Saviano. Il disastro non lo ha creato lui

Gennaro Matino (February 24, 2019)
Raccontare il malaffare è il mestiere di questo scrittore, è quello che per avventura o missione si è scelto, consapevolmente o meno, diventando icona del racconto di un segmento di vita del meridione, specialmente di Napoli, che si chiama camorra e lo ha fatto così bene da mettere a rischio la sua stessa vita. Certo Saviano deve le sue fortune alla descrizione di un disastro, ma il disastro non lo ha creato lui. Il suo mestiere è quello di raccontare, può piacere o meno, lo sa fare bene.

Saviano, "La paranza dei bambini", la camorra, Napoli. Rieccoci, si è riaperta la caccia all'untore, se mai si è chiusa: Roberto reo di sporcare il buon nome della città. Che sia antipatico, che lo sia diventato a tanti non è un mistero, che lo scrittore di "Gomorra" porti sulle spalle l'etichetta di chi tradisce il proprio sangue per far cassetta è ormai un refrain. Mette d'accordo quasi tutti, da de Magistris che afferma: "Più si spara, più cresce la tua impresa. Non posso credere che il tuo successo cresca con gli spari della camorra". E ancora: "Dice bugie e ci guadagna".

A Salvini, che paventa di togliergli la scorta, applaudito e incoraggiato da più di una piazza che forse teme Saviano, più che da scrittore, quale ultima opposizione politica al ministro sceriffo. È antipatico Roberto, non è un mistero, sa di esserlo dovendo andare contro corrente, si fa personaggio, coltiva il suo spazio nel quale sa navigare come nessun altro, conosce la materia, la pratica, la racconta e come chiunque si metta fuori dal coro, dopo aver scoperchiato una cloaca, se ne porta addosso per sempre gli insopportabili miasmi. Solo a vederlo ricorda quello che racconta, quello che ha scritto.
 

Bastano i suoi occhi per suscitare qualche ammirazione, parecchia irritazione. E questo si chiama successo che per durare, per poter essere spendibile, ha bisogno di essere credibile nel tempo, di sostenere l'onda contraria della critica, dell'offesa, della calunnia, del negazionismo, soprattutto quando la materia che si dispone come argomento del proprio successo è cosa tanto delicata perché smaschera la politica parolaia, sveste convenzioni e ritmi consolidati, descrive complicità e corruttele, mette a nudo sistemi malavitosi e paracriminali. Soprattutto rimanda alle troppe complicità diffuse, forse di un'intera collettività, che per troppo tempo non ha voluto vedere e che ancora oggi fa fatica a cacciare la testa fuori dalla sabbia.

Raccontare il malaffare è il mestiere di questo scrittore, è quello che per avventura o missione si è scelto, consapevolmente o meno, diventando icona del racconto di un segmento di vita del meridione, specialmente di Napoli, che si chiama camorra e lo ha fatto così bene da mettere a rischio la sua stessa vita. Saviano è diventato un problema per quel sistema camorristico che vorrebbe eleminarlo, provocando spazi di lotta a quel sistema che la politica, prima della sua denuncia, non aveva mai preso veramente sul serio.

E ora il festival di Berlino, il nuovo film, il libro sulla "Paranza", sui tanti giovanissimi che trovano facile guadagno e morte prematura nell'esercizio di efferati crimini, e il film che denuncia un Sud dove ormai solo la mafia crede nei ragazzi e li valorizza, apriti cielo! Roberto la spara grossa, lo deve fare, è parte del personaggio, ma sa anche lui che in quel paradosso, "solo la camorra crede nei ragazzi", non si ignora, non si nega che quotidianamente ci sia chi getta il sangue per dare dignità ai figli più giovani della nostra terra, che siano genitori, insegnanti, preti, volontari, magistrati e tantissimi altri. Non si dimenticano i tantissimi giovani che, diversamente dalle scelte criminali dei tanti coetanei, perseguono con fatica e tenacia la strada dell'onestà, ma si lancia una sfida di diversa civiltà, usando la durezza delle parole che solo se gridate, se arrivano come uno schiaffo, possono, e non è detto che lo faranno, svegliare i poteri complici del degrado che in doppiopetto giornaliero si danno più da fare a combattere Saviano che la camorra.

Ma Napoli non è solo quella raccontata da Saviano, si affretta a ricordare qualcuno. E ci mancherebbe. Ma perché chiedere a Saviano di raccontare l'altra Napoli, altri lo fanno già così bene, la sua è narrazione di un fatto che se è vero, se fa parte del quotidiano vivere di questa città, ha dignità di cronaca.
Ne va del buon nome della città? E i delitti quotidiani che in essa si consumano, quelli non le tolgono valore, non le sporcano la reputazione? Saviano dice il vero o si è inventato tutto? Questa è la sola domanda seria. La sua fortuna è stata costruita sulla ricerca di fatti, nella descrizione di un costume, di una cultura o semplice prodotto di fantasia ad uso di sprovveduti? Da qualche parte è scritto che nella verità c'è libertà.

Certo Saviano deve le sue fortune alla descrizione di un disastro, ma il disastro non lo ha creato lui. Il suo mestiere è quello di raccontare, può piacere o meno, lo sa fare bene. E da quel racconto si evince che anche la camorra sa fare bene il suo mestiere, anzi fin troppo bene. Purtroppo si evince anche che chi invece dovrebbe organizzare diversa speranza con una nuova visione politica, il suo lavoro non lo sa fare, trova più comodo prendersela con Saviano.

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