La vicenda, un giallo con un morto ammazzato e la ricerca del colpevole, è raccontata in modo scaltro ed avvincente, mettendo in sequenza il punto di vista dei personaggi. Lascia con l’amaro in bocca, senza speranza perché mostra una fetta di umanità fatta di squali e vampiri, gente priva di valori e sentimenti, dedita soltanto al denaro ed ai lussi.
Il capitalista: è il titolare di un fondo d’investimento, che promette interessi dal 30 al 40% su capitali che accetta a partire da mezzo milione di euro, che, secondo il contratto, devono costituire il 20% del patrimonio dell’investitore. Avuto un capitale di 700.000 mila euro, liquida l’investitore con un assegno di 70.000 euro, dicendo che purtroppo le cose non sono andate come previsto.
Il furbetto: un immobiliarista senza troppi scrupoli, avido di danaro e di crescita sociale crede alle promesse del capitalista, entra a contatto con lui frequentando i suoi preziosi campi da tennis. Con qualche successo nello sport riesce a costruirsi con lui un apparente rapporto di amicizia. Ed investe nel suo fondo una somma che non aveva, presa in prestito da una banca.
La moglie del capitalista: da giovane ebbe qualche aspirazione artistica e fece delle esperienze di attrice di teatro. Abbandonò l’arte per sposare il capitalista.
Lo scrittore e regista teatrale: la moglie del capitalista prende un vecchio teatro abbandonato, con l illusione di riportarlo all’attività originale. Entra in contatto con un teatrante da strapazzo, con cui intreccia una relazione, illudendosi di poter diventare un’attrice professionista. Quando i locali del teatro vengono destinati a diventare appartamenti, lui la scarica malamente, togliendole ogni illusione.
Il figlio del capitalista: giovanissimo, alcolizzato.
La figlia del furbetto: in cerca della sua felicità, frequenta tipi poco raccomandabili. Tralascio volutamente di parlare di un amico di quest’ultima, per non svelare il finale. La storia prende il titolo da lui.
Ambiente: la Brianza, ville eleganti e strade perfette, prati e macchine importanti, campi da tennis e piscine. Potrebbe essere qualunque altro luogo abitato da ricchi, in Italia o nel resto del mondo.
Un amaro ritratto del capitalismo nell’Italia di oggi che non ha bisogno di commenti.
Protagonista una terrazza da sogno, ampia e circondata da ricca vegetazione, affacciata direttamente sul Colosseo, arredata come un salotto pregiato, unico al mondo, frequentata da un ristretto gruppo di intellettuali ed eccentrici di varia provenienza.
Tra questi spicca il protagonista. Jep Gambardella, interpretato da Tony Servillo, è un uomo sulla sessantina, che vive della rendita fornita dal successo di un suo unico romanzo, che a suo tempo fu un successo, mai più ripetuto, assorbito l’autore dalla voluttà di una sorta di dolce vita romana dei nostri giorni, fatta di cinismo e saggezza, ma, soprattutto, di pigrizia, una pigrizia invincibile, nutrita dal clima mite ed assolato e dai tramonti spettacolari che tingono cupole e campanili.
Simile a lui un commediografo interpretato da Carlo Verdone, con i baffi questa volta, che deluso ed inaridito dalla sua Roma superficiale e vuota, se ne torna al paesello natio, abbandonando teatri ed amici. Spicca tra i protagonisti anche un principe della chiesa, un cardinale vecchio e cinico, assiduo frequentatore di nobiltà ed intellettuali, dalla oscura fama di esorcista, esperto di riti per scacciare Satana. Una donna ultracentenaria in fama di santità rappresenta la chiesa di base, quella vicina ai più sventurati del mondo: “La povertà si vive, non si racconta”, sussurra lentamente a chi le chiede di narrare le sue esperienze. La folla è composta da gente della più variegata provenienza sociale, spiccano uomini e donne di mezza età alla ricerca patetica dei piaceri e delle emozioni della giovinezza perduta. E’ rappresentata a lungo e lentamente durante gli sballi notturni, volti e trucchi disfatti, corpi sudati si agitano senza posa.
Secondo me il film è da vedere non tanto per questi protagonisti, tutto sommato tristi e deprimenti, lontani dalla quotidianità della buona borghesia romana professionale e laboriosa, quanto perché porta alla luce luoghi meravigliosi, interni ed esterni, chiusi, proibiti a visitatori e romani. Dimore principesche, parchi circondati da rovine di epoca imperiale, piscine, statue, pitture, ornamenti, architetture contemporanee sovrapposte a quelle classiche, tutto abilmente celato dietro mura insuperabili.
Vengono delle domande a proposito dei pochi abitanti di queste favolose dimore, ora che i comunisti non ci sono più e che in parallelo non esiste più neppure l’unità politica dei cattolici, che potere hanno? Politico, finanziario, economico? Che fanno? Che valori sostengono? Dove trovano la loro ragione di vita? Misteri oscuri di Roma. Bellissima ed eterna.
“Ho acquistato un senso dell’appartenenza che non avevo mai sentito”, “non siamo buoni né a ricostruire né a protestare”. Due delle tante frasi colte durante lo spettacolo di cine-teatro “Aquilane, voci e visioni da una città dispersa” messo in scena a Monticchio, Gran Teatro Parco delle Arti, domenica 19 maggio 2013. Lo spettacolo è stato pensato e realizzato da associazioni aquilane che operano nel campo dello spettacolo: Animammersa, Big Sur, Officina Visioni in collaborazione con la Società “B. Barattelli”. E’ uno spettacolo coinvolgente, commovente, fatto fondendo varie tecniche comunicative: parola, musica e immagini.
Mi pare dunque doveroso ripensare a qualche aspetto della recente storia aquilana da cui questo spettacolo germoglia. Subito dopo la fine della guerra, dal 1945 ad oggi, a L’Aquila c’è stato un fiorire di iniziative a carattere culturale, che hanno portato alla nascita della Società dei Concerti intitolata a Bonaventura Barattelli, seguita da tante altre istituzioni nate nel campo musicale, quali il Conservatorio “Casella”, I Solisti Aquilani e l’Istituzione Sinfonica Abruzzese.
Nel campo delle arti figurative, dall’esperienza e dall’opera di tanti artisti aquilani, sono nate l’Accademia delle Belle Arti, l’Accademia dell’ Immagine. Inoltre sono nati ed operano, nonostante tante difficoltà, il Teatro l’Uovo ed il Teatro Zeta che hanno svelato ed insegnato i segreti del palcoscenico a tanti giovani aquilani. Tutto ciò mentre l’Università degli Studi statale, motore di attività di ricerca in campo umanistico e scientifico, fioriva e cresceva per numero di studenti e qualità dell’ offerta formativa.
E’ da questo fertile, ricchissimo ed operoso terreno di ricerca ed impegno culturale che nasce uno spettacolo come “Aquilane”. Ha ripercorso tutta la vicenda del sisma e del dopo sisma, fondendo esperienze teatrali, cinematografiche e musicali.
Partendo dalla rappresentazione delle macerie materiali ed umane di quella notte, passa a rappresentarne il seguito, puntando l’attenzione sul progetto C.A.S.E., che, dando un’abitazione provvisoria/permanente a molti, ha di fatto dimenticato nell’abbandono totale il vecchio centro storico.
E’ un progetto alternativo e sostitutivo della sua ricostruzione che rende difficilissimo, e forse per molti impossibile, il ritorno alle case d’origine, quelle vere. Dunque ecco nascere sentimenti di appartenenza alla comunità forse prima ignorati o meno sentiti, e desideri di protesta, mai espressi del tutto e sempre da una sola parte della popolazione. Non dimentichiamo che ancora oggi c’è chi dice che L’Aquila, nella sua tragedia, ha avuto molto, forse troppo, volutamente ignorando l’opinione di chi avrebbe preferito minori spese per il provvisorio e un maggiore ed immediato impegno per il centro storico.
Dunque questo spettacolo è una bellissima ed efficace espressione dell’aquilanità verace, fatta di cultura antica e recente, coltivata e praticata con passione da tanti, ieri ed oggi, e che trova tecniche, competenze ed abilità per esprimere la difficilissima realtà ed i sentimenti di oggi, nella bellezza dell’arte. Bellissimo, un ottimo motivo in più per la partecipazione dell’Aquila al concorso di capitale della cultura ’19, sfida quasi impossibile, vista la concorrenza delle altre città aspiranti al titolo, ma fortemente stimolante, per tutti quelli che amano mettersi in gioco per trasformare sogni in realtà.
Il 20 luglio 2011, nel Century Movie di Aurora, CO si dava la prima del film the Dark Knight Rises, della serie di Batman. Ci fu una strage con 12 morti e 58 feriti, fatta da un uomo che diceva di essere Joker. Da questo tragico episodio prende spunto il libro, Batman e Joker, volti e maschere dell’America, di Giuseppe Sacco, Sankara ed. Roma, 238 pagine, che propone una storia politica del cinema americano.
L’autore, professore ordinario di relazioni internazionali, svolge attività di giornalista ed ha lavorato a Parigi ed al MIT. Attraverso l’analisi dell’evoluzione del personaggio principale, i suoi rapporti con gli antagonisti, l’autore narra tutti i cambiamenti dell’America di oggi, a partire dal 1989, anno in cui fu fatto il primo film della serie. Le parole che appaiono nel titolo del libro, volti e maschere, indicano il punto di vista attraverso cui l’autore esplora le storie di Batman. Egli ricerca la differenza fra ciò che appare e ciò che in realtà è ed è stata l’America ed il mondo occidentale in generale, ne osserva e descrive la complessità, i molteplici aspetti ed i rapidi cambiamenti del male da combattere: corruzione diffusa, traffici illeciti, attività che distruggono l’ecosistema, terrorismo interno ed esterno.
I capitoli del libro seguono la successione della produzione dei film. I primi film di Batman furono fatti ad Hollywood per la regia di Tim Burton e Joel Schumacher. A partire dal 2005, sono stati realizzati in Inghilterra per la regia di Paul Nolan. Da notare che le storie dei film non hanno un solo autore, sono create e sviluppate da vari scrittori e disegnatori di fumetti. Nati come film d’intrattenimento o di svago, con immagini, movimento, musica ed azione offrono storie ambientate a Gotham City, immagine simbolo dell’America, nello scorrere delle epoche segnate dalle presidenze Reagan, Clinton, Bush ed Obama. Difficile quindi sintetizzare tutte le trasformazioni ed i complessi aspetti dei personaggi e delle vicende narrate, per cui riporto a grandi linee notizie sui protagonisti dei film.
Batman con un infanzia difficile, prima precipitato nel pozzo del pipistrelli, poi spettatore dell’assassinio dei suoi genitori, eredita una fortuna, fatta di danaro e tecnologia avveniristica. Vive di giorno una vita lussuosa e si trasforma di notte in una specie di crociato combattente per l’ordine e la legalità a Gotham City, dove prosperano malavita, corruzione e traffici illeciti.
Joker, il primo dei suoi nemici, un capobanda criminale, è, nei primi film, una specie di psicopatico masochista, metà delinquente e metà istrione con ambizioni politiche spontanee ed innate, vuole essere riconosciuto dalla società come leader, ed avere la sua faccia stampata sul biglietto da un dollaro. Successivamente diventa un eversivo, fautore del caos.
Cito anche, perché di grande attualità, il personaggio Harvey Dent, una figura fragile, l’onesto magistrato eletto che diventa Harvey Two- face, nello scontro con la realtà che delude le sue speranze di un mondo migliore a Gotham City. Bruce Wayne riassume in una frase il suo destino: “Uno può morire da eroe; o vivere abbastanza a lungo da passare dall’altro lato.”
A loro si uniscono altri personaggi maschili e femminili necessari alla dinamica delle storie. Da notare che con il passare del tempo ed i cambiamenti di regia le caratteristiche dei personaggi mutano profondamente.
Fra le tante ed acute osservazioni del libro, ne riporto una che mi sembra particolarmente interessante per capire l’orgoglio patriottico americano. Bruce Wayne/Batman ritiene di essere legittimato nelle sue imprese notturne dal dolore, ha conosciuto violenza e crudeltà, e quindi ritiene di aver acquisito un’umanità superiore che gli consente di riconoscere e di poter combattere il male. L’autore G. Sacco collega questo aspetto della personalità di Batman con la storia dell’America. Ancora oggi, infatti, alcuni gruppi di protestanti sono convinti di possedere la formula di una società moralmente superiore perché essa fu creata da uomini che avevano sofferto in Inghilterra ed in Europa per l’oppressione religiosa e sociale e che furono profondamente rinnovati dalla dura traversata dell’Atlantico, assimilata al passaggio del Mar Rosso di Mosè e degli Ebrei, verso la terra promessa.
Riporto poi l’idea fondamentale del film Batman Forever, pagg. 92,93, di particolare attualità in Italia: “… la minaccia è rappresentata in primo luogo dalla videocrazia, come frutto della convergenza tra ricchezza privata e crescita esplosiva del potere che viene dal progresso dell’industria delle telecomunicazioni. Operando di concerto, se non riuniti nelle stesse mani, danaro e potere mediatico rischiano di mettere in ginocchio e rendere impossibile l’esistenza di qualsiasi società fondata sul consenso democratico informato, ed in generale sulla possibilità di ciascuno di pensare con la propria testa.”
Il libro arricchisce la nostra conoscenza del pianeta America, dei delicati e complessi meccanismi interni dei sistemi democratici, sottolinea anche le profonde differenze culturali col mondo anglo-sassone europeo. Interessante ed utile, dunque, non solo per gli affezionati lettori di fumetti e spettatori dei film di Batman ed il suo stuolo di nemici da battere, ma anche per chi, come me, allergica ai pipistrelli, non li ha mai visti.
Human rights based medicine, medicina fondata sui diritti umani.
Durante l’incontro tenuto il 6 settembre 2012 nel megatendone di Emergency, esteso su tutta Piazza Duomo, 1000 posti a sedere, Cecilia Strada ha ampiamente spiegato di che si tratta. È un elementare concetto di democrazia, applicato alla medicina: un ospedale dove tutti, ricchi e poveri possano ricevere le stesse cure, a livello di eccellenza. Niente cliniche private, niente viaggi della speranza.
Siamo ad un concetto, ad un sogno o qualcosa di simile, che è l’esatto opposto dell’idea di medicina spiegata, per esempio, dai repubblicani americani durante le campagne elettorali. Estendono il concetto di libero mercato, fondamento di tutte le loro tradizioni culturali, politiche e sociali iper liberiste, anche alla medicina, sostenendo che l’ammalato deve poter scegliere le cure necessarie nel libero mercato della salute, senza nessuna forma di intervento dello stato a tutela del diritto alla salute.
Insomma, nella loro logica, chi paga di più è curato meglio. A tanta gente non resta che fare i conti con il bilancio personale prima di decidere se, come e quando curarsi.
Fuori di questa ottica, non solo nelle parole, ma nei fatti, il progetto Emergency dei Polibus. Riporto le notizie seguenti dall’articolo di Simonetta Gola, pubblicato sulla rivista di Emergency in distribuzione in piazza.
Due pullman , trasformati in ambulatori portano assistenza sanitaria a chi non ha la possibilità di essere curato. “Offrono cure mediche a migliaia di invisibili: uomini e donne che lavorano e vivono in condizioni disumane, a volte senz’acqua, a volte senza un tetto, spesso senza speranze, sempre senza diritti.” (Cecilia Strada). Sono nati perché dal 2006 a oggi i bisogni delle fasce più deboli della popolazione sono cresciuti: una cultura politica improntata all'esclusione e tagli sempre più consistenti alla spesa pubblica hanno messo in discussione anche i diritti fondamentali.”
La scorsa estate i Polibus hanno operato negli aranceti di Rosarno, tra i nomadi di Arpinova, nel campo profughi di Manduria, dove uomini e donne vivono “in condizioni vicinissime alla schiavitù ed emarginati senza diritti”. Ora sono in Emilia, perché è lì che n’è più bisogno.
Diritti. Di diritti negati se ne è parlato a lungo sotto il megatendone di Piazza Duomo, da tanti punti di vista. Presenti relatori di diversa cultura e diverse esperienze: Cecilia Strada, Giancarlo Caselli, Maurizio Landini, Vauro , don Pino de Masi, ed il sindaco Massimo Cialente, coordinati da Corradino Mineo.
Sono stati elencati: diritto alla salute, diritto al lavoro, diritto all'istruzione, diritto al cibo, al gioco. Diritto di sognare, per i più giovani ed anche per i meno giovani, perché no? Un sogno da realizzare può diventare una ragione di vita. A qualunque età.
Fa piacere sentir rispuntare fuori la parola diritti, dopo tanto sentir parlare di competizione, globalizzazione e profitti. Se ne parlava di diritti, qualche decennio fa, nel dopo sessantotto.
Purtroppo, anni di bombe, stragi e morti ammazzati senza colpevoli. Per cui di diritti, soprattutto di quelli dei lavoratori, ad un certo punto non se ne è parlato più, sono diventati un qualcosa di fastidioso, meglio non pensarci, generano polemiche feroci. Oggi la parola rispunta fuori, con tanta forza e tanta rabbia. Rinasce dalla eccessiva concentrazione di potere economico, politico e finanziario in pochissime mani, dall’eccesso di tagli della spesa pubblica, pudicamente (o furbamente?) chiamati spending review, dalla crescita di eccessive differenze economiche, dalla diffusione crescente della povertà, dal forte impoverimento delle classi medie lavoratrici. Negli anni ’50 erano poveri quelli senza lavoro, oggi sono poveri anche quelli che lavorano, un lavoro solo non basta più per tirare avanti, e spesso neppure due.
Ondate di applausi calorosi dal pubblico presente, tanti volontari di Emergency provenienti da tutta Italia, ed anche un po’ di aquilani.