Simone Barlaam, pesce combattente in cerca di Tokyo 2020
Simone Barlaam vive a Milano con mamma e sorella più piccola, ma viene spesso a New York per trovare il padre, il giornalista Riccardo Barlaam, corrispondente del Sole 24 Ore. Simone, campione mondiale in carica nei 50 e 100 metri stile libero (categoria S9), confessa che qui non è facile trovare una piscina olimpionica in cui continuare ad allenarsi. Perché lui non si può fermare, altrimenti “è come tirarsi una zappa sui piedi, poi si fa più fatica a riprendere”.
“Due volte campione del mondo, quattro volte campione europeo, primatista mondiale nei 50 stile libero e primatista europeo nei 100 stile libero categoria S9…” recita la sua dettagliatissima pagina su Wikipedia.
Ma l’hai scritta tu? Chiediamo. “No! Anzi non so chi l’ha creata” si schernisce lui. Lì ci sono elencati i suoi problemi e i suoi successi. Noi gli chiediamo cosa c’è in mezzo, ossia quale forza di volontà sia necessaria per vincere un destino che gli si è presentato come una forte corrente contraria fin dalle prime ore di vita.
Un destino contro corrente
Simone è infatti nato con una deformazione dell’anca, una coxa vara in termini medici, e una ipoplasia congenita del femore destro che impedisce all’arto di svilupparsi come l’altro. Ma i guai erano iniziati anche prima che venisse al mondo quando i medici, in una manovra pre-parto per girarlo dalla posizione podalica in cui si trovava in utero, gli rompono quel femore che, ancora nessuno lo sa, è fragilissimo.
Seguono tredici operazioni chirurgiche durante l’infanzia e un’infezione per cui rischia di perdere la gamba. Gliela salvano il professor Raphael Seringe e il professor Philippe Wicart dell’Ospedale pediatrico Saint-Vincent-de-Paul di Parigi. “Hanno fatto davvero un miracolo perché rischiavo di perdere la gamba” dice.
Intanto, Simone nuota. È l’unico sport che può fare per mantenere il tono muscolare senza rischiare fratture perché praticato in assenza di peso corporeo. “Ho sempre nuotato per stare un po’ informa. Avevo anche provato con il paratriathlon, ma ero troppo scarso nella corsa e la bicicletta”. In realtà Simone nel 2014 partecipa ai Campionati Italiani di Paratriatlon FITRI di Riccione e se la cava con un bel bronzo. “Per me è stato soprattutto il mio primo contatto con lo sport paraolimpico”.
Capisce che la sua forza è il nuoto. Si mette a cercare online e trova il sito della FINP, la Federazione italiana nuoto paralitico. “Li contattai e incominciai ad allenarmii con l’ allenatore nazionale FINP Massimiliano “Max” Tosin e altri atleti paraolimpici”.
La svolta agonistica
L’incontro è avvenuto al momento giusto perché Simone si era quasi stufato di nuotare. “A dieci anni avevo pensato di smettere, non sentivo più alcuna motivazione a continuare nella mia squadretta di provincia. Ma Max e soprattutto gli altri ragazzi, tra cui alcuni erano già campioni del mondo, mi hanno ispirato. Ho pensato: allora si può anche andare forte, anche con la disabilità.”
Simone inizia quindi ad allenarsi seriamente. Ora può nuotare fino a 18 ore a settimana, quando è vicino a gare importanti. Quanto è importante la testa in quello che sta affrontando? “Molto, soprattutto nel nuoto dove devi fissare una linea sul fondo della piscina per 5 o 6 ore al giorno. A me aiuta pensare agli obiettivi che mi sono dato perché se non hai delle motivazioni non ti alzi alle 4 del mattino per andare a nuotare. E questo vale per tutti.”
Ma Simone ha mai sognato di andare alle olimpiadi? Di superare quella linea per cui anche un paratleta può competere con atleti normodotati? “Per ora il mio obiettivo è andare alle Paraolimpiadi e farle bene, poi per le Olimpiadi è una questione di tempi. Se mai arriverò a fare tempi competitivi con gli atleti olimpici allora potrei andare”.
Tra gli atleti che ammira di più c’è l’ex campione australiano di nuoto paraolimpico Matthew Cowdrey, “di cui recentemente ho battuto il record mondiale che aveva alle Olimpiadi di Londra” aggiunge Simone con orgoglio. “Poi Michael Phelps, anche se è scontato nominarlo perché è l’idolo di tutti i nuotatori. E poi stimo molto anche Federico Morlacchi, uno degli atleti paraolimpici italiani più forti. È nella mia stessa squadra e mi ha fatto un po’ da fratellone in questo mio percorso: mi ha preso sotto la sua ala ed mi ha insegnato ad allenarmi bene.”
Paratleti, un mondo da scoprire
Simone parla poi delle barriere culturali che bisognerebbe superare quando si parla di atleti e disabilità. Per il giovane nuotatore l’Australia, la Gran Bretagna e l’Olanda sono i paesi “più fighi” quando si parla di disabilità e mondo paraolimpico. “Ad esempio in Australia, dove ho fatto il quarto anno delle Superiori,a i giochi del Commonwealth, che sono tipo i giochi europei per noi, gli atleti normodotati e con disabilità gareggiano insieme: stessa competizione, stessa folla, stesse vasche. Quindi il pubblico può vedere gli uni e gli altri.”
A Milano, Simone si allena sia con atleti normodotati che con disabilità. “Il rapporto con tutti loro è ottimo, alla fine è una questione umana non di disabilità o meno.” Simone nota anche che da dopo Londra 2012 si notano segnali di maggior consapevolezza anche in Italia verso gli atleti disabili. “Ma non per vederci e pensare ‘poverini’”. Simone vorrebbe che le persone vedano soprattutto l’atleta, i suoi sforzi e determinazione a raggiungere certi livelli anche con una disabilità. Insomma, vuole che vedano oltre la disabilità. “Ci sono tante storie belle tra gli atleti paraolimpici ed è un peccato che non si conoscano. Lo sport paraolimpico è uno sport normale con delle aggiunte”. E suo padre ha anche raccontato di Simone e dei suoi compagni di quadra nel documentario “I pesci combattenti”.
Il sostegno della famiglia conta tanto, ovviamente, “ma anche circondarsi in generale di persone positive. E poi l’impegno, se vuoi veramente qualcosa devi lavorarci duramente e questo non vale solo nello sport” spiega Simone che già pensa di iscriversi all’univeristà e studiare ingegneria meccanica per progettare protesi da corsa.
“Io lo so che nemmeno nei loro sogni migliori i miei genitori si sarebbero immaginati che quel bambino cicciottello, che ogni due passi si fratturava il femore, sarebbe diventato campione del mondo”.
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