Ognuno potrebbe tirare un filo per trovare l’inizio e il gomitolo avrebbe almeno diecimila protagonisti sparsi tra Napoli, provincia, in Italia e nel mondo. Tanti sono i pizzaioli al lavoro e che, dal Dopoguerra in poi, hanno iniziare ad aprire pizzerie anche fuori da Napoli perché le famiglie erano numerose, un forno non bastava per nutrire troppi figli e ognuno andava a fare scuola da qualche altra parte o si priva una attività. Nascono così le saghe familiari che sono la rete e lo scheletro della storia della pizza napoletana.
Ma forse c’è un momento in cui la pizza napoletana ha un rimbalzo mediatico mondiale uscendo dalla dimensione di cibo etnico e ricordando al mondo che pizza non è una parola americana. E’ la foto di Bill Clinton che durante il G7 del 1994 mette in allarme le guardie del corpo per entrare nella pizzeria Di Matteo e mangiarsi una pizza a portafoglio. Ecco, forse a livello mediatico è stato il primo forte segnale di quanto la pizza si intrecci con la storia di Napoli. Oltre 400 canzoni ne parlano, e poi film, rappresentazioni teatrali, certo, ma quella foto è come un inizio, l’ingresso della pizza napoletana nel mondo moderno gloablizzato.
Li racconta e li rivive quei momenti Salvatore Di Matteo, figlio d’arte, ora al timone dell’attività di famiglia in via dei Tribunali.
La pizzeria è del 1939. A fondarlo è Salvatore Di Matteo con i figli Nicola e Gennaro. “Nunzio Cacialli raccontando la storia a Monica Piscitelli, nel descriveli come delle “persone squisite”, tradisce la nostalgia per un passato che gli è caro e il gran vuoto, bruciante come una ferita aperta, lasciato nel suo cuore dalla scomparsa recente del fratello Ernesto che definisce “un maestro, un fratello, un amico e un padre”.
Si, perché in quella foto di gruppo c’è Ernesto Cacialli che da lì a poco aprirà la propria pizzeria, Il presidente, con chiaro riferimento a Clinton. Morto prematuramente, la sua opera sopravvive nell’opera dei figli: Enzo, il pizzaiolo che ha offerto la pizza a Papa Francesco sul lungomare, Gigi con la sua pizzeria Il Figlio del Presidente e infine Maria, la prima donna protagonista della nuova era della pizza, con la Figlia del Presidente dove un angolo è dedicato alla memoria del padre. Lei ci rivela qualche segreto, come quello della “pizza del pizzaiolo”, ossia pomodoro, provola e pepe, dal sapore forte e inconfodibile. “Come vorrei che mio padre fosse vivo per assaporare questo momento straordinario per noi pizzaioli – dice Maria che ha da poco aperto anche a Caserta – quando lavorava lui nessuno considerava questo lavoro, oggi è una meta per i giovani”.
E sempre in quella foto c’è un giovanissimo Gianni Breglia, oggi un po’ brizzolato dopo oltre vent’anni, ma in piena attività a pizza Mercato nella sua Pizzeria del Popolo, un locale molto amato dai frequentatori. “Non amo la ribalta e sono stupito di tanto clamore sulla pizza, però alla fine è una cosa sicuramente positiva per tutti. Io ho avuto la fortuna di conoscere i veri maestri che ci abituavano all’atesa, oggi i giovani vanno veloci, voglio tutto e subito, e questo non è sempre buono”.
Già, i maestri, quelli che ti facevano aspettare il tempo necessario prima di iniziare ad ammaccare. Come Antonio Starita, presidente dell’Associazione delle Pizzerie Centenarie a cui aderiscono undici locali: “Certo i tempo sono cambiati, oggi è tutto più veloce, ma la fora di questo mestiere è che nella sostanza è rimasto uguale ai tempi in cui nei nostri locali girarono il film l’Oro di Napoli con Sofia Loren che faceva la pizzaiola. Da noi si entra nella storia in modo semplice ed immediato.”
Una storia diversa quella di un altro grande protagonista della pizza napoletana, Alfredo Forgione, che si trasferì a Napoli da Frasso Telesino in provincia di Napoli e divenne il primo pizzaiolo da Ciro a Mergellina.
Una storia di sacrifici e impegno, culminata con l’importante ruolo assegnato dal gruppo Fresco nell’apertura dei locali sul Lungomare che ha dato l’inizio ad una nuova epoca: “Abbiamo subito pensato che bisognava puntare sulla qualità perché la clientela era esigente e non si accontentava. Prima qui poi al Vomero abbiamo fatto centro in questo modo aprendo una nuova era, dimostrando cioè che un format di qualità è replicabile pur rimanendo artigianale”.
Da Michele ha una storia lunga, lunghissima perché inizia nel 1878, ma è la quinta generazione, quella di Alessandro Condurro, che cambia le carte in tavola svecchiando l’immagine e rilanciando il mito: “Ho iniziato con dei video su Facebook tentando di sdrammatizzare il nostro lavoro, dimostrando che i cornicioni alti non sono sinonimo di qualità rispetto alla pizza tradizionale ma solo una scelta di gusto e di stile. Grazie a quei video in tanti si sono avvicinati a noi, solo marinara e margherita. Un messaggio chiaro: la pizza è semplicità, si agli agiornamenti ma sempre nel solco della tradizione”.
Ma come è cambiata la percezione della pizza? Grazie a Enzo Coccia, radici nel locale di famiglia nella Duchesca. Il primo suo primo locale, nato più di 20 anni fa, antesignano di una nuova concezione culturale di pizza. Pizza verace, riconoscibile a partire dal profumo dell’impasto, con cornicione non alto ma importante e leggero al tempo stesso. Elastica, scioglievole, farcita in modo tradizionale ma anche innovativo. “Ricordo quando fare un paio di pizza ci faceva mangiare una giornata – ricorda Enzo – oggi c’è tanta abbondanza, sembra incredibile, ma è così”.
Stessa generazione di Enzo Coccia è Guglielmo Vuolo, radici a piazza Mercato: “Eh sì, ricordo quando mio padre raccoglieva i pomodori invenduti d’estate. Da quei ricordi difficili ma di grande dignitià mi è venuta la fissazione di fare la carta dei pomodori per le mie pizze. Da piazza Mercato a Casalnuovo, poi il rapporto con Eccellenze Campane e una “trappola” ha report: “Non sono comunicativo, presero dieci secondi di una intervista e feci la figura di chi non teneva alla pulizia. Ora tanti progetti: Trani e Verona. “Si ci richiedono fuori e a me piacciono le sfide”.
Dai cinquantenni ai quarantenni. Il più famoso è Gino Sorbillo: tutto parte da via dei Tribunali, una strada adesso popolata da turisti, ricca di vita e di storia dove in ogni angolo c’è qualcosa che affascina e trattiene. All’epoca, nella prima metà degli anni ‘90, quando Gino, oggi 42 anni, iniziò a lavorare lì con il padre Salvatore era ben diversa. C’era un’aria difficile e ci voleva coraggio a praticare il proprio lavoro con serenità.
Pizza dopo pizza, Gino ha portato avanti la tradizione di famiglia che aveva come riferimento la leggendaria zia Esterina madre di 21 figli. Una gavetta dura, difficile, fatta spesso di episodi che non è piacevole neanche ricordare.
Poi dopo una decina d’anni, questo percorso inizia ad essere illuminato. Le sue pizze a ruota di carro piacciono sempre di più, studenti e professori fanno la fila per stare davanti alla sua pizzeria e, finalmente, nel 2006 arriva il fratello Toto, allora ventenne, a fargli da spalla. Gino ha dalla sua il carattere disponibile, sempre positivo anche se volte c’è un velo di malinconia in qualche frase, in qualche sguardo, in qualche carezza. Positivo perché impegnato nel fare, nel costruire ed è su Facebook che inizia a farsi largo proprio diventando un simbolo per tutti.
Altro quarantenne è Ciro Salvo, l’unico pizzaiolo di provincia in questo percorso ma decisivo nell’influenzare la tendenza a idratare l’impasto oltre ogni limite. Primo di tre figli, subito al lavoro nella pizzeria a San Giorgio a Cremano, anni e anni da ammaccare e a infornare di nascosto. “Quando mio padre usciva facevo le prove da solo”. Un perfezionista dell’impasto, la ripartenza dopo la prematura morte del padre con la pizzeria aperta insieme ai fratelli a Largo Arso, poi le strade che si dividono, un periodo da Masse a Torre Annunziata e infine il salto a piazza Sannazaro con 50 Kalò, successo mediatico e di pubblico oltre ogni previsione. Il suo stile tradizionale diventa un esempio per tanti giovani.
E adesso scendiamo più giù, poco più di vent’anni: Ciro Oliva, il nuovo profeta della Sanità, il suo quartiere nel quale è concentrato: “Sono giovane, per altre aperture c’è tempo, adesso penso soprattutto alla mia pizzeria”. Due locali, uno per l’asporto dove è stata rilanciata l’usanza della pizza sospesa, l’altro con un menu sempre più studiato e attento alle novità. Lo scugnizzo è il simbolo delle nuove generazioni di pizzaioli. Quelle che adesso dovranno difendere e mantenere il riconoscimento ottenuto all’Onu.
* Luciano Pignataro lavora al Mattino dove da anni cura una rubrica sul vino seguendo dal 1994 il grande rilancio della viticoltura campana e meridionale. Al centro dei suoi interessi la ristorazione di qualità, la difesa dei prodotti tipici e dell’agricoltura ecocompatibile. E' autore di diversi liberi ed ha anche un blog molto visitato>>