John Fitzgerald Kennedy e Carlos Marcello
“Tutti si ricorderanno perfettamente in quale luogo fossero e cosa stessero facendo il 23 Novembre 1963. Stessa cosa vale per l’11 Settembre 2001. In entrambe le occasioni io ero in Italia.” Ci racconta Joseph La Palombara, professore emerito di scienze politiche e management e primo ricercatore presso l’Università di Yale.
E’ in occasioni disarmanti come queste che il mondo sembra improvvisamente fermarsi per lasciare spazio allo shock più totale. Il 23 novembre 1963 alle ore 12.30 infatti tutto il mondo assiste inerme all’omicidio del presidente John Fitzgerald Kennedy a Dallas in Texas.
L’omicidio dell’allora trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti è ancora un avvenimento con molte ombre sul quale sono state costruite varie teorie. Sin dall’inizio fu arrestato per l’omicidio Lee Harvey Oswald, un impiegato della Texas School Book Depository che non riuscì ad arrivare al regolare processo perché ucciso due giorni dopo il suo arresto da Jack Ruby.
Nonostante il lavoro di diverse commissioni presidenziali l’omicidio Kennedy rimane ancora un caso aperto. Per la maggior parte degli americani risulta difficile poter pensare che la persona implicata nell’omicidio sia solo una. La tesi che il fatto sia dovuto a tendenze cospirazionistiche è dilagante.
“Io ero una di quelle persone che credevano a ciò che la commissione presidenziale ci aveva fatto credere, ossia che l’assassinio di Kennedy fosse legato ad una sola persona. Il libro di Stefano Vaccara mi ha aiutato a capire che forse c’era qualcosa di più di una semplice persona, che forse qualcosa di studiato dietro questo assassinio politico c’è stato”. La Palombara continua dicendo che nonostante le sue origini di Chicago, città dove era presente una diffusa e ben radicata criminalità organizzata, non sapeva , come molti di noi prima di leggere il libro di Vaccara, che a New Orleans un uomo di nome Carlos Marcello fosse a capo della più potente organizzazione mafiosa in America.
Calogero Minacori detto Carlos Marcello nasce in Sicilia e poco dopo si trasferisce in Louisiana insieme alla famiglia dove conquista la sua fama da criminale sin da giovane. Il primo incontro con i fratelli Kennedy avviene nel 1959 quando Robert Kennedy , che faceva parte di una commissione contro il crimine organizzato insieme al Presidente degli Stati Uniti , lo interroga a Washington. In quella occasione gli fa la solenne promessa che lo avrebbe espulso dall’America.
Promessa mantenuta nel 1961 quando Robert Kennedy diventa procuratore generale. Il primo obiettivo diventa quello di combattere la mafia e nello stesso anno Carlos Marcello viene rapito e deportato in Guatemala, da dove riuscirà incredibilmente a fuggire per far ritorno in America.
Bisogna immaginare Carlos Marcello come un grande esponente della mafia, quello che forse nel nostro immaginario può essere Don Vito Corleone, protagonista de “Il Padrino”.
George De Stefano, scrittore e blogger, ci racconta che Carlos Marcello era colui che si può definire il vero mafioso, una persona della quale a malapena si conosce il nome ma capace di avere relazioni a livello politico e un controllo sul business che gli assicuravano il dominio totale.
Nel suo libro il giornalista siciliano, e direttore di La Voce di New York, Stefano Vaccara ci spiega che la mafia si va a radicare quando le associazioni a delinquere iniziano ad avere relazioni di reciprocità con istituzioni, politici ed enti pubblici ed è proprio attraverso tutto ciò che Carlos Marcello riesce a creare il suo impero criminale. Questa forte presenza della mafia in Texas fu cruciale per l’eliminazione del suo nemico John Fitzgerald Kennedy.
“A dog will continue to bit you if you cut off its tail. Chop off its head and it will cease to cause you trouble” “Un cane continuerà a morderti se gli tagli la coda. Tagliagli la testa e smetterà di causarti problemi” diceva Carlos Martello. In questo caso soprattutto, ci spiega Vaccara, non sarebbe bastato eliminare Robert Kennedy, la coda. E infatti il 23 Novembre 1963 Carlos Marcello punta direttamente alla testa: il presidente John Fitzgerald Kennedy.
L’omicidio Kennedy e tutto ciò che vi è alle spalle è una vicenda intricata e sicuramente difficile da seguire. L'abilità di Vaccara sta proprio nel rendere semplice un racconto di tale portata e nel riuscire a condensare in poco più di duecento pagine anni di studi e di ricerche. Tutto ciò viene tradotto in un libro che intriga il lettore e apre gli occhi, rendendo in questo modo chiara l’implicazione della mafia nell’omicidio Kennedy.
Perché parlare di una questione a tratti così scomoda? “Questo è il paese che io amo e non sapeva la verità. Gli americani meritano di sapere la verità” Vaccara continua dicendo che le istituzioni, in realtà, la verità l’ hanno sempre saputa ma hanno anche sempre cercato di insabbiarla. La mafia, secondo l’autore, ha agito certa che non sarebbe stata punita, certa che si sarebbe messo in moto questo meccanismo di occultamento che va avanti ininterrottamente ormai dal sessantatré.
Vaccara ci lascia con un quesito irrisolto spunto per un’interessante riflessione. Arrivati a questo punto non risulta ormai tanto più importante sapere con certezza quali furono i protagonisti della vicenda del 23 Novembre 1963. Di fondamentale importanza per la nostra democrazia è invece chiedersi chi e per quale motivo abbia deciso di infangare la vicenda dell’omicidio Kennedy fino ad oggi.
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