Articles by: Goffredo Palmerini

  • Arte e Cultura

    L'Aquila: quella emozione che toglie il respiro

    Ero sempre disponibile. Anzi, ero felice di liberarmi una giornata per accompagnare delegazioni in visita alla Città, dopo i rituali incontri in municipio. L’ho fatto tante volte negli anni passati, con gli ospiti italiani e stranieri. E non solo perché la visita guidata alle bellezze della città apparisse meglio conveniente se condotta da un amministratore civico, ma sopra tutto perché sentivo il piacere di farlo. Poi, quando altri impegni con l’estero hanno moltiplicato le occasioni, il caso mi capitava di frequente, specie durante la buona stagione.

    Chi all’Aquila non era mai stato, la scopriva con grande meraviglia. Pochi, in effetti, s’attendevano una tale fioritura di bellezze, tanta ricchezza d’architetture, monumenti di tanta singolarità. Il più delle volte si comprendeva al volo che gli ospiti giungevano in città solo con qualche conoscenza, con l’attesa di trovarvi qualcosa degno di nota, eppure circoscritto al solito rinvenibile in provincia. Poi bastava dargli qualche cenno della singolare nascita della città, del suo legame con i castelli fondatori, del clima che vi si respirava nei primi tre secoli della sua storia, che mutavano parere e pensavano d’essere arrivati in una “capitale”, meglio ancora accompagnandoli a Collemaggio, o al Forte Spagnolo, o alle 99 Cannelle.

    Era appena l’inizio. Perché poi L’Aquila non è solo quella dei monumenti insigni, ma è la città dei particolari, dei dettagli, delle curiosità nascoste nei suoi vicoli, negli sdruccioli, lungo le coste che arrancano alla grande piazza del Mercato. E’ la città, stupefacente ed inattesa, delle tante chiese, incredibile cornucopia per chi la scopre, dei tanti palazzi di magnificente fattura, scrigni di sorprese nei loro chiostri, nelle scalinate, negli archi, nelle modanature, nelle fogge delle finestre, negli stipiti e nei portali. Ma anche nel verde che dall’alto si può ammirare sopra la fuga dei tetti, con le chiome delle piante che spuntano sui profili delle case insieme a quei particolari camini aquilani che solo la nostra abitudine distratta non ci consente d’ammirare anch’essi come opere d’arte.  

    Appunto dopo la visita ai monumenti più noti s’iniziava il giro della città da scoprire nei suoi dettagli, dalle cisterne al centro dei cortili, alle bifore appena sotto il tetto, dalle ogive dei portoni, ai ricorrenti lapidei simboli del nome di Gesù, quel bernardiniano sole con IHS al centro, il cui originale è inciso sulla tavoletta che il Santo senese mostrava durante le sue predicazioni e che ora si conserva al museo del convento di San Giuliano.

    Mi toccava spesso invitare a tener lo sguardo in alto, sorvolando sullo stato delle vie, spesso con qualche peccato di manutenzione. La città ha un territorio immenso - avvertivo - 477 mila ettari e 64 borghi, un caleidoscopio di centri abitati che solo di strade conta più di duemila chilometri, tutte da curare con le sempre scarse risorse del bilancio comunale. Più che la benevola comprensione, era il primato delle bellezze a coprire qualche guasto nella città.

    Eppure mi logoravano alcuni sfregi dell’imbecillità umana, come i graffiti sui colonnati o lungo la scalinata che arranca a San Bernardino, le scritte sui muri con lo spray, le offese dei writers alle mura della cinta urbica, gli innamorati stupidi che scrivono banalità melense con la vernice, come i rifiuti che la sciatteria di qualche maleducato abbandona per strada e chi deve curare l’igiene urbana tarda a raccogliere. Eppure i richiami del bello superavano qualche bruttura.

    Ricordo ancora lo stupore di Dan Fante - figlio del grande John e brillante scrittore egli stesso - quando, dopo una commossa visita a Collemaggio sostando davanti al mausoleo di Celestino V, salendo per via Fortebraccio,  s’ebbe all’improvviso davanti la Basilica di San Bernardino, con la facciata splendente di sole, al tramonto. Un’emozione che gli tolse il respiro.

    Ci mancano, ora, queste emozioni. Ogni erbaccia ci appare un insulto, ogni rovina una ferita profonda. Toccherà lavorare sodo, per anni. Ma ce la faremo. Sogno però, quando la calura è insolente nelle lande dove ora viviamo, quella frescura che si godeva rasentando le ombre delle vie aquilane, mentre il sole picchiava a mezzogiorno.

    (dal numero Speciale a stampa, Luglio-Agosto 2010, “L’Aquila. Mi ritorni in mente …” , www.ilcapoluogo.it)

  • Associazionismo all'estero e giovani. Riflessioni da Palermo


    Il Palazzo dei Normanni sta su un’altura compresa tra le depressioni dei fiumi Kemonia e Papireto. Da lì si domina tutta la città di Palermo, spianata nelle sue belle architetture fino al mare. Oltre un secolo prima dell’anno Mille, sui resti d’una antica roccaforte punica e poi romana, gli Arabi avevano costruito il “Qasr” - il Càssaro - la loro residenza fortificata. Con l’avvento dei Normanni l’imponente costruzione divenne la Reggia, munita di quattro torri, delle quali solo una oggi è superstite. Ruggero II la rese sua dimora sfarzosa, convocandovi il fior fiore di artisti arabi e bizantini a decorarla. La testimonianza più splendida e magnificente è la Cappella Palatina, basilica a tre navate realizzata in modo singolare al primo piano del Palazzo. Un vero gioiello artistico ed architettonico, risplendente dei suoi mosaici su fondo d’oro che illustrano storie del Vecchio e Nuovo Testamento, gli Evangelisti ed un meraviglioso Cristo Pantocrator. Mirabile fusione d’arte bizantina e maestria decorativa araba, sintesi superba di più culture che ne fa un autentico scrigno, un incrocio di tradizioni artistiche e civiltà al massimo livello - romanica, islamica e bizantina - che nell’attuale difficile congiuntura storica dovrebbe insegnare molto e far riflettere certi soloni da strapazzo. Oggi la Cappella è ancora più luminosa, appena restituita all’ammirazione dopo un accurato restauro finanziato da Reinold Wurth, generoso mecenate innamorato della Sicilia e del suo patrimonio artistico. Il Palazzo, con  Federico II di Hohenstaufen, diventò centro di quel grande crogiolo di culture che l’imperatore svevo, definito “Stupor  mundi”, volle diventasse Palermo, la città dove con sapienza governò il regno, dove nel 1250 si spense e dove è sepolto, in un sarcofago, all’interno della splendida cattedrale. Poi la funzione del Palazzo si stempera, con gli Angioini e gli Aragonesi, per rinascere a metà del Cinquecento con i Viceré spagnoli e poi  con i Borbone, che vi realizzarono le stupende Sale Gialla, Rossa e Verde. Dal 1947 Palazzo dei Normanni è sede dell’Assemblea Regionale Siciliana (Ars) e vi si svolgono le attività del Parlamento siciliano. Ma non solo. In questi giorni gli ampi locali a pian terreno adiacenti alla porta carraia del complesso ospitano una mostra di 66 opere di Picasso, tele e disegni di natura fantastica del grande pittore spagnolo provenienti dalla collezione Wurth. Una vera meraviglia.


    Nella Sala Gialla, al secondo dei tre piani del Palazzo dei Normanni, dalle cui finestre s’ammira il profilo della città nella sua fuga di tetti, cupole e campanili stagliarsi sull’azzurro del mare, il 28 e 29 novembre si sono tenuti due giorni intensi di riflessione sul rilancio dell’associazionismo italiano – e regionale, in particolare - all’estero, sul ruolo che le giovani generazioni dell’emigrazione italiana potranno assolvere, ed in quali modalità, nella conservazione della memoria e nella valorizzazione della cultura italiana. L’ossimoro “Memorie del futuro” dà felicemente percezione degli obiettivi del convegno internazionale promosso dall’ANFE Sicilia, in collaborazione con la Regione Siciliana. Semplicemente perfetta l’accoglienza e l’organizzazione, entrambe assicurate dalla delegazione regionale dell’ANFE attraverso il dipartimento Politiche Migratorie diretto da Gaetano Calà.

    Dell’esito del meeting può davvero essere soddisfatto il presidente dell’ANFE Sicilia, Paolo Genco, che della meritoria associazione, fondata nel 1947 da Maria Federici per curarsi delle famiglie degli emigrati, è anche vice presidente nazionale. Dunque, una riflessione a tutto tondo sul fenomeno migratorio italiano e sull’associazionismo che l’ha accompagnato in ogni angolo del mondo, assicurando il mutuo sostegno tra gli emigrati nel difficile salto di culture e nell’inserimento nelle nuove società, ma sopra tutto nella conservazione dell’identità, prima regionale e poi nazionale, nei suoi valori culturali e sociali. Molte migliaia le associazioni regionali ed italiane sorte fin dagli albori della grande emigrazione italiana in tutti i continenti. L’associazionismo all’estero ha svolto un ruolo fondamentale su diversi fronti, sicuramente notevole nel mantenere saldi i legami con le proprie radici, con tradizioni e culture delle regioni di provenienza e con il senso della propria italianità. Una valutazione che riguarda ogni regione, ma particolarmente la Sicilia, tra le regioni italiane quella che più di tutte ha conosciuto la diaspora, tanto che oggi si stimano in oltre venti milioni gli oriundi siciliani nel mondo, più d’un terzo dell’altra Italia che vive oltre confine. Oggi l’associazionismo italiano e regionale all’estero, dopo una storia di tutto riguardo, comincia a soffrire condizioni di crisi. Si rischia che la vitalità associativa delle prime generazioni dell’emigrazione vada progressivamente spegnendosi nel crescente disinteresse delle nuove generazioni, sempre più assimilate nei Paesi d’accoglienza. Quali politiche innovative mettere dunque in campo per rilanciare il ruolo dell’associazionismo, perché sia in grado d’innovarsi verso i giovani e contribuire alla ricostruzione della continuità culturale ed a custodire la ricchezza della propria storia?


    Questo, appunto, il senso dell’iniziativa dell’ANFE che a Palermo ha messo a confronto politici, studiosi del fenomeno migratorio, accademici, storici e gli esponenti del mondo associativo regionale ed italiano all’estero. Ed infatti la risposta non è mancata. Già dal prologo, con  la mostra fotografica “Sicilian Crossings”, inaugurata il 27 novembre nella dismessa chiesa di San Mattia ai Crociferi – Palermo, curata e diretta da Marcello Saija, docente all’Università di Messina e direttore della “Rete dei Musei siciliani dell’emigrazione”. Molto più d’una esposizione, l’evento si dispiega come un suggestivo percorso iconografico, frutto di anni di lavoro e ricerca, che dell’emigrazione siciliana riesce a dare un’immagine storica completa e commovente, come delle cause sociali ed economiche che ne furono causa. Comprensibile e meritato, quindi, il successo avuto dalla mostra nel 2007 a New York, esposta al Museo dell’Immigrazione di Ellis Island, e successivamente a Boston, Newark, Miami, Norwich e quindi a Ragusa, nel Castello di Donnafugata.


    Presenti al meeting le Istituzioni, con il vice presidente del Senato, sen. Domenico Nania, con gli assessori regionali Carmelo Incardona (Lavoro ed Emigrazione) e Francesco Scoma (Famiglie ed Enti Locali), con il presidente del Consiglio della Provincia di Palermo, Marcello Tricoli, con l’assessore Patrizio Lodato della Municipalità di Palermo, e con il messaggio del presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, Francesco Cascio, recato dal segretario generale dell’Ars. Dopo l’apertura dei lavori con l’intervento del sen. Learco Saporito, presidente nazionale dell’ANFE, chiara è stata l’analisi dell’emigrazione siciliana fatta dall’assessore Incardona, rivendicando dei milioni di siciliani all’estero il contributo reso alla crescita dell’Italia e dei Paesi d’emigrazione, come il valore civile ed etico che non può essere scalfito da circoscritti fenomeni criminali. La Sicilia laboriosa ed onesta lotta contro la mafia ogni giorno, con la propria testimonianza civile, sull’esempio luminoso di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

    All’estero i siciliani, con l’amore verso la propria terra, danno testimonianze esemplari di serietà, ingegno e valori etici, dimostrandosi i migliori ambasciatori per l’immagine della Sicilia. Necessario, secondo l’assessore, superare le difficoltà che vedono inattiva la Consulta regionale degli emigrati, anche attraverso una riforma della legge in vigore che ne esalti compiti e funzioni attraverso una composizione più agevole, proprio per rilanciare il mondo associativo siciliano all’estero al quale il governo siciliano annette grande rilevanza. Sono quindi entrati nel vivo del fenomeno migratorio, nella sua storia, nell’attualità e nelle prospettive, gli accademici convenuti da varie Università, come Marcello Saija (Messina), John Alcorn (Harford), Antonino Checco (Messina), Gioacchino Lavanco (Palermo), Elio Mannetta (Baltimora), Bianca Gelli (Lecce), Ellie Vasta (Oxford), ricercatori ed esponenti del mondo dell’emigrazione, quali Pio Guida (Regione Sicilia), Salvatore Augello (USEF), Vincenzo Arcobelli in collegamento telefonico dagli Usa (Confederazione Siciliani Nord America), Carmelo Pintabona (Federazione Siciliani d’Argentina), Domenico Azzia (Sicilia Mondo), Francesco Viola (CISAL), Luciano Luciani (Istituto Fernando Santi), Roberto Mazzarella (Comune Palermo), Giampiero Finocchiaro (Istituto Laura Lanza), Luis Tallarini (presidente Columbus Citizens Foundation), Elio Carozza (segretario generale CGIE), Rino Giuliani (presidente Consulta Nazionale Emigrazione) e Salvatore Mulè (CSNA, Florida).


    La giornalista Letizia Airos Soria, direttore della testata multimediale americana I-italy, ha coordinato i lavori con grande perizia ed incisività, assicurando attraverso la struttura del giornale anche quattro importanti video interventi sui temi del convegno, con interviste al Console Generale d’Italia a New York, Francesco Maria Talò, al direttore dell’Istituto italiano di Cultura nella Grande Mela, Renato Miracco, al direttore della “Casa Italiana” della New York University, Stefano Albertini, ed al direttore del Calandra Institute, Antonio Tamburri. La testata on line I-italy, sia per la formula giornalistica che per la sua apertura alle nuove tecnologie ed alle sensibilità dei giovani, si configura come una finestra della cultura italiana aperta al mondo ed in relazione con numerosi docenti e studenti di molti atenei.

    Quantunque recente la sua nascita, il notevole apprezzamento ne indica un promettente futuro proprio verso le giovani generazioni italiane nel mondo che cercano nuove forme di aggregazione e dialogo culturale. Vie quanto mai opportune e necessarie, oltre al sistema classico di presenza della cultura italiana all’estero, sofferente degli scarsi mezzi che l’Italia mette in campo per la promozione della lingua e della cultura nel mondo, le basi su cui meglio potrebbe procedere il made in Italy e l’economia connessa.

    Aspetto  richiamato con forte decisione da Elio Carozza nel suo intervento, da un lato lamentando la falcidia ai fondi destinati alle politiche per gli italiani all’estero operata dal Governo con la finanziaria, dall’altro mettendo in risalto la scarsità di risorse per il 2009 a sostegno della lingua e della cultura italiana nel mondo, solo 14 milioni di euro, rispetto ai 400 stanziati dalla Francia. Per fortuna che va crescendo l’iniziativa delle Regioni. Auspice l’ANFE, il presidente della Regione Sicilia, on. Raffaele Lombardo, ha sottoscritto il 29 novembre a Catania con Luis Tallarini, chairman dell’Italian Language Foundation, un protocollo d’intesa per lo sviluppo della lingua italiana, cui è destinato un investimento di un milione di euro.

    Il Convegno ha offerto un’opportunità mai prima d’ora registrata, questo il suo merito, mettendo a confronto storie, esperienze e valutazioni critiche diverse. Seguito in diretta web attraverso il sito www.sicilia.anfe.it, il meeting ha registrato un successo anche nei contatti da tutto il mondo, circa duemila nei due giorni di lavori. Nessuno s’è arrogata la pretesa di impartire indicazioni di strategia uniformi, ma la trattazione organica da più angolazioni del complesso sistema della nostra emigrazione e della sua organizzazione in associazioni consente a ciascuna realtà di mettere in campo le più adeguate iniziative di coinvolgimento per consentire alle giovani generazioni di vivere l’associazionismo secondo le proprie preferenze culturali o d’interessi, essendo proprio essi stessi, i giovani, protagonisti del cambiamento e dell’innovazione. A tale riguardo l’esperienza maturata dalla Regione Abruzzo, citata nel corso del convegno e che ha consentito di portare nel Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo una vivace presenza giovanile grazie alla riforma delle norme di settore, può essere uno dei modelli cui far riferimento per incentivare il rilancio dell’associazionismo proprio attraverso i giovani. Ma indicazioni ancor più importanti potranno venire dalla prossima Assemblea Giovani Italiani nel Mondo del CGIE, in programma fra qualche giorno a Roma, come ha chiaramente auspicato Elio Carozza nel suo intervento. Questa, dunque, la transizione che l’associazionismo vive oggi. Un futuro che si ancori alla memoria non solo è possibile, ma doveroso, se si sa interpretare il segno dei tempi con apertura e fiducia verso le giovani generazioni. L’ANFE, in forza degli oltre sessant’anni d’esperienza, ha dato con “Memorie del futuro” un ulteriore contributo al tema delle migrazioni, collocando la sua sensibilità al servizio della valorizzazione del grande patrimonio di memoria della nostra emigrazione, la cui conoscenza avvertita apre anche i sentieri del futuro.


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