Angela Davis: Aiutiamo Obama a realizzare il cambiamento che ha promesso

Silvia Giagnoni (December 26, 2008)
E’ una sera fredda e ventosa mentre entriamo nell’Acadome dell’Alabama State University per assistere alla lecture di Angela Davis. “C’e’ bisogno di un movimento che spinga Obama a realizzare il cambiamento che ha promesso.”


... Sono passati 53 anni dallo storico boicottaggio degli autobus iniziato da Rosa Park e lo si ricorda con una serie dedicata a Ralph Abernathy, uno dei leader di quel movimento per i diritti civili che inizio’ proprio a Montgomery. Qui, dove Martin Luther King ebbe il primo e unico incarico come pastore presso la Baptist Church su Lexter Avenue, a pochi passi dal Campidoglio dove risiedeva il potere costituito nella persona di George Wallace.



Nell’Acadome, due ragazze afroamericane ricordano i fatti che portarono al boicottaggio degli autobus. I neri rappresentavano il 70% della clientela di coloro che usufruivano dei mezzi pubblici. A volte gli autobus erano pieni di gente in piedi, accanto a posti che restavano vuoti perche’ riservati ai bianchi.

All’Alabama State ricordano con orgoglio che vennere distribuiti i volantini che invitavano i compagni neri a boicottare i mezzi pubblici. Do not ride the buses on Monday, recitavano. Le donne, qui come altrove a Montgomery, furono il motore di quel movimento nascente. Rosa Parks, senza dubbio, ma tantissime altre, sconosciute, unite nella lotta per ottenere un trattamento equo. Come l’italomericanaViola Liuzzo, uccisa dai Klansmen il 25 Marzo del ‘65 perche’si era unita alla causa dei neri.

Uno studente dell’Alabama State canta “Amazing Grace” accompagnato dal pianoforte.

Angela Davis arriva presto al nocciolo della questione: race. E ricorda “A More Perfect Union,” il discorso di Obama sulla questione razziale, quello in risposta agli tentativi di buttar fango su di lui, astro nascente della politica mondiale, volendolo associare a Jeremiah Wright, un pastore che odia l’America.

Race. Se n’e’ parlato cosi’ poco durante la campagna alla Presidenza, dice Angela. Un’occasione persa sembra sia sul punto di dire, ma non lo fa. Angela e’ contenta, continua a sottolineare la dimensione storica dell’elezione di Obama e lo fa cogliendo l’occasione per sottolineare che questo e’ il primo anniversario di quel boicottaggio che vede il compimento di parte del sogno di quel movimento.

E’ emozionata Angela; lei, originaria di Birmingham, Alabama, 90 miglia da qua, lei che non ha mai parlato qui alla Alabama State. “Mia madre era un’attivista ma non di quelle da prima pagina,” racconta come seguendo il corso dei suoi pensieri. “Mi ci sono voluti degli anni per capire quanto non facessi altro che seguire le sue orme.” Loro, prosegue, gli eroi comuni ancor piu’ che quelli ricordati dalla storia ufficiale, non avrebbero mai potuto immaginare quanto e’ accaduto il 4 Novembre. Anche loro, che credevano cosi’ fortemente nella giustizia sociale e nell’uguaglianza.



La professoressa Davis ricorda i tanti accorsi ad ascoltarla che viviamo in un Paese—ma io aggiungerei, in tempi—in cui cio’ che e’ passato viene dato per scontato, acquisito, e percepito quindi come sicuro, in qualche modo. Ma ricorda, citando il Presidente eletto, che l’idea di uguaglianza e’ contenuta nella Costituzione degli Stati Uniti e sottolinea il passaggio del discorso in cui Obama rivendica la tradizione del dissenso in America, ricordando come attraverso le battaglie nelle strade, nelle aule di giustizia, la guerra civile prima e la disobbedienza civile poi, e sempre correndo gravi rischi, i cittadini di questo Paese abbiano contribuito “a restringere quel gap tra la promessa di nostri ideali e la realta’ del loro tempo.”


E chi meglio di Angela Davis puo’ farsi portavoce di tale monito. Lei che dopo aver ricevuto tre condanne capitali (congiura, rapimento e omicidio) proprio grazie alle proteste per liberarla riusci’ a passare in carcere “solo” 18 mesi—e non 18 anni, dice correggendo con affetto lo studente che le aveva erroneamente attribuito una cosi’ lunga permanenza dietro le sbarre. “A voi giovani non parra’ un granche’ avere un presidente afroamericano,”continua. “It’s like in the movies,” dice rammentando poi Morgan Freeman.



Adesso Angela, la professoressa Angela Davis, lei che nel ’69 fu assunta nel dipartimento di Filosofia per insegnare marxismo e presto licenziata dall’allora governatore della California Ronald Reagan con l’accusa di filocomunismo, oggi lei insegna Storia della Coscienza Politica e Studi Femministi in California; si batte contro l’ingiustizia delle carceri americani dove si trova un afroamericano su 9 tra i 20 e i 34 anni (il rapporto e’ 1 a 30 nel caso dei bianchi), a quanto riporta uno studio recente del Pew Institute.



La Davis parla di razzismo come logica che trova espressione a livello microsociale facendo confluire il generico nell’individuale, attraverso “quella capacita’ acquisita di ignorare l’individuale a spese del generale.” A seguire solo l’idea della rappresentanza in posti di potere, si chiede Angela, il razzismo doveva essere superato con le varie Condoleeza Rice o i Clarence Thomas. Ci vogliono idee audaci, idee di progresso per superare questa logica.



Se le statistiche non bastano, e’ sufficiente fare una visita a qualsiasi prigione americana per vedere come il razzismo sia parte integrante del Sistema. Le istituzioni continuano ad essere razziste. Angela non cita Michel Foucault ma parla di Panopticon. Di come chi e’ sorvegliato, viene rinchiuso. Evoca, suggerisce, conscia di avere un pubblico che l’ascolta benevolo e poi affonda. “White people are not being watched.” I tanti presenti pendono dalla sue labbra, ammaliati.



Mi viene in mente un film che ho visto di recente, Frozen River di Courtney Hnt, vincitore del Sundance quest’anno; la protagonista trasporta clandestini dal Canada agli Stati Uniti. La ragazza indiana “con cui lavora” e che l’ha introdotta nel giro, le dice, e’ meglio se guidi te. A te non ti fermano perche’ sei bianca.

Questo e’ il razzismo. Essere fermati perche’ sei nero. Essere perquisito perche’ sei nero, o latino. O nativo americano. E esiste ancora, alla vigilia della consacrazione del primo presidente afroamericano eletto in America.



Angela, intanto, approfondice, parla di come gli schiavi fossero considerati cose, proprieta’, ma come di fatto diventassero capi d’accusa, a cui si riconosceva improvvisamente una coscienza, una agency.

E’ giusto, ancora oggi, parlare di diritti civili ma questi sono diritti formali. “La prigione e’ punizione. Si devono affermare i diritti sostanziali. “Non possiamo essere soddisfatti con l’uguaglianza di fronte alla legge.” Angela che si batte per l’abolizione del “complesso industriale delle prigioni” parla di morte civile riferendosi al sistema carcerario. Rammenta il movimento contro la revoca dei diritti di cittadinanza per i carcerati. … “Importante, perche’ le cose in Florida sarebbero andate diversamente nel 2000 e Bush non sarebbe mai stato eletto,” aggiunge.



Angela allarga ancora il discorso fino a includere tra i diritti da riaffermare quelli degli immigrati, “perche’ e’ necessario parlare di cittadinanza globale oggi,” e poi quelli della comunita’ gay e lesbiche, e dei popoli indigeni. “Tutti hanno diritto ad un futuro migliore, non solo la classe media, ma anche i lavoratori dei campi e di quelli delle fabbriche,” dice.



“Affinche’ ci sia giustizia per tutti, dobbiamo liberarci del ‘complesso del Messia,’” ricorda Angela. Soluzioni radicali sono necessarie, ripete Angela che si riappropria della parola radicale rivendicandone l’origine latina… (le piace perche’ rimanda alla radice delle cose e delle questioni…) “Dobbiamo far pressione a che Obama lavori affinche’ l’istruzione, la sanita’ e la casa siano un diritto di tutti,” si avvia alla conclusione Angela. “Affinche’ non siano piu’ merci ma tornino ad essere diritti.”

“C’e’ bisogno di un movimento che spinga Obama a realizzare il cambiamento che ha promesso.”

Il pubblico, in piedi, applaude.

(Silvia Giagnoni è un membro di www.i-Italy.us)

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