Memorie d'Abruzzo

Emanuela Medoro (May 22, 2017)
"Nero è il cuore del papavero", è l’ultima pubblicazione di Patrizia Tocci. Il libro è stato recentemente edito da Tabula Fati con una introduzione di Paolo Rumiz. Patrizia Tocci è nata nel 1959 a Verrecchie, un paese in provincia dell’Aquila, dove è cresciuta e rimasta fino al trasferimento a Roma per l’inizio degli studi superiori. Curiosa di conoscere con precisione il luogo dei ricordi di Patrizia, ho cercato Verrecchie su google, e ho trovato che si tratta di una frazione del comune di Cappadocia, che si raggiunge da Tagliacozzo. Le immagini mostrano un gruppo di case arrampicate lungo le pendici di un monte. Svetta un campanile, sullo sfondo il monte Velino innevato.

Nero è il cuore del papavero, il nuovo libro di Patrizia Tocci, è anche il titolo di uno dei 40 capitoli che formano l’intera opera, un insieme di argomenti di vita familiare degli anni ‘60 e ricordi intimi che incomincia con Non sprecare, Le cose, Il mare, L’Ape regina… e termina con I sentieri interrotti, Stagioni, Finale.

Il filo che lega insieme i capitoli è il dolore per la perdita del padre, avvenuta dopo il sisma del 2009 che distrusse la città de L'Aquila, per cui a tratti il sentimento lacerante del dolore unisce la perdita dell’uno e dell’altra. Il padre dell’autrice era un contadino, che sapeva tutto del suo paese, natura, flora, fauna, trascorrere delle stagioni, dotato di saggezza e sapienza antiche, ricevute dagli antenati e trasmesse oralmente alle figlie. La madre, accanto a lui, appare di meno nella narrazione dell’autrice, ma si capisce benissimo la sua funzione di vigile e amorosa custode della casa.

Sono memorie d’Abruzzo, paesaggi, fiori, piante, animali, trascorrere delle stagioni, oggetti di casa richiamati in vita dalla memoria. Si tratta di una cultura che, trasmessa oralmente in ambito familiare, si fa scrittura. Una scrittura che rielabora e descrive minutamente con pazienza, amore, tenacia. La lettura di questo testo riaccende nel lettore la memoria di oggetti del vivere quotidiano, atmosfere domestiche, lavori manuali artigianali. L’arte di accendere il fuoco nel caminetto, le sedie impagliate, gli asciugamani ruvidi di lino, il gesto con cui il padre usava la vanga, il passaggio dei vestitini delle bambine dalla grande alla piccola, setacciare la farina con uno strumento rotondo, pulire le lenticchie e i legumi, il pacchetto delle sigarette nazionali, il suono della fisarmonica, l’odore della mentuccia, ecco alcuni dei vivacissimi particolari che popolano le pagine di Patrizia.

L’autrice trova un modo suo personale per esprimere ricordi e dolore per la perdita del padre in un linguaggio lirico, raffinato, colto, assai articolato. Ed è questa prosa ricca e coinvolgente, a tratti intensamente emotiva, che dà ai brani una dimensione più ampia del diario personale. La narrazione diventa una memoria collettiva, una sorta di diario di quelli che hanno vissuto l’esperienza della perdita di una persona cara e ricordano un’epoca della vita, lontana e oggi sparita per sempre.

Per concludere una piccola nota personale. Ho notato che l’autrice si rivolge al padre chiamandolo "pa", "papà", che io, di parecchio più anziana di lei, chiamavo babbo. Questa parola oggi sembrava del tutto sparita dall’uso dell’italiano, fino a tempi recentissimi, quando è stata resuscitata dalla fluviale parlantina fiorentina di un noto personaggio politico che cita “il mi babbo”.

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