Mauro Pagani porta "l'universo De Andrè" nel Queens. Intervista con il musicista

Maria Rita Latto (November 14, 2008)
L'artista, che collaborò con De Andrè dal 1984 per la produzione di "Crueza de Ma", si esibirà questa domenica nel Queens in un concerto gratuito organizzato ed offerto dal Consolato Italiano. Proporrà al pubblico una scaletta dei brani più celebri del cantautore genovese

Questa settimana a New York ci sarà un evento da non perdere. Il 16 novembre alle 5:30 pm, al teatro della Christ the King High School nel Queens il Consolato Italiano offrirà un concerto totalmente gratuito per ricordare e  far conoscere anche negli Stati Uniti Fabrizio De Andrè, grande artista italiano scomparso quasi dieci anni fa, l’11 gennaio 1999.

I brani saranno interpretati da Mauro Pagani, amico e collaboratore di De Andrè, nonché musicista versatile capace di passare dal rock degli anni '70, alla musica popolare ed etnica.

Fondatore con Franco Mussida, Franz Di Cioccio e Flavio Premoli della Premiata Forneria Marconi, “mitico” gruppo degli anni Settanta, col tempo Mauro Pagani ha lavorato per molti nomi famosi della musica italiana tra cui, appunto, il cantautore genovese.

A dire il vero, definire De Andrè solo “cantautore” è riduttivo, dal momento che da anni ormai, sulle antologie delle scuole medie e superiori italiane vengono riportati i testi delle sue canzoni più famose, come “Via del Campo” o “Bocca di rosa”, vere e proprie poesie. Sin dagli esordi della sua carriera, nel 1958, De Andrè si è rivelato come un artista teso ad andare a fondo, alla scoperta dell’essenza della realtà umana fatta spesso di tristezza, fragilità, miseria. Nelle sue ballate sospese tra mito e realtà ha rivoluzionato quelli che erano i canoni della canzone italiana tradizionale. Il mondo di De Andrè è sempre stato un universo popolato di emarginati, derelitti, prostitute, anime perse. Tutti perdenti che si trovano a fronteggiare in una lotta impari l’arroganza del potere, i benpensanti, i farisei.

Un universo che trova ispirazione nelle ballate medievali, ma anche nei canti dei pastori sardi, nell’Antologia di Spoon River, in Baudelaire e tanti altri. Un mondo descritto in maniera ironica, dissacrante, andando contro tutte le convenzioni. Mario Luzi, uno dei

maggiori poeti italiani del Novecento, ha detto: “De Andrè è veramente lo chansonnier per eccellenza, un artista che si realizza proprio nell’intertestualità tra testo letterario e testo musicale. Ha una storia e morde davvero”. Ed infatti, come per il testo, anche la sua evoluzione musicale è sempre tesa alla ricerca, alla sperimentazione, al nuovo, mai disposta a cedere alle mode in voga. 

Ho fatto alcune domande via e-mail ad un Mauro Pagani in partenza per New York e gli ho chiesto di raccontare il “suo” De Andrè, come si sono conosciuti e come si è sviluppata nel tempo la loro amicizia e collaborazione:

"Il mio primo incontro con Fabrizio De Andrè risale al 1970 ed è stato assolutamente fugace e casuale. Mi ero appena unito professionalmente a un gruppo di bravissimi musicisti, con i quali pochi mesi più tardi avrei fondato la P.F.M.,i quali a quel tempo prestavano spesso la loro opera in qualità di turnisti di sala di registrazione. Proprio in quei giorni del 1970 andai a trovarli negli studi della Ricordi dove erano stati chiamati a partecipare alle sessioni di registrazione per il disco La Buona Novella di Fabrizio. Fu un incontro breve e di poche parole, ma allo stesso tempo l’inizio di un rapporto che si sarebbe consolidato negli anni. Fino al 1981 non ci incontrammo praticamente più, almeno fino a quando non ci trovammo di nuovo casualmente in uno studio di registrazione, questa volta agli Stone Castle Studios di Carimate, dove lui stava registrando L’Indiano e io la colonna sonora del primo film di Gabriele Salvatores, Sogno di una notte d’estate, tratto dall’omonima commedia di W. Shakespeare. In quell’occasione mi invitò a partecipare in qualità di musicista alle suetournée: nacque così un rapporto destinato a durare 14 anni!"

 Inevitabile la domanda a Pagani: quando vi siete resi conto che Creuza de ma avrebbe rappresentato una chiave di volta nella musica italiana?

 Almeno un paio di anni dopo la sua pubblicazione, di fronte all’ incredibile successo di critica e allo stupefacente numero di riconoscimenti e premi che aveva collezionato.
 

Qual’è l’eredità artistica e culturale di Fabrizio De Andrè?

 La capacità di raccontare con una grazia e una leggerezza senza pari i sogni, le contraddizioni e le qualità più profonde della gente comune, senza mai banalizzare o giudicare.

 Nel 2004 lei ha realizzato una rivisitazione per il ventennale di Creuza de ma. Come è nata questa idea?

 Quando nel 1984 realizzammo il disco avevamo la certezza e la giustificata aspirazione di far parte di quel meraviglioso e sconfinato bacino culturale che è il Mediterraneo. Ascoltavamo da anni musica turca, greca, nordafricana, ne divoravamo la poesia e condividevamo le aspirazioni. Ma, in realtà con pochi musicisti provenienti da quell’area geografica avevamo scambi, rapporti o conoscenze dirette. Quindi, siamo stati costretti a realizzare un disco che più che un vero viaggio era un sogno, una sorta di romanzo d’avventure dove tutto era immaginato e tratteggiato a matita sulla base di ascolti e letture. A vent’anni di distanza mi è sembrato fosse arrivato il momento di trasformare quel sogno in un viaggio vero, popolato di personaggi reali e non inventati, di voci del magreb, di percussionisti e clarinettisti turchi e persiani.

  L’11 gennaio 2009 saranno dieci anni che Fabrizio De Andrè se n’è andato. Durante questi anni ci sono stati dei momenti in cui ha avvertito di più la sua mancanza? 

 In 14 anni di lavoro quotidiano fianco a fianco si diventa amici, complici e compagni di viaggio. Così quando un amico se ne va ti manca ogni giorno in qualche modo, ti mancano le sue battute, la sua intelligenza e il suo affetto.

 A Milano ha aperto le “Officine Meccaniche”, una nuova etichetta nonchè studio di registrazione che in pochi anni è diventato anche luogo di aggregazione per i musicisti. Come vede il futuro della musica italiana, in una società come la nostra sempre più multiculturale?
 

Mi aspetto e sogno che la musica italiana diventi sempre più “italiana” con un’ identità e un suono forti e inconfondibili; che sempre meno scimmiotti le produzioni straniere e allo stesso tempo raggiunga un livello di professionalità tale da poter competere alla pari con chiunque e ritagliarsi finalmente un posto stabile nel mercato mondiale. Perché le contaminazioni generino novità e non tristi scopiazzature bisogna avere la curiosità, il coraggio e la personalità di chi ha molto da offrire e non solo molto da prendere.
 
 
Insomma, un'occasione da non perdere, un omaggio doveroso ad un artista unico, un viaggio attraverso la musica immortale di Fabrizio De Andrè pronta ad incantare New York con suoni e atmosfere ricreati sapientemente dal grande Mauro Pagani.  
 
 

 
Il concerto di domenica sara' preceduto da un'anteprima all'Istituto di Cultura Italiana (686 Park Avenue, NYC). il 14 novembre alle ore 18.

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