Articles by: Antonello Lamanna

  • Enrico Rava, Tomasz Stanko e Reuben Rogers
    Arte e Cultura

    Umbria Jazz: un omaggio italiano a “Dizzy" Gillespie

    Dopo l’omaggio a Duke Ellington il nuovo progetto di Fabrizio Bosso celebra la figura monumentale che il Festival di Perugia ha avuto la fortuna di ospitarlo più volte nelle sue prime edizioni. Per il suo omaggio a Dizzy, in scena in prima assoluta a Umbria Jazz, Bosso ha scelto la dimensione orchestrale piuttosto che quella delle piccole formazioni. Nella sua carriera, infatti, Gillespie militò in molte orchestre che scrissero la storia del jazz: Cab Calloway, Lionel Hampton, Earl Hines, Billy Eckstine, più le numerose big band a suo nome.

    Sul palco dell’Arena S. Giuliana, dunque, sale un quartetto di tutto rispetto. Insieme a Bosso Julian Oliver Mazzariello al pianoforte; Jacopo Ferrazza al contrabbasso e Nicola Angelucci alla batteria e Il Paolo Silvestri Ensemble, composto da Fernando Brusco e Claudio Corvini, Sergio Vitale alle trombe, Mario Corvini ed Enzo De Rosa al Trombone, Gianni Oddi al sax alto, Michele Polga al sax tenore e soprano, Marco Guidolotti al sax baritono e Alessandro Tomei, al sassofono e flauto. Un consolidato sodalizio quello tra tra Bosso e Silvestri, nato intorno al 2007, data in cui usciì uno dei dischi importanti di Bosso: “You ‘ve Changed” in quartetto con una sezione di tredici archi magistralmente arrangiati da Silvestri, con alcuni ospiti come Stefano di Battista, Bebo Ferra, Dianne Reeves e Sergio Cammariere, al quale deve l’ingresso nel mondo del pop e la sua prima apparizione al festival di Sanremo. 

    Una formazione già abituata a dialogare con una forte empatia stilistica e distante da certe scelte sperimentali, ma sempre legata ad una sonorità più moderna. Sul repertorio la scelta è ricaduta sulle melodie corali, sulle conversazioni raffinate e coinvolgenti, capaci ancora di marcare quei sottili confini di cui tanto amava “Dizzy”. 

    Le trombe protagoniste anche nel primo set con il quintetto di Enrico Rava e Tomasz Stanko; la formazione a guida italo-polacca era completato da Giovanni Guidi, abituale pianista di Rava, e dalla sezione ritmica americana del quartetto di Stanko, il batterista Gerald Cleaver e il contrabbassista Reuben Rogers.

    “European trumpet legends” è la sigla con cui si è presentato il quintetto, inedito, costituito da Rava e Stanko. E la definizione non è esagerata perché siamo in presenza di due artisti carismatici del jazz europeo. I due trombettisti appartengono alla generazione che ha contribuito alla completa e definitiva maturità del jazz nel vecchio continente favorendone la emancipazione dai fino allora egemoni modelli americani.

    Rava ed il trombettista polacco hanno in comune anche l’aver inciso numerose volte per la Ecm di Manfred Eicher e di aver fatto parte negli Anni 70 della famosa Globe Unity Orchestra fondata da Alexander von Schlipplenbach, sigla che metteva insieme i migliori talenti europei per liberarne la creatività e superare i consueti schemi delle orchestre jazz. Rava ha voluto che il pianista fosse Giovanni Guidi, e Stanko ha portato con sé la sezione ritmica del suo quartetto “americano”, Reuben Rogers e Gerald Cle­­aver.

  • Umbria Jazz 2017 – Raffaele Casarano, Gaetano Curreri, Giuliano Sangiorgi, Gino Paoli, Vanessa Tagliabue Yorke
    Fatti e Storie

    Umbria Jazz: omaggio a Luigi Tenco e alla musica d’autore italiana 

    Un percorso di quasi 4 ore quello del main stage dell’Arena di S. Giuliana che Umbria Jazz ha dedicato a Tenco, nel cinquantesimo anniversario della morte, e più in generale alla canzone d'autore italiana, che con il suo enorme patrimonio ha contribuito a creare una sorta di “via nazionale” del jazz italiano. Si tratta di un’ulteriore tappa dell’incrocio tra i musicisti del jazz e i cantautori che il festival sta esplorando, soprattutto negli anni più recenti, con spettacoli di grande successo e nello stesso tempo di grande spessore. Il concerto dedicato alla canzone d’autore italiana ha calcato l’onda della sperimentazione già avvenuta nell'ultima edizione di Umbria Jazz Winter, con il concerto di apertura di Paolo Fresu e Gaetano Curreri, voce degli Stadio, che aveva come tema "Il jazz di Fabrizio De André e Lucio Dalla".

    Il tema viene ripreso e sviluppato, assieme ad altri, anche in questo momento speciale di Umbria Jazz. La serata si è alternata con diversi cambi sul palco: il consolidato duo Gino Paoli-Rea, la solida e collaudata collaborazione di Fresu e Curreri con Raffaele Casarano e Fabrizio Foschini, Ottolini con la sua band e l’orchestra, ancora Fresu con Mirko Signorile al pianoforte e Giuliano Sangiorgi, voce dei Negramaro, che fa il suo esordio al Festival. E non sono mancati i grandi maestri della canzone italiana celebrati nell’omaggio a Tenco: Fabrizio De Andrè, Lucio Dalla, Umberto Bindi, Domenico Modugno, Sergio Endrigo, Lucio Battisti.

    Ad aprire la serata gli assoli intrisi d’arte oratoria del pianista Danilo Rea che ha regalato al pubblico canzoni come “Il pescatore” e “Bocca di rosa” di Fabrizio de André. E bastano pochi accenni di pianoforte per intuire l’entrata sul palco di Gino Paoli con “Vedrai, vedrai” e “Mi sono innamorato di te”, che, dopo Luigi Tenco, passa ai suoi cavalli di battaglia come “Sapore di sale”, “La gatta”, “Senza fine” e “Una lunga storia d’amore“. Paoli con “Un cielo in una stanza” inizia a duettare con Giuliano Sangiorgi dei Negramaro, accompagnato dai suoni stile del trombettista Paolo Fresu. Le luci poi si orientano sul leader dei Negramaro che, con chitarra e voce, interpreta “Tu si ‘na cosa grande”, celebre canzone di Modugno. Ma nella lunga song list si spazia ancora dal classico di Sergio Endrigo “Io che amo solo te” ad “Amore che vieni, amore che vai” di Fabrizio de André. Duetto finale di Sangiorgi con il suo pezzo forte “Solo per te” con Paolo Fresu.

    Altro cambio di scena con Gaetano Curreri degli Stadio insieme a Fresu, con “Il pescatore”, di Fabrizio De André. Raccontando del suo legame con Dalla, Curreri ha proposto “La sera dei miracoli” e a seguire “Canzone dell’amore perduto” di De André, fino all’intramontabile “Anna e Marco” di Dalla. Non è mancato un omaggio a Vasco Rossi con “E dimmi che non vuoi morire”, una canzone scritta da Vasco e Curreri e interpretata dalla “divina” Patty Pravo al Festival di Sanremo 1997.

    Con “Piazza grande” di Dalla, Curreri lascia Ottolini sul palco con la sua band formata da Roberto De Nittis – piano – Stefano Menato – sax e clarinetto – Riccardo Di Vinci – contrabbasso – Paolo Mappa – batteria – insieme all’orchestra da Camera di Perugia, composta da una trentina di elementi e voci soliste, come Vanessa Tagliabue Yorke, Kento & DJ Fuzzten, Bocephus King. Le atmosfere e gli arrangiamenti jazz si assaporano per tutti i brani proposti, da “Quasi sera” di Tenco a “Il pescatore” di De Andrè.

    L’ultima parte del concerto che ha deliziato il pubblico dell’Arena fino a tarda notte è spettata al maestro Ottolini, l’artigiano dell'improvvisazione e degli arrangiamenti insoliti che è riuscito a diluire nei brani di Tenco come “Un giorno dopo l’altro” “Una brava ragazza” e a creare un’ottima sintonia canora tra Sangiorgi e Curreri. “Ciao amore, ciao”, il celebre brano interpretato nel 1967 sul palco di Sanremo da Luigi Tenco, è stato scelto come Il gran finale corale con tutti gli artisti della serata e per chiudere il live dedicato a Tenco.

  • Arte e Cultura

    Tre pianisti per L'Aquila: all'Umbria Jazz Festival in scena la solidarietà

    Tre pianoforti per l’Aquila” è il progetto ideato dai tre talentuosi Mirko Signorile, Giovanni Guidi, e Claudio Filippini, che con un tour hanno voluto mantenere viva l’attenzione sui bisogni della città, in particolare modo su quelli culturali.

    E così anche la tappa di Umbria Jazz ha contribuito a raccogliere fondi per finanziare l’acquisto di un pianoforte a coda per il Conservatorio musicale “Alfredo Casella” dell’Aquila, perché – il messaggio dei musicisti è proprio questo – la cultura è assolutamente necessaria per costruire e ricostruire. E ancora di più la musica, di cui il pianoforte è simbolo.

    Specialmente se a convincere il pubblico sono stati dei pianisti che hanno unito i loro percorsi artistici e interpretativi per realizzare un concerto che è riuscito ad indagare gli spazi sonori dell’improvvisazione, tra cover e nuove composizioni.

    Nella platea del settecentesco teatro perugino, la sensazione dominante era di trovarsi di fronte a una forte intesa, e più volte si è avuta l’impressione di assistere a una conversazione tra amici che raccontano di sé per consolidare il legame che li unisce, per trovare ciò che si ha in comune e per meglio definire la propria identità, vincendo la difficoltà di dialogare e ascoltarsi, anche contemporaneamente, contravvenendo, almeno così accade nel jazz, a tutte le regole di una ben educata conversazione...

    Molti sono stati i momenti epifanici, a partire da “My Funny Valentine”, attraverso la quale se da una parte è stata ripercorsa una pietra miliare del jazz dall’altra sono stati intrapresi sentieri di sonorità inedite, scaturite dalla fusione dei tre neri e scintillanti pianoforti, fino ad arrivare a “Moon River”, che ha permesso di muoversi negli eleganti spazi musicali e gli evocati ricordi cinematografici senza tempo di Breakfast at Tiffany's. Per arrivare al raffinato assolo di Claudio FIlippini nella ballata “Embreceable You” di Gershwin, che ha del tutto coinvolto il pubblico e i compagni di viaggio, mostrando una predilezione per i temi ricchi di storia ed emozioni.

    Il concerto ha trovato il suo clou finale con “Imagine” di John Lennon che ha rappresentato una richiesta vera e propria di solidarietà, e ha mostrato come il bisogno di cambiare, condividere e migliorare il nostro mondo appartenga a tutti, soprattutto al popolo del jazz. La scelta del brano non è stata casuale, in particolare durante un’epoca difficile come quella di oggi, tra nuove guerre e un individualismo imperante, in cui un legittimo desiderio di pace sembra un’utopia e la richiesta di solidarietà deve farsi strada con forza, anche tra le difficoltà, altrimenti potrebbe rimanere inascoltata.

    L’importanza della necessità di cambiare continua con “By this River”, un brano edito da Brian Eno, pubblicato nell’album “Before And After Science” che, rappresentando un mondo più individuale, vagheggia poeticamente tra pensieri e desideri legati alla consapevolezza di quanto sia importante la propria parte nell’esistente.

    A ogni tappa i “Tre pianoforti per l’Aquila” hanno composto e proposto una perla diversa, perché la loro chiave esecutiva produce una tessitura che parte dall’evocazione e prende vitalità nell’eleganza dell’improvvisazione. Parliamo di abili protagonitsti della musica jazz taliana, che oggi è seguita e apprezzata in tutto il mondo, per cui presto – abbiamo appreso da Giovanni Guidi – uscirà anche un disco dedicato a questo grande progetto.

    Si segnala la campagna di crowfunding di un pianoforte per l’Aquila che continua sul sito di  Eppela all’indirizzo: >>>

  • Arte e Cultura

    Massimo Ranieri ammalia Umbria Jazz Festival

    Senza contare che si tratta di uno dei più importanti rappresentanti della musica napoletana per le sue indiscusse doti di interprete che spaziano in una vasta gamma di sentimenti, emozioni e una forte vena narrativa.

    Parliamo di Massimo Ranieri, l’italian pop singer che passa da un repertorio all’altro con la stessa naturalezza che lo fa approdare al jazz del Santa Giuliana, uno dei palchi più rappresentativi del panorama italiano e internazionale.

    Con la partecipazione di un quintetto d’eccezione, composto da alcuni dei migliori jazzisti italiani: Enrico Rava alla tromba e flicorno, Rita Marcotulli al piano, Riccardo Fioravanti al contrabbasso, Stefano Di Battista al sax alto e soprano e Stefano Bagnoli alla batteria.

    È un pubblico molto interessato quello che accoglie il concerto “Malìa”, nato da uno dei progetti più attesi dell’edizione di quest’anno, un capolavoro ideato e prodotto da Mauro Pagani, a cura dello stesso Ranieri, con l’intenzione di offrire uno spaccato del panorama storico-musicale degli anni ‘50 e ‘60, indagando i percorsi che hanno portato il jazz americano a influenzare la musica italiana, in particolare quella napoletana. Tra incantesimo, magia e seduzione.

    Ed è questo che subito si avverte quando la band accenna le prime note de “Il pianto delle spighe di grano”. Ranieri entra in scena con i colori eleganti del jazz, in bianco e nero, e quel sorriso contagioso di uno che vuole divertire e divertirsi. In quasi due ore di spettacolo, riesce a proporre un viaggio attraverso nuove sfumature musicali che sa sapientemente dosare, soddisfando anche i palati più raffinati.

    Il mattatore della serata è sempre il musicista napoletano, le cui doti vocali e teatrali, ma anche l'agilissima presenza sul palcoscenico, gli consentono di interpretare il ruolo di conduttore dei giochi con espressività e scioltezza, mentre la band sottolinea e rafforza la geniale idea del produttore Mauro Pagani di rielaborare un grande repertorio già collaudato e funzionante, affidandolo a una voce incisiva e determinata come quella di Ranieri.

    La ritmica di Bagnoli chiara e decisa apre la strada al resto della band. Gli arrangiamenti, ben strutturati, evidenziano le qualità sia dialogiche sia solistiche di tutto il gruppo. Una nota particolare va alle conversazioni musicali tra Rava e il sassofonista Stefano Di Battista che duettano, si rincorrono e si mescolano, creando uno spazio aperto e condiviso.

    Nella lunga song list non sono mancate le cover classiche come “Malafemmina”, scritta da Totò nel 1951 per Silvana Pampanini, “Torero” e “Tu vo’ fa l’americano” di Carosone, fino alla più recente “Tutta nata storia” di Pino Daniele, che ha visto l’entrata sul palco di Mauro Pagani col suo inseparabile violino. E sono tante le altre perle tratte dall’album “Malìa”, come “Doce doce”, “Ue ue che femmena”, “Luna caprese”, “Anema e core”.

    Il gran finale si ha con “Resta cu mmè”, la canzone scritta da Domenico Modugno che vede uno splendido assolo introduttivo vocale di Ranieri e il progressivo coinvolgimento dei suoi compagni di viaggio nell’incanto da lui creato, e l’intramontabile “O Sarracino”, il celebre singolo di Renato Carosone del 1958.

    Infine risulta evidente che Ranieri, con il valido sostegno dei grandi musicisti che lo hanno accompagnato, è riuscito a coniugare perfettamente l’anima italiana con quella d’oltreoceano, arrivando a conquistare la totale partecipazione del pubblico grazie alla sua personale espressività e attraverso il sound partenopeo che lo abita nel profondo. Offrendo ai jazzofili del Santa Giuliana uno spettacolo ammaliante, letteralmente.