso la fama internazionale sembrava imminente, quasi obbligato........Invece quel salto non avvenne mai.

     

    Dieci anni più tardi, concerto al Palasport di Roma, con Rita Marcotulli al piano, un sound compatto, ballabile, brani che viravano sempre più verso il pop, sempre meno spazio per l’improvvisazione e per quella forma unica di blues scoperta da Pino nei vicoli di Napoli.

    Poi le collaborazioni di grido: con Giovanotti, con Eros Ramazzotti, con Giorgia, con Irene Grandi e tanti altri. Era il momento del grande successo di pubblico, con brani pop quasi adolescenziali come Io per Lei e Se mi Vuoi, mentre il vostro affezionato cronista iniziava a storcere il naso ed avvertiva con dolore la commercializzazione incipiente ed il calo d’ispirazione.
     

    Finalmente, pochi giorni fa, il Pino nazionale approda a New York, per il concerto sold out allo storico Apollo Theater già recensito da Letizia su questi schermi. Vi starete sicuramente chiedendo: ed il concerto ? ti è piaciuto sì o no ? dipende (aridanghete !!!!).........
     

    Onestamente non mi aspettavo di più di quel che ho visto e sentito. Molto buona la band, specie Matthew Garrison al basso elettrico, anche se avrei preferito ascoltare di piu’ Minu Cinelu.....Sound ancora una volta compatto, con forti accenti ritmici, lontane le raffinatezze d’antan di un Joe Amoruso al piano Fender, di un Larry Nocella al sax tenore. Pino un po’ giù di voce, ma molto impegnato alla chitarra elettrica, con la quale ha sviluppato interessanti dialoghi con Matthew Garrison (figlio, spero sappiate, del grande contrabbassista di Coltrane Jimmy), un musicista che sembra ispirarlo considerevolmente. Un po’ deludente il repertorio, a mio modesto avviso troppo orientato sulla produzione più recente. Da dimenticare, spiace dirlo, una versione “bombastica” della pucciniana Vincerò, vero trionfo del kitsch in musica (un po’ sulla falsariga delle terrificanti produzioni hollywoodiane di Zucchero, U2 e Pavarotti).

    Insomma, non sono uscito dall’Apollo proprio soddisfatto, però Pino resta un grande e gli vorremo sempre bene anche se collabora con Lorenzo Cherubini.........:-)))))))))

  • Art & Culture

    Do Italian-American Artists Make Italian-American Music?

    Dear readers, today we’ll talk about Frank Zappa, Laura Nyro (Laura Nigro), Tony Bennett (Anthony Dominick Benedetto), Frank Sinatra, Lennie Tristano, Joe Lovano, Nick La Rocca, Madonna (Madonna Louise Ciccone), Maria Muldaur (Maria Grazia Rosa Domenica D’Amato), Terry Bozzio, Eddie Brigati, Angelo Badalamenti, Felix Cavaliere, Jon Bon Jovi (John Francis Bongiovi, Jr.), Charlie Calello, Bruce Springsteen (mothers’ maiden name: Adele Ann Zerilli), Vinnie Colaiuta, Felix Pappalardi, Johnny Rivers (John Henry Ramistella), Dion Di Mucci, Dean Martin (Dino Paul Crocetti), Jeff Porcaro, John Frusciante, Ronnie James Dio, and many others.  
     

    What do these individuals have in common? I would say very little except that all are completely or partially of Italian descent. Some of them have changed their last names and sometimes even their first names, while others have “Anglicized” their first names and kept their last names. 

    At this point the question instinctively arises: do these Italian-American artists make Italian-American music? Or have they been influenced to some extent by Italian music? It’s a weighty question, one that Bob Viscusi or Anthony Tamburri could answer with much greater knowledge and awareness than this humble reporter. We will then have to limit our discussion by taking a look at some of these artists while reflecting on their respective musical influences…. 
     

    Let’s take a closer look at one, perhaps my favorite in this group: Laura Nyro. For me, Laura was the greatest American songwriter, even better than my beloved Joni Mitchell and Rickie Lee Jones. Laura was born in the Bronx, New York and her father was an Italian musician. Since she was a child, Laura played the piano and wrote poetry. Very early on she started listening to the albums she found at home: Debussy, Ravel, Billie Holiday, and then she discovered the great ‘45s by Phil Spector, the soul of Motown and Stax, and rock 'n’ roll. Caruso?

    Zilch. Domenico Modugno? Niet! In terms of Italian musical influences, as far as we know, there’s nothing to report. Laura began composing songs (successfully recorded by rock bands since the late ‘60s) and finally debuted as a solo artist, distinguished by a song always about to break and a series of magical compositions poised between soul, pop, jazz and rock 'n’ roll. A bit in the style of Carole King, but with so much more emotion and class! Well, listen to anything by Laura and tell me if you can feel even a trace of anything Italian. I may have ears lined with prosciutto, but it’s rare to find an artist more influenced by the stylistic features of American music than my beloved Laura (RIP). In truth, her only Italian musical connection was through the arrangement of some of her best albums by the great Charlie Calello. 
     

    Cut to Frank Zappa, born to Italian parents. Zappa was a voracious listener of the most diverse musical genres. Without a formal music education, Zappa boldly mixed rock 'n’ roll and Stravinsky, doo wop and Edgar Varese, free jazz and the teen pop of the early '60s, rhythm ‘n’ blues and psychedelia in his very first musical experiments. He was a true sponge capable of absorbing the most disparate influences to produce, at his best, the masterful synthesis of pure American music. Is there some Italian influence, albeit negligible, I ask softly?

    Niet! Actually, now that I think about it, there is something Italian in his music but it would be better if there wasn’t. In what sense? Let me explain. On the album Uncle Meat, one of his best notwithstanding, the song Tengo Na Minchia Tanta appears. Yes, you read that right. This is a trivial hard rock song sung in "Italian" (the voice is not Frank’s, who I don’t think spoke Italian) in which the protagonist, a caricature of a macho Latin, is proud of his sexual attribute. It was later recorded with a lot more class by the legendary Squallor (you have to hear it to believe it). Except for this funny sketch of "Italian pride" and for the next album dedicated to the eighteenth-century composer Francesco Zappa (no relation) I don’t think there is much more “Italian” in his music. I could be wrong because the guy has released over 60 albums and I haven’t heard them all (don’t gripe! Zappa CDs are full-price and I can’t go broke just to write my articles, right??.....) but I would be happy to be contradicted by the numerous Zappa fans on the web. Sure, we could talk at length about his genius and his legendary irreverence, like when he angered the Anti-Defamation League with the song Jewish Princess and then Catholic organizations with the piece Catholic Girls...but we are veering off topic, so let’s move on to other artists. 
     

    Nick La Rocca, born in New Orleans in 1889 to Sicilian parents. Who was he? Well, according Renzo Arbore he was the first jazz musician in history. Incredible, right? An Italian-American invented jazz and swing. Would you have ever thought so? Not me, but if Arbore said so.... In truth, the issue is still fiercely debated by jazz historians, but I find it astonishing nevertheless that an Italian would be considered by some as the originator of one of the most extraordinary American music genres. Getting back to our topic, I ask again, softly, is there even a little bit of Italian in his music? No way.

     
    Moving on to Tony Bennett. (I saw him on TV the other night, still in great shape, attending the U.S. Tennis Open with his wife/girlfriend who is his about 35-40 years his junior). Anthony Dominick Benedetto was born in Astoria, Queens to Calabrian parents. Benedetto said that as a child, he listened to Judy Garland, Bing Crosby, and Louis Armstrong. What is the great crooner’s most famous song? “I Left My Heart in San Francisco.” Get it? He left his heart in San Francisco, not Caltanissetta, Ragusa, Potenza, Reggio Calabria or Cava dei Tirreni! No, in Frisco, home of the early psychedelic sound and legendary bands like the Grateful Dead, Jefferson Airplane, and Santana. As far as I know, the guy never dreamed of covering songs by Italian singers, but he signs his paintings (meanwhile he has also taken up painting) with the name Benedetto (strange, no?).  
     

    We’ll stay with jazz and talk about Lennie Tristano, a blind master of the piano, among the most influential musicians of his generation. Born in New York to parents from Aversa, blinded by the Spanish influenza, and after flunking out of several schools his passion for music emerges. He was an innovated artist who was greatly esteemed by his colleagues, the most famous among them Lee Konitz, Charlie Mingus, and Bill Evans. Italian influences? Nowhere to be found. Think that one of his pieces is called Turkish Mambo. Not Mambo Italiano!  

    And what about Angelo Badalamenti, composer of the wonderful Twin Peaks soundtrack? During his career he collaborated with David Lynch, Paul McCartney, Nina Simone, Marianne Faithfull, and many other artists. But none of them are Italian. His sometimes oppressive melodic lines, at times dreamy, are as far removed from the luminosity that characterizes the Bel Paese stereotype.
     

    Well, we could go on for pages but then Letizia would shut down my column...and so I will stop the dissertation here and pose the question again: Why doesn’t Italian-American music exist, which has its own specificity with respect to the Italian model? Why doesn’t it seem that Italian music has minimally influenced the artists I mentioned above? The situation is all the more puzzling when one considers the impact that Italian and Italian-American culture and traditions have had on the work of great Italian-American directors like Coppola and Scorsese. Same goes for the Italian-American literature which today is recognized and appreciated in its own rite. And the music? I will repeat that Tamburri and Viscusi are needed to give the final, conclusive word. I would advise the few readers who have continued to end of this article to get some albums by some of the artists mentioned above.  
       
    Frank Zappa: I prefer Zappa the jazz musician but I don’t like Zappa’s pop-rock songs and those with endless guitar solos. So I would get Hot Rats (with the masterpiece Peaches en Regalia), Kink Kong (released under the name of Jean Luc Ponty, but in fact written, produced and arranged by Frank), Burnt Weeny Sandwich, Grand Wazoo and Uncle Meat  

    Laura Nyro: Eli and the 13th Confession, Gonna Take a Miracle  

    Lennie Tristano: The New Tristano  
     

    Happy listening.

     (Translated by Giulia Prestia)

  • Gli artisti italo-americani fanno anche una musica italo-americana ?

    Cari lettori, oggi parliamo di Frank Zappa, Laura Nyro (Laura Nigro), Tony Bennett (Anthony Dominick Benedetto), Frank Sinatra, Lennie Tristano, Joe Lovano, Nick La Rocca, Madonna (Madonna Louise Ciccone), Maria Muldaur (Maria Grazia Rosa Domenica D'Amato), Terry Bozzio, Eddie Brigati, Angelo Badalamenti, Felix Cavaliere, Jon Bon Jovi (John Francis Bongiovi, Jr.), Charlie Calello, Bruce Springsteen (nome della madre: Adele Ann Zerilli), Vinnie Colaiuta, Felix Pappalardi, Johnny Rivers (John Henry Ramistella), Dion Di Mucci, Dean Martin (Dino Paul Crocetti), Jeff Porcaro, John Frusciante, Ronnie James Dio e tanti altri.

    Cos’hanno in comune i personaggi sopra citati? Ben poco direi, tranne che tutti sono interamente o in parte di origine italiana. Alcuni di essi hanno cambiato il cognome e talvolta anche il nome, altri hanno “anglicizzato” il nome e preservato il cognome.
     

    A questo punto il quesito sorge spontaneo: questi artisti italo-americani fanno anche una musica italo-americana? O sono stati influenzati in qualche misura dalla musica italiana? Quesito ponderoso ovviamente, al quale potrebbero rispondere con ben altra cognizione di causa Anthony Tamburri o Bob Viscusi, non certo il vostro umile cronista. Pertanto, ci limiteremo ad osservare alcuni di questi artisti ed a riflettere assieme sulle rispettive influenze musicali.
     

    Prendiamone uno a caso, forse il mio preferito tra questi: Laura Nyro. Per me Laura è stata la più grande cantautrice americana, superiore anche alle mie adorate Joni Mitchell e Rickie Lee Jones. Orbene, Laura nasce a New York, nel Bronx. Il babbo è un musicista italiano. Laura suona il piano sin da piccola e scrive poesie. Inizia ad ascoltare prestissimo i dischi che trova in casa: Debussy, Ravel, Billie Holiday, poi scopre i grandi 45 giri di Phil Spector, il soul della Motown e della Stax ed il rock’n roll. E Caruso? nisba. E Domenico Modugno? niet ! Insomma di influenze musicali italiane, per quel che è dato sapere, nulla da segnalare. Laura inizia a comporre canzoni (interpretate con successo da gruppi rock sin dalla fine degli anni ’60) e finalmente esordisce da solista, distinguendosi per un canto sempre sul punto di spezzarsi ed una serie di composizioni magiche in bilico tra soul, pop, jazz e rock’n roll. Un pò nello stile di Carole King, ma con quanta emozione e classe in più!! Bene, ascoltate un qualunque pezzo di Laura e ditemi voi se riuscite a percepire una sia pur minima traccia di italianità. Avrò le orecchie foderate di prosciutto, ma è raro trovare un artista piu’ influenzato dagli stilemi musicali americani della mia amata Laura (R.I.P.). In verità, l’unico suo legame musicale con l’italianità ebbe luogo tramite l’arrangiatore di alcuni dei suoi migliori album, il grande Charlie Calello.
     

    Passiamo a Frank Zappa (entrambi i genitori italiani): Zappa è stato un ascoltatore vorace dei più diversi generi musicali. Privo di una formale educazione artistica, Zappa mescolava arditamente sin dai suoi primi esperimenti il rock’n roll e Stravinski, il doo wop ed Edgar Varese, il free jazz ed il pop adolescenziale dei primi anni ’60, il rhythm’n blues e la psichedelia. Insomma, una vera spugna capace di assorbire le piu’ disparate influenze per produrre poi, nei suoi momenti migliori, delle sintesi magistrali di pura musica americana. Qualche sia pur timida influenza italiana, chiedo sommessamente ? Niet !!! Anzi, adesso che mi ci fate pensare, in verità qualcosa di italiano c’è nella sua musica, ma sarebbe meglio che non ci fosse. In che senso?? presto spiegato. Nell’album Uncle Meat, peraltro uno dei suoi migliori, compare il pezzo Tengo Na Minchia Tanta, ebbene sì avete letto bene. Si tratta di un banale pezzo hard rock cantato in “italiano” (la voce non è di Frank, che non credo parlasse italiano) in cui il protagonista si vanta dei propri attributi sessuali in una caricatura del macho latino, più tardi realizzata con ben altra classe dai mitici Squallor (ascoltare per credere). Fatta eccezione per questo divertente bozzetto di “orgoglio italiano” e per l’album successivamente dedicato al compositore del XVIII secolo Francesco Zappa (nessuna parentela) mi pare non ci sia altro di “italiano” nella sua musica. Potrei anche sbagliarmi visto che il tipo ha pubblicato oltre 60 album ed io non li ho ascoltati tutti (non protestate! i cd di Zappa sono a prezzo intero, non posso mica svenarmi per scrivere i miei articoli no ??.....), ma sarei felice di esser smentito dai numerosi zappiani presenti nella rete. Certo, si potrebbe parlare a lungo del suo genio e della sua proverbiale irriverenza, come quando fece arrabbiare l’Anti Defamation League per la canzone Jewish Princess e poi le organizzazioni cattoliche per il pezzo Catholic Girls, ma rischiamo di andare fuori tema e pertanto soffermiamoci su altri artisti.
     

    Nick La Rocca (nato a New Orleans nel 1889 da genitori entrambi siciliani). Chi era costui? Beh pensate un pò che secondo Renzo Arbore è stato il primo jazzista della storia. Incredibile no? Un italo-americano che ha inventato il jazz e lo swing. L’avreste mai detto ? Io no, ma se lo dice Arbore......In verità  la questione è tuttora aspramente dibattuta dagli storici del jazz, ma trovo comunque sbalorditivo che un italiano sia considerato da alcuni l’originatore di uno dei piu’ straordinari generi musicali americani. Ma tornando al nostro topic, chiedo nuovamente, sommessamente: qualcosina di italiano nella sua musica? No way.
     

    Passiamo a Tony Bennett (visto l’altra sera in tv ancora in splendida forma mentre assisteva agli US Open di tennis in compagnia di moglie/compagna piu’ giovane di lui di circa 35/40 anni). Anthony Dominick Benedetto è nato ad Astoria (Queens) da genitori calabresi. Benedetto ha raccontato che da piccolo ascoltava Judy Garland, Bing Crosby e Louis Armstrong. Qual è il pezzo più noto del grande crooner ? I left my heart in San Francisco. Avete capito? Lui il cuore l’ha lasciato a San Francisco, mica a Caltanissetta, Ragusa, Potenza, Reggio Calabria o Cava dei Tirreni ! No, a Frisco, sede dei primi movimenti psichedelici e di band leggendarie quali Grateful Dead, Jefferson Airplane e Santana. Bene, il tipo a quanto ne sappia non si è mai sognato di interpretare pezzi di cantanti italiani, però i suoi quadri (nel frattempo si è dedicato anche alla pittura) li firma con il cognome Benedetto (curioso no?).

    Rimaniamo in ambito jazzistico e parliamo di Lennie Tristano, signore non vedente del pianoforte, tra i musicisti più influenti della sua generazione. Nato a New York, genitori originari di Aversa, reso cieco dalla spagnola, poi dopo varie bocciature a scuola emerge la sua vocazione per la musica. Fu artista originalissimo, che godette di grande stima da parte dei suoi colleghi piu’ noti a cominciare da Lee Konitz, Charlie Mingus e Bill Evans. Influenze italiane? Nowhere to be seen. Pensate che uno dei suoi pezzi si chiama Turkish Mambo. Altro che Mambo Italiano!!
     

    E vogliamo parlare di Angelo Badalamenti, l’autore della bellissima colonna sonora di Twin Peaks? Nel corso della sua carriera ha collaborato con David Lynch, Paul Mc Cartney, Nina Simone, Marianne Faithfull e tanti altri artisti. Nessuno però italiano. Le sue linee melodiche talvolta oppressive, talvolta sognanti, sono quanto di più lontano dalla solarità che caratterizza secondo lo stereotipo il Belpaese.
     

    Insomma potremmo continuare per pagine e pagine ma poi Letizia mi chiude la rubrica e quindi interrompo qui la dissertazione e ripropongo il quesito: come mai non esiste una musica italo-americana (che abbia una sua specificita’ rispetto al modello italiano)? Come mai la musica italiana non sembra aver minimamente influenzato gli artisti che ho menzionato sopra? La circostanza è tanto più misteriosa se si considera per contro l’impatto che la cultura e le tradizioni italiane ed italo-americane hanno prodotto sulle opere di grandissimi registi italo-americani come Coppola e Scorsese. Stesso discorso per la letteratura italo-americana, oggi riconosciuta ed apprezzata. E la musica??? Ribadisco, qui ci vogliono Tamburri e Viscusi per dire una parola conclusiva. Io mi limito a consigliare ai pochi che siano giunti in chiusura di articolo qualche album di alcuni degli artisti sopra citati.
     

    Frank Zappa: allora io preferisco il Zappa jazzista mentre non amo quello delle canzoni pop-rock e degli assoli di chitarra interminabili. Dunque acquisirei Hot Rats (con il capolavoro Peaches en Regalia), Kink Kong (a nome Jean Luc Ponty, ma di fatto scritto, prodotto ed arrangiato da Frank), Burnt Weeny Sandwich, Grand Wazoo e Uncle Meat.

    Laura Nyro: Eli and the 13th Confession, Gonna Take a Miracle.

    Lennie Tristano: the New Tristano

    Buon ascolto.

    (La versione inglese dell'articolo sarà presto disponbile. Stay tuned!)

Pages