Numerosi sono i comuni che hanno per nome il termine generico “casale”; e si contraddistinguono per la seconda parte della loro denominazione, la quale ne indica l’appartenenza geografica o quella feudale, oppure la caratteristica paesaggistica, talvolta indicata con un aggettivo, tal altra mediante la specificazione di un sostantivo il cui referente è: albero, fonte, colle, ecc., presso cui il casale si è sviluppato.
Alla stessa maniera diversi e ben distribuiti sul territorio nazionale sono i ceppi familiari che, per qualche rapporto col “casale” di loro pertinenza, ne hanno assunto il soprannome. Poi divenuto cognome.
Ed eccomi immeritatamente a rappresentare l’area dei “Casale” campani (Napoli e dintorni); più esattamente la popolazione vesuviana dove i piccoli centri abitati, stante l’uso linguistico di una data epoca, si era soliti chiamare “casali”.
Nella mia vita, senza fare particolare ricerca, ma solo restando ai normali contatti quotidiani, mi sono imbattuto in lunghe schiere di “Casale” chi residente a Sicignano, chi a Battipaglia, chi a Mirabella Eclano; e poi in Puglia, in Sicilia, nel Lazio, in Toscana, in Abruzzo. Ma soprattutto in Piemonte, in Friuli, e in Emilia Romagna. Evidentemente non posso dire che si tratti di un unico ceppo, ma tuttavia ... a volte, la coincidenza ... non si sa mai!
E quanti omonimi: quanti Casale Luigi! Se posso avanzare un’ipotesi, sembra proprio che il nome Luigi sia il più ricorrente tra i nomi abbinati a Casale, il più felice e il più congeniale tanto da sembrare fatti apposta l’uno per l’altro. Non so immaginare un Casale che non sia anche Luigi. Mi è capitato addirittura di trovarlo a grandi lettere lunghe le autostrade d’Europa sui teloni degli autotrasporti, che oggi chiamiamo “logistica”.
Chiarito – ammesso che sia veramente chiarito – che non siamo tutti parenti, il fatto che lo potessimo essere l’ho sperato almeno in un caso: quando a scuola, sul prontuario di chimica nel paragrafo che trattava l’ammoniaca, per la prima volta ho letto il profilo biografico di Luigi Casale da Pinerolo, presidente della Montecatini. Ma allora si era adolescenti ...
Quanti “Casale” (normali!) o Casali! Con la “i” nella sua variante nobile! E quante città e piccoli paesi dal nome Casale! Forse da ognuno di essi si è generato poi il cognome di famiglia che portiamo, disseminati come siamo in tutta Italia. Da un vecchio codice di avviamento postale del 1967 (il primo in distribuzione dalle Poste Italiane) senza contare i nomi agglutinati, quelli fusisi per crasi, i diminutivi e i vezzeggiativi, e quelli in cui la parola Casale si presenta tronca nella forma Casal, o altre possibili varianti, ne ho contato undici; ma nel totale sono due pagine intere, compilate fittamente in due colonne.
Come per le persone, mi sono affezionato anche ai luoghi. E così, come in gioventù ho sognato di ritrovare un quale possibile ascendente nel Casale Luigi chimico che ha escogitato il metodo di produzione dell’ammoniaca per sintesi diretta, in età posteriore mi sono lusingato, invece, di avere avuta qualche provenienza piemontese dalle parti di Casale Corte Cerro. Nella realtà però solo la casualità ci ha fatti incontrare. Il come e il quando ho avuto modo di narrarlo in un altro racconto, dove si parla delle mie vacanze in Valle Strona: tra Gravellona Toce e Crusinallo, tra Verbania Pallanza e Omegna, sulla strada del Gabbio; e si richiama a tal proposito la Paulownia tomentosa e l’isola di S. Giulio.
Dei Casali del Piemonte conoscevo solo Casale Monferrato, un po’ dalla storia, un po’ dalla lettura de I promessi sposi; in seguito per aver avuto un amico casalese: il buon Ariolfo. Ma soprattutto per tutte le burle che mi toccava sopportare a scuola dove non appena gli insegnanti sentivano il mio cognome: da Casale ero già divenuto Casalemonferrato. Solo uno, per ovviare alla banalità del luogo comune di un ritrovato tanto facile e scontato, e altrettanto stupido, aveva voluto aggiungevi il suo elemento di originalità, chiamandomi Casale-ben-ferrato. Ed era evidente che non si volesse riferirsi ad un cavallo. (Lo spero!).
Io, per parte mia, pensando all’uso che all’epoca se ne faceva, del termine “ferrato”, da farlo entrare nei giudizi di profitto scolastico non solo nella comunicazione orale, ma anche nelle carte ufficiali, ho sempre pensato che quell’insegnante volesse riferirsi al mio rendimento nelle materie cosiddette scientifiche, e in particolar modo alla matematica.
La prima volta che soggiornai a Casale Corte Cerro fu nel 1966. Avevo ventidue anni, e fui ospite di una magnifica struttura d’ospitalità: il Getsemani, una casa di spiritualità, aperta ai congressi, alle associazioni, ai gruppi di lavoro, alle altre attività di carattere associativo e formativo. Le mappe geografiche lo indicano anche come Santuario di Gesù agonizzante. Non sono in grado di farne la storia in quanto mi mancano elementi sufficienti, tuttavia mi piacerebbe sapere se è sempre attivo, aperto alle stesse finalità sociali ed educative, e in grado di offrire ancora accoglienza alle famiglie. Quello che oggi si dice il turismo sociale e religioso, e che io ho inventato 38 anni fa, data la conformazione della mia famiglia.
Vi ritornai infatti nel 1977, questa volta con la famiglia già formata. E per tre anni di seguito colà trascorremmo la vacanza estiva. Era il tempo in cui lavoravo a Roma.
A causa della nostra frequentazione a Casale Corte Cerro e per la facilità con cui gli amici ricordavano più facilmente poi la sede delle mia vacanze in ragione della omonimia, un po’ per scherzo, un po’ per fantasia, mi compiacevo nel dire che la vacanza la trascorrevamo nei “nostri possedimenti d’origine” (se è vero, com’è vero, che dal dato topografico ci viene anche il cognome).
A questo punto qualche lettore un po’ superficiale o forse annoiato (oppure severo?), potrà pensare che il mio esercizio di scrittura sia solo una forma di esibizione, vuota ed artificiosa.
Ma per rispetto a chi una volta mi confidò di trovare una certa godibilità nelle mie scritture, andrò avanti; e persisto sperando però di riuscire a comunicare (oltre alla godibilità) anche qualcosa che possa salvarsi come mera informazione. E un poco-poco, se me lo consentite (questa sì che è un’ambizione! Nel senso originario del termine: andare in cerca di consenso), anche di pedagogia, di formazione, di educazione.
Perché dei miei soggiorni a Casale Corte Cerro non vi parlerò se non in funzione di quella grande opera pittorica che si vede sull’esterno dell’abside della chiesa, la parte più importante dell’intera architettura. Solo mi dispiace di dovervela presentare mostrandovi immagini da me fotografate, che avevo fatto per me, per i ricordi di famiglia; foto che quando le scattai non sospettavo di doverle esporre attraverso questo moderno mezzo di pubblicizzazione (che all’epoca era inimmaginabile); foto che nel frattempo hanno perduto la loro luminosità.
Ciononostante, sebbene incomplete nella esaustività della documentazione e poco chiare nella loro visibilità, le offro come stimolo a più approfondite curiosità verso la conoscenza, sia della storia, sia del valore estetico, sia del destino futuro della costruzione.
Premesso che l’interesse culturale è diffuso con pari intensità a tutte le parti dell’opera architettonica: nelle soluzioni abitative della strutture residenziale, nell’arredo, nella concezione della chiesa, in tanti particolari dell’arredo religioso, in tutti gli altri manufatti sistemati nel parco circostante, qui intendo illustrare solo l’affresco (forse è una tempera) che gira intorno alla grande parete cilindrica (l’esterno dell’abside) che accoglie il visitatore e il pellegrino che si reca al santuario, sul viale d’accesso alla “casa”: la passione del Cristo di Théodore Strawinsky (1907-1989).
Essendo essa quella che più mi colpì; e l’unica della quale custodisco le foto.
Copia cache
Getsemani di Casale Corte Cerro (Novara), Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del ... G. MANuLI, G. RAINALDI, E. RIZZI (a cura di), Théodore Stravinsky.
Materiali informativi da internet:
http://www.academia.edu/5719627/Le_architetture_di_Luigi_Gedda_committenza_e_cantieri_1949-1959_
Da: Andrea Longhi
Le architetture di Luigi Gedda: committenza e cantieri (1949-1959)
“L’architettura può essere considerata uno degli strumenti di comunicazione di massa utilizzati da Luigi Gedda (1902-2000) nei suoi diversi settori di attività asso-ciativa e professionale, in particolare negli anni di massima esposizione pubblica durante la Ricostruzione. Gedda è committente di opere architettoniche e artistiche come dirigente nazionale dell’Azione cattolica (1934-1959), come fondatore della Società operaia (dal 1942) e dei Comitati civici (dal 1948), come medico e ricerca-tore di fama internazionale.
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Ildo Avetta, l’architetto di fiducia di Gedda su cui più volte torneremo, annota: «Quella notte del 1940, la città di Roma, per difendersi dalle incursioni aeree, era nel buio più completo. C’era però la luna che esaltava il pallore del volto di Cristo tracciato dal rilievo delle gocce di sangue che lo rigavano [...]».
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... il binomio Gedda-Avetta può sviluppare i temi progettuali senza ulteriori passaggi istituzionali: si tratta dei due Getsemani costruiti come case di spiritualità per la Società operaia – a Casale Corte Cerro (1949-1950) e a Capaccio-Paestum (1955-1959) – e della sede dell’Istituto Mendel di gemellologia a Roma (1951-1953).
Per quanto attiene le due case di ritiro spirituale, una prima chiave di lettura è la dialettica tra la dimensione spirituale personale e l’imporsi dell’edificio a una scala paesaggistica di ampio respiro. La devozione verso Gesù agonizzante, tema fondativo della Società operaia, non è infatti trattata architettonicamente in un’ottica solo intimistica: le case sono pen-sate per essere fruite anche dall’esterno, come richiami e mete visive a grande scala, come luoghi, privi di intenti mimetici, in cui la spiritualità non esita a proporsi in chiave pubblica, quasi come “città sul monte” evangeliche. I progetti utilizzano risolutamente un linguaggio architettonico moderno, con soluzioni di matrice organica (ossia rapportata al contesto naturale e alla morfo-logia) finalizzate a diversificare le diverse dimensioni spaziali del ritiro spirituale: la meditazione sulla sofferenza di Cristo, la celebrazione liturgica comunitaria, la contemplazione della natura, lo studio individuale e la vita comune negli spazi di so-cialità. Le diverse esigenze spirituali sono affrontate come specifici temi progettuali.“