Venerdì 20 novembre l’Italian Academy della Columbia University ha ospitato il convegno “One hundred years after the Strait of Messina Earthquake: Emergency Management from Solidarity to Efficiency. The response of public Institutions to the strategic challenge of emergency management”. L’evento, organizzato dal Consolato Generale d’Italia di New York per commemorare il centenario dal terremoto di Messina del 1908, è stato definito dal sottosegretario alla Protezione Civile Guido Bertolaso, tra gli speaker dell’occasione, “la più terribile tragedia che ha scosso l'Europa nel secolo scorso”.
Il cataclisma, va ricordato, ha costituito un importante turning point nella storia delle relazioni internazionali bilaterali che interessano l’Italia e gli Stati Uniti. Distruggendo il 90% degli edifici cittadini e uccidendo più di 100.000 persone, costituì un’ulteriore spinta per migliaia di reduci a migrare verso le coste statunitensi, in cerca di un rifugio dalla miseria e della disperazione che il disastro naturale aveva acuito.
Quella fu anche l’occasione in cui gli Stati Uniti di Theodore Roosevelt dimostrarono un forte spirito di solidarietà nei confronti delle popolazioni siciliane (e calabresi) colpite: la White Fleet della US Navy, che proprio in quell’anno era impegnata in una missione di circumnavigazione del globo, fece rotta verso il Sud Italia per prestare soccorso alle popolazioni colpita.
I lavori del seminario, organizzato in collaborazione con l'Istituto Italiano di Cultura, l'Italian Academy della Columbia, il Consiglio regionale della Calabria, la Regione Sicilia, il Comune di Messina e la delegazione regionale dell'ANFE (Associazione Nazionale Famiglie Emigrati) sono stati introdotti dal Console Generale Francesco Maria Talò che ha rievocato opportunamente tale gesto di fratellanza: “L'obiettivo del seminario è duplice: commemorare il centenario del terremoto dello Stretto di Messina, ricordando la solidarietà del governo americano che fornì prontamente aiuto inviando unità navali in soccorso. In secondo luogo, il convegno è pensato per offrire un'immagine aggiornata dell'Italia. Il programma si articola in tre sessioni scientifiche rispettivamente dedicate alla gestione delle emergenze in generale, a quelle sanitarie e agli interventi di recupero delle opere culturali colpite da catastrofi”.
Le tre sezioni introdotte dal Console hanno ospitato interventi di illustri esponenti del mondo politico, diplomatico e scientifico italiano ed americano.
Tra questi, l’ambasciatore Giulio Terzi di Sant'Agata, il direttore accademico della Columbia Achille Varzi, l’assistente del segretario generale dell’ONU Catherine Bragg e il Vice Presidente del Consiglio regionale di Calabria Antonio Borello, il professor Saija (Università di Messina), il professor Yurt (New York Presbyterian Hospital at Weill Cornell) e il professor Legome (Saint Vincent Catholic Medical Hospital di New York). Presenze illustri che difficilmente si potrebbero veder riunite nella stessa sala e al di fuori delle mura dell’ONU. Dunque, un evento unico anche in questo senso. Tanto da far dire all’Ambasciatore Francesco Paolo Fulci, che ha rappresentato l’Italia all’ONU dal 1993 al 1999: “Per la prima volta trovo ricostituito il magic team, quello che dette tante vittorie all'Italia tra il 1993 e il 2000, con in testa Giulio Terzi come ambasciatore: un vero asso della diplomazia italiana. E poi con lui alcuni di quelli che erano stati componenti della squadra vincente dei tempi dell’ONU”. Tutto ciò per onorare lo spirito di fratellanza che lega i due Paesi da quella data del 1908 e che ha avuto modo di esprimersi in numerose occasioni successive, come nel caso dell’11 settembre 2001 e dell’Uragano Katrina del 2005, quando fu però l’Italia a soccorrere le popolazioni statunitensi.
Entrambe furono occasioni per esprimere e dimostrare l’eccellenza raggiunta dall’Italia nel settore della Protezione Civile e della prevenzione delle emergenze naturali. Una preparazione e organizzazione che è frutto di anni di errori ed inefficienza, come ha affermato lo stesso Bertolaso: “Allora in Sicilia gli italiani arrivarono dopo russi, tedeschi, americani e inglesi perchè non eravamo organizzati. La nostra eccellenza odierna è figlia di questo passato”.
A fargli da contraltare Andrew Staten, Direttore dell’Office of International Affairs alla Federal Emergency Management Agency (F.E.M.A.) del’US Department of Homeland Security. Il funzionario governativo ha espresso profondo rammarico per “il tremendo fiasco del dopo Katrina” e ha annunciato, ringraziando l’Italia per “l’indispensabile aiuto offerto nell’occasione”, un processo di riforma dell’intera agenzia federale, sì che sappia rispondere più prontamente a questo tipo di emergenze.
Dunque, un discorso completo, un dibattito reale di fronte ad un pubblico che, numeroso e affascinato, si è dimostrato molto interessato a quest’appuntamento organizzato in seno al ciclo “Colloqui Newyorkesi di cultura scientifica italiana - LINX XXI”. Moltissimi sono rimasti fino alla fine, fino al momento delle premiazioni: Richard Greco, ex sottosegretario della Marina Statunitense, ha ricevuto l'onorificenza di Cavaliere all'Ordine al Merito della Repubblica mentre Dario Caroniti, consigliere della Città di Messina, ha consegnato a Suzanna Brugler, rappresentante della Navy, una targa a nome dei suoi concittadini siciliani.
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Il giorno dopo la conferenza i-Italy ha intervistato per i suoi lettori l’ex Ambasciatore Francesco Paolo Fulci. Lo abbiamo incontrato alla Casa Italiana Zerilli-Marimo' dove e' stato invitato dal direttore Stefano Albertini e dalla Baronessa Mariuccia Zerilli-Marimo' a presentare il suo ultimo lavoro, L’ITALIA ALL’ONU 1993-1999, Gli anni con Paolo Fulci: Quando la diplomazia fa gioco di squadra.
Oggi Vice Presidente di Ferrero International, la sua carriera diplomatica iniziò nel 1956. Subito gli incarichi a Mosca, Parigi, Tokyo. Poi il ruolo di Ambasciatore in Canada e, dal 1985 to 1991, Ambasciatore del Paese alla NATO. Infine, come già detto, dal 1993 al 1999 rappresentò l’Italia all’ONU.
Uno dei partecipanti più attesi ed illustri del seminario, ha diviso con noi le sue impressioni e riflessioni sull’evento e le tematiche affrontate nel corso del dibattito.
Ambasciatore cosa ha significato per lei partecipare all’incontro organizzato dal Consolato Generale italiano di New York all’Italian Academy?
Mi ha dato la possibilità di manifestare, credo a nome di tutti i miei concittadini, una profonda gratitutdine nei confronti degli Stati Uniti per tutto quello che hanno fatto per Messina. Ho voluto ricordare che dopo quell’evento il viale principale della mia città è stato intitolato a Theodore Roosevelt. Insieme al Ponte americano, costruito in quegli anni, rimane il simbolo della grande amicizia che unisce le nostre genti.
Il suo intervento si inseriva nel panel Messina 1908-New York 2008: Friendship between peoples and cooperation between Governments. Che rilevanza mantengono le relazioni internazionali bilaterali tra Italia e Stati Uniti nel nuovo contesto globale?
Direi che le relazioni internazionali di tipo bilaterale sono destinate ad intensificarsi nel nuovo linguaggio globale. Oggi si può comunicare in continuazione non solo con il telefono, ma anche via internet. Sono stati riannodati moltissimi contatti che in precedenza erano stati tagliati. Così i nuovi immigrati negli USA possono mantenere più facilmente i rapporti con i loro familiari rimasti a casa, costituendo un’ulteriore base per la perpetuazione e l’approfondimento del dialogo tra i governi dei due Paesi.
C’è anche un altro fattore da tenere in considerazione: la velocità e l’efficienza dei mezzi di trasporto ha portato ad una trasformazione integrale della dimensione spazio-temporale. Così sempre più spesso gli italo-americani residenti qui negli USA ritornano nei territori di origine alla ricerca delle proprie radici. entrando nelle chiese, nei comuni, nei registri parrocchiali. Questo è fondamentale per la bilateralizzazione delle relazioni internazionali, che in tal modo si sviluppano e vengono appoggiate anche “dal basso”.
Ed è esattamente il contrario di quanto accadeva in precedenza. Mi ricordo che ai tempi in cui studiavo qui alla Columbia molti italiani avevano il timore di dichiarare le proprie origini e addirittura anglicizzavano il proprio cognome. Oggi tutto questo è scomparso, e lo dimostrano coloro che con orgoglio si definiscono “italo-americani”.
Quale tra gli interventi del convegno di ieri l’ha interessata o affascinata particolarmente?
Sicuamente quello dell’Onorevole Antonio Martino. Anche lui è messinese e ci ha raccontato un annedoto di famiglia collegato al terremoto. Il nonno insisteva perchè andassero a passare il Natale in campagna mentre la nonna voleva rimanere in città per andare al teatro per la rappresentazione natalizia de l’Aida. Siccome a quel tempo prevalevano senz’altro le decisioni del capo-famiglia partirono tutti. Martino giustamente diceva che grazie alla decisione del nonno e all’accondiscendenza della nonna la sua famiglia non fu vittima del terremoto e lui poteva essere presente alla conferenza e raccontare l’aneddoto. Mentre parlava mi accorgevo che lo stesso valeva per me e per tanti altri messinesi. Siamo veramente figli del fato, del destino.
E ora quale legame mantiene con Messina? C’è un valore, un’eredità della sua terra che ha sempre conservato e preservato nel corso della sua lunga carriera diplomatica e politica?
Sono non fiero, ma fierissimo di essere messinese. Devo dire che questo orgoglio della messinesità l’ho visto anche negli occhi di molti miei concittadini che ho visto in tante parti del mondo, soprattutto qui a New York. Ho già ricordato ieri, che molti degli scampati dal terremoto di Messina vennero proprio in questa città. Ebbi modo di incontrarne alcuni anche quando ero studente Fulbright alla Columbia University..
Lei ha vissuto a Messina fino al conseguimento della laurea in legge, dopo la quale si trasferì negli Stati Uniti per continuare i suoi studi. Erano gli anni immediatamente successivi al terremoto. Mi potrebbe spiegare quale era il rapporto, l’opinione, o meglio, il legame che i suoi conterranei avvertivano nei confronti degli americani, considerato che l’aiuto degli Stati Uniti fu fondamentale per il soccorso ai sopravvissuti e la ricostruzione della città?
Ho un ricordo di quando avevo 13 anni, forse 12, era il 1943. Vennero in Sicilia le Truppe Alleate. Guardavamo agli americani e agli inglesi in maniera diversa rispetto agli altri. Loro, ai nostri occhi, si comportavano come dei liberatori, gli altri come dei conquistatori. E non credo fosse un caso. Anzi, ritengo che questa differenziazione derivava direttamente da quanto gli Stati Uniti avevano fatto per noi qualche decennio addietro. Senza di loro credo che la gente di Messina avrebbe avuto un ricordo ancora peggiore di quel giorno del 1908, quando il terremoto distrusse la città mietendo un numero indefinito di vittime.
E oggi? Come è cambiato secondo lei il rapporto tra siciliani ed americani?
I siciliani continuano a guardare agli americani con grande ammirazione. Il sogno di molti messinesi è sempre stato quello di venire qui per ricostruire una nuova vita e beneficiare dei vantaggi straordinari che questa terra offre ai suoi cittadini. E penso innanzitutto alla libertà dal bisogno, la libertà di religione, la libertà politica. Ma nell’epoca in cui sono cresciuto le valvole dell’immigrazione erano già state chiuse, per cui non era possibile per molti messinesi venire qui. In effetti mi sorprendo ancora quando mi imbatto in storie di immigrazione recenti. Proprio ieri ho incontrato una persona che mi raccontava di essere originario di Sinagri, una cittadina in provincia di Messina. Ebbene, la sua famiglia arrivò qui soltanto nel 1973. Lo considero un caso molto raro, ma anche un segno tangibile del fatto che i siciliani continuano ancora oggi a vivere un rapporto forte e in continua rinnovazione con gli Stati Uniti.
Anche la sua vita si è svolta tra Stati Uniti e Italia. In particolare, i sei anni vissuti a New York quale Ambasciatore permanente dell’Italia all’ONU sono stati un importante turning point della sua carriera diplomatica. Quanto si sente legato a questa città?
Il mio attaccamento a New York deriva innanzitutto dal primo periodo in cui ci ho vissuto, quando ero studente Fulbright alla Columbia University. Nel corso degli anni successivi il mio lavoro mi ha poi portato ancora in questa città, prima come Vice Console di Italia, poi come membro della delegazione di Italia negli anni in cui Fanfani era Presidente dell’Assemblea Generale. Infine sono tornato come Ambasciatore d’Italia. Sono stato a New York per circa 12 anni in tutto. Dunque, buona parte della mia vita diplomatica si è svolta proprio qui, in questa straordinaria città a cui devo molto e che amo profondamente.
Stasera siamo qui alla Casa Italiana Zerilli-Marimò dove presentera' il suo nuovo lavoro L’ITALIA ALL’ONU 1993-1999, Gli anni con Paolo Fulci: Quando la diplomazia fa gioco di squadra. Il libro è una testimonianza dei suoi 7 anni quale Ambasciatore permanente dell’Italia all’Onu. Una domanda prima dell'inizio della conferenza: come crede di aver contribuito a rafforzare il seggio, la posizione italiana in seno all’organizzazione?
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Le foto del terremoto sono tratte dal sito http://www.grifasi-sicilia.com/messina_terremoto_1908.html