L’inglese Sir Denis Mahon dedicò ingegno e beni alla pittura italiana del barocco. Fu ricercatore, studioso, collezionista di opere d’arte ed anche raffinato attribuzionista. Aveva finezza ed intuito necessari per attribuire al loro autore opere perdute, sconosciute o dimenticate. Donò le opere da lui acquistate alle più prestigiose istituzioni culturali affinché fossero a disposizione del pubblico e degli studiosi, per questo è ricordato anche come il più pubblico dei collezionisti privati.
La mostra è stata inizialmente pensata dallo stesso Denis Mahon, che nel 2009 manifestò alla Prof.ssa Mina Gregori il desiderio di festeggiare i cento anni con una raccolta dei dipinti che aveva amato nel corso della sua lunga vita. Da notare che il desiderio si realizzò, poiché morì alla veneranda età di 101 anni.
Informazioni su questa mostra sono largamente disponibili sul web. L’ho visitata come parte di un gruppo Art- club, guidato da Lavinia Lais, che, con competenza vissuta ed appassionata, ha aiutato i presenti a comprendere la complessità delle opere in esposizione: contenuti, miti, crocifissioni, santi e madonne della controriforma post tridentina, rappresentazione del paesaggio, modi espressivi, tecniche di comunicazione e significati, oltre a storie di committenza, proprietà, trasmissione e diffusione delle opere d’arte e problemi di critica, tutto questo è stato esposto con chiarezza ed efficace comunicativa. Bellissima esperienza, di cui molto mi resta negli occhi e nella mente.
Ricordo un’opera del Guercino, Venere Marte e Amore, in cui Amore lancia la sua freccia non in direzione dei protagonisti dell’opera, ma verso chi la guarda, quasi l’artista volesse dare una realtà immediata al mito creando un collegamento diretto con il mondo esterno. Stupendo il quadro di Guido Reni, Atalanta ed Ippomene, proveniente dal Museo di Capodimonte di Napoli. In quest’opera il movimento slanciato delle membra dei due protagonisti della scena, opportunamente sottolineato da una luce chiara, disegna delle geometrie nello spazio, come una sorta di danza modernissima, leggera, aerea, quasi astratta.
E poi ho notato che l’arte può nascere anche dall’orrore.
L’opera Salomè con la testa del Battista di Guido Reni, di una serenità irreale ed astratta, e la Giuditta e Oloferne di Caravaggio, questa di un realismo raccapricciante, hanno un innegabile collegamento con fatti attuali resi noti dai media. Ebbene, quelle sono opere d’arte e mi chiedo: ma veramente possiamo o dobbiamo osservarle prescindendo da ciò che rappresentano? Veramente dobbiamo farne una valutazione solo estetica, ignorando i fatti reali, oggi dimenticati, che furono della nostra civiltà, e che ci fanno orrore quando li osserviamo compiuti nel mondo degli altri? Sono un’ingenua sprovveduta, e non riesco a trovare una risposta a queste domande.