Articles by: Letizia Airos

Assisi. E’ sorta nel 1230 accanto alla Basilica, in cui erano già state collocate le spoglie di S. Francesco, la straordinaria Biblioteca dove vive Fra Carlo Bottero, ‘vive’ perchè in questo caso la parola ‘lavora’, ci sembra quantomai inappropriata.

La Biblioteca e Centro di documentazione francescana, del Sacro Convento di S. Francesco in Assisi, possiede un patrimonio librario di circa 120.000 volumi, di cui i manoscritti medioevali rappresentano il nucleo più prezioso.

E’ specializzata nelle discipline teologiche, in storia della Chiesa e del francescanesimo, in storia dell’arte e storia della musica. Oltre ad un notevole fondo di manoscritti e libri antichi, conserva i pregiati fondi archivistici dell’archivio storico conventuale e dell’archivio della cappella musicale della Basilica di San Francesco.

Entrare nel mondo di Fra Carlo Bottero direttore della biblioteca del Sacro Convento, significa attraversare, nell’arco di pochi attimi il tempo, e trovarsi in una dimensione spirituale e umana unica.

Qui tornate indietro di 800 anni, ad un XIII secolo che, se avete frequentato le scuole elementari in Italia, riconoscerete subito. Per poi risalire nei secoli. 

Ma per chi non è cresciuto in Italia - se Fra Carlo ci perdona il riferimento profano e molto "americano" - diremmo che è un po' come essere nel film di fantascienza ‘Ritorno al futuro’ di Robert Zemeckis, dove un giovanissimo Michael Fox si ritrova all’improvviso negli anni '60, in un party a cui partecipano i suoi  genitori... prima ancora di essere sposati! Una sensazione di distacco, ma al tempo stesso di vicinanza con quel passato, che è il proprio passato ...

Le miniature, i testi e la loro tradizione, il fondo musicale manoscritto e a stampa, gli incunaboli… un mondo straordinario. La ricchezza e l'importanza del patrimonio bibliografico e documentale di questa biblioteca è unica, ed è stata oggetto di una consistente letteratura storico artistica e scientifica.

Protetta dalle vicissitudini dell’umanità e della storia - superato anche il terremoto del 1997, che causò profonde lesioni alla alla basilica superiore con la morte purtroppo di quattro persone - la Biblioteca conserva anche il Cantico delle creature che San Francesco dettò nel 1200.

Altissimu onnipotente bon Signore, tue so’ le laude la gloria et honore et onne benedictione …

Un testo che gli italiani conoscono bene, appunto fin dalla scuola elementare, considerato il primo documento testimone della nascita della lingua italiana. Una sorta di certificato di nascita. Un testo ‘immortale’ nel suo contenuto, che dopo 900 anni comunica ancora un messaggio per tutta l’umanità. Un messaggio che trascende le religioni, qualunque siano, un canto di amore e rispetto per il creato. Un messaggio attuale come pochi altri. Un vero miracolo di comunicazione.

E questo miracolo si perpetua fino negli USA. Direttamente da Assisi 'Il cantico delle Creature ,'con alcuni manoscritti francescani, arriva  a New York per un allestimento più unico che raro.

E' la prima volta che manoscritti del XIII e XIV secolo e Bolle Papali, riguardanti il Santo di Assisi, vengono negli Stati Uniti. La mostra è composta da ben 19 opere proveniente dal Fondo Antico della Biblioteca comunale di Assisi presso la Biblioteca del Sacro Convento di Assisi.

La prima prestigiosa tappa è alle Nazioni Unite (17 novembre – 28 novembre 2014)

La seconda è il Brooklyn Borough Hall (aperta al pubblico) e attraverserà il periodo natalizio. Un evento irripetibile a New York (tra il 2 dicembre 2014 – 14 gennaio 2015.)

Abbiamo raggiunto quindi Fra Carlo, tra preziosi manoscritti e libri. Il francescano accompagna la mostra in queste importanti esposizioni newyorkesi.

E’ lui forse, prima di ogni altro, che insieme al contenuto ‘tecnico’ e storico di questi manoscritti, puo’, con il suo racconto, rendere ancora più palese l’eccezionalità di quanto New York accoglie fino al 14 gennaio.

“Ho assunto la direzione da circa otto anni, ma ne sono sempre stato un assiduo frequentatore della Biblioteca Francescana di Assisi . La familiarità con i manoscritti del fondo antico si è ovviamente sviluppata in questi ultimi anni.” Comincia così Fra Carlo e continua portandoci subito nel suo mondo. Gli chiediamo: cosa si prova a vivere in una biblioteca così preziosa non solo per motivi storici ma anche di carattere spirituale?

“La consuetudine rischia sempre di ‘appiattire’ anche le cose più belle e straordinarie. La consapevolezza della preziosità e ricchezza spirituale di molti dei pezzi conservati nella biblioteca del Sacro Convento si rinnova soprattutto grazie alle occasioni in cui ho modo di accompagnare dei visitatori ed illustrare loro alcuni dei pezzi più importanti. Di fronte alle loro reazioni, non di rado alla commozione che si legge sul volto di tante persone, ci si ‘accorge’ all’improvviso di cosa si ha tra le mani e si è in grado nuovamente di appezzarne il valore.”

E racconta anche la sua prima volta. Quella in cui ha visto-letto in originale il testo del ‘Cantico delle creature’.

“Quando ero postulante – entrato cioè in convento per il periodo di prova, ancora in abiti secolari – abbiamo visitato la biblioteca. Ricordo bene la pagina iniziale del Cantico a causa dell’evidente presenza dei righi che avrebbero dovuto ospitare la notazione musicale, ma sono rimasti in bianco. Non ho letto tutto il testo, solo l’inizio: Altissimu onnipotente bon Signore, tue so’ le laude la gloria et honore et onne benedictione. Ho pensato: “Abbiamo perso la musica composta da San Francesco, ma abbiamo guadagnato la ricchezza delle centinaia di diverse versioni musicali che del cantico sono state realizzate’.”
 
Ma ad un certo punto avviene qualcosa che non aveva proprio previsto. Una signora, Flavia De Sanctis, presidente  dell'associazione no profit  'Antiqua',  gli propone di portarlo all’estero insieme ad altri manoscriti. E dove? Addirittura negli Stati Uniti.

“A dire il vero all’inizio sono stato piuttosto perplesso. In ogni caso la decisione non è spettata solo a me, ma è stata lungamente discussa da parte di numerose persone che sono a vario titolo responsabili del Fondo antico, non ultimi il Sindaco di Assisi, il Soprintendente archivistico per l’Umbria e il Soprintendente per i beni librari della Regione Umbria. Il motivo principale per cui si è deciso di far uscire dalla biblioteca quelli che sono senza dubbio i suoi manoscritti più importanti è stato il desiderio espresso dall’Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite di poter presentare questa mostra al Palazzo di Vetro. Una volta accolta questa proposta le difficoltà – che oppure ci sono state, e al di là delle previsioni – sono state affrontate una alla volta, con pazienza.”. Un vero miracolo,  tenendo presente soprattutto le difficoltà non solo materiali, ma anche burocratiche affrontate.

Gli chiediamo di riassumere in poche parole l’importanza di questi documenti  per il mondo di oggi. Sappiamo che non è facile dare una risposta sintetica.

“La loro importanza è legata ovviamente al figura di Frate Francesco, deriva immediatamente dall’essere testimonianze della sua vita e di ciò che ha detto e realizzato. Per quanto intrinsecamente preziosi per l’antichità, i contenuti o la ricchezza delle miniature, essi non sarebbero che ‘alcuni tra i tanti’ manoscritti e documenti medievali che son giunti fino a noi se non fosse per il fascino che si sprigiona da Francesco d’Assisi, da questo modello di una umanità libera, fraterna, armonica e pacificata.”.

‘Un'umanità libera, fraterna, armonica e pacificata’. Un sogno del tredicesimo secolo, un sogno ancora oggi.

Ma cosa si aspetta Fra Carlo da questa grande esposizione anche mediatica?

“Personalmente sono un po’ schivo nei confronti dei media, preferisco il ritmo della lettura di un libro a quello di un videoclip o di Twitter. Il tempo a disposizione di ognuno è sempre meno, e proprio per questo preferisco investirlo in poiché cose, fatte bene e con calma… l’opposto contrario della logica attuale della comunicazione mediatica. Questo non mi impedisce di comprendere come attraverso i media passino opportunità inestimabili per poter esprimere ciò che si ha da dire. E credo che Frate Francesco abbia molto da dire, molte cose che per alcuni versi sono inedite, e per altri versi, una volta udite, ci sembra di conoscerle da sempre, ci sembrano cose antiche come le verità che portiamo dentro in quanto uomini e donne. Mi aspetto che molte persone possano prestare attenzione a Francesco, accogliere il nostro invito di accostarsi a lui attraverso queste tracce, parole, immagini.”

Una nota realistica e lievemente polemica poi sulle modalità di mantenimento di tesori inestimabili come il ‘Cantico delle creature’ in Italia. “La tutela e conservazione di un fondo di manoscritti e documenti medievali richiedono ovviamente alcune attenzioni e la messa in pratica di adeguati protocolli di monitoraggio. Non si tratta tuttavia di pezzi esposti a rischi particolari, o in condizioni particolarmente critiche, anche se in vista della mostra è sembrato opportuno sottoporre tutti manoscritti ad un intervento di restauro conservativo. - dice Fra Carlo - Quanto al problema della salvaguardia e recupero dei beni librari, si aprirebbe qui un lungo discorso. L’Italia ha da questo punto di vista la ‘sfortuna dell’abbondanza’: i fondi di manoscritti e libri antichi sono molti e ricchissimi, e le risorse disponibili sono ovviamente insufficienti. E su questo non ho ricette da dare!”

Nelle sue parole finali un ringraziamento, velato di palese emozione:

“Non so se questo sia il luogo adatto, ma è pur vero che la riconoscenza deve trovare spazio ovunque. Vorrei aggiungere quindi un ringraziamento a quanti hanno collaborato alla realizzazione di questa mostra. Sono molte persone, non le posso nominare singolarmente, anche se mi piacerebbe farlo per far comprendere quanto lavoro sia necessario per dare vita ad un progetto del genere. Accanto ai membri del comitato organizzatore, che possiamo definire “volontari”, tutti animati da passione autentica ed autentico amore per Frate Francesco, ci sono le tante persone che hanno prestato una collaborazione di natura professionale. Anche in loro ho avvertito sempre una sincera simpatia per questo progetto, hanno tutti “fatto il tifo” perché il Poverello Francesco, l’uomo che si diceva “semplice e illetterato”, potesse entrare nella sede della Nazioni Unite e portare a tutti il suo saluto: “Il Signore ti dia pace!”. A tutti, grazie!”

Noi ringraziamo Fra Carlo, dopo San Francesco naturalmente che forse ha compiuto ancora un miracolo: quello di mettere insieme persone in grado di realizzare una missione così importante.

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Maggiori informazioni:

www.sanfrancesco.org  •  [email protected] 

One of the most noted moments of Paolo Fulci’s historic career as Italian Ambassador to the United Nations (1993-1999) brought international attention to some of the smallest islands in the world, starting with the Aeolian archipelago—one of the islands, Salina, is the place he calls home. 

Ambassador, can you give us a brief version of that story?
It was not an easy time for Italian diplomacy. Germany and Japan were exerting pressure to reform the UN Security Council, which would have irremediably marginalized our country from the group of nations that really counted. And not only Italy but also the whole European Union. Almost all the major powers supported our opposition.
 

Luckily, it was a reform that had to pass through the General Assembly, where every country has a vote regardless of their GDP, military might, size, or population. So I decided to form a partnership with smaller, insular states, the so-called Coffee Club, thirty-two countries that generally had no say in the goings-on of the ‘big’ countries. Out of that, a mutually advantageous relationship was born, and in the end we were successful!

When I would participate in meetings, some diplomats from rival countries would make fun of me, asking me how I could diminish Italy to the level of a small, insular state. Nonplussed, I would answer that my home was in Salina, in the Aeolian archipelago, and these islands had the same problems as the small insular countries in the Caribbean or the Pacific: coastal erosion, out-of-control tourism, lack of transportation to the mainland, difficulties with the water and energy supply. And so I could give some useful advice. 
 

Those same naysayers changed their tune over time, when they saw how, thanks to this alliance, Italy succeeded in blocking that unjust reform. In 1998 we even organized a gala evening at the Waldorf Astoria where, under the prestigious direction of the great Aeolian-American judge Edward Re, the ambassadors from our coalition met a delegation from the Aeolian Islands in front of 1,800 guests. It was an unforgettable evening and extremely important for our victory over the Germans and Japanese for the Security Council.

To face the ‘battle’, you recruited a number of influential figures from the Italian-American community. Many of them were at the Waldorf Astoria gala that night. That kind of involvement had not occurred in many years. What gave you the idea and how did it turn out?

Back then the Clinton administra-tion was ‘enthusiastically’ in favor of German and Japanese entry into the Security Council. And so it was against our position. So I thought that the Italian-American community could exert some pressure. You are talking about millions of people, many extremely influential in American politics.

It really did not take much to mobilize them, since they feel such a deep connection to their roots. I remember that at the Columbus Day Parade there were protest signs asking President Clinton to show Italy more respect in the UN. And the White House received thousands of faxes and telegrams from Italian-Americans expressing their anger over the way certain Washington officials were treating our country. I still remember one of the messages. [It read:] “Mr. President, we have been informed that some State Department officials are supporting a reform in the UN Security Council that would allow Germany and Japan entrance as permanent members, leaving out our country of origin, Italy. Be advised, Mr. President, that if this were to pass, it would be considered a literal smack in the face to 24 million Italian-Americans.”
 

Even then Archbishop of New York John O’Connor, during an homily in St. Patrick’s Cathedral, commented on the situation with great aplomb: “Who would ever have the courage to tell St. Francis of Assisi, Thomas Aquinas, Dante, Petrarch, Leonardo da Vinci, Michelangelo, Guglielmo Marconi and Enrico Fermi that Italy could not join the Security Council because it had nothing to offer?”

You are originally from Messina, and have been an adopted Salinian for decades. What ties you to Sicily and Salina in particular? 

My love for the Aeolian Islands goes back all the way to 1943, the year that the American troops landed in Sicily. My father, Sebastiano Fulci, who was an engineer with the Genio Civile, was tasked with starting the first infrastructure projects–building small piers, reservoirs, roads – that helped transform the beautiful archipelago from a remote land into the welcoming slice of paradise it is today. That year I began to enjoy the wondrous and extraordinary landscapes of Lipari, Canneto, Filicudi, Panarea and, naturally, Salina, whose malvasia really was ‘the nectar of the gods,’ as they call it. I returned to the Aeolian Islands many times over the following years, until one day my wife Claris and I discovered a white building in Salina called ‘Casa alla Palmara.’ We loved it so much that we eventually bought it and renamed it ‘La Clarisita.’ Since then we try to spend a good chunk of our summer vacation there every year.

What does it mean for a diplomat to come from a territory surrounded by the sea, from which so many men and women emigrated in search of a better life? Do you yourself feel a bit like an emigrant?

I was very lucky compared to the thousands of emigrants forced to leave Sicily after the Second World War to find work in more prosperous lands. But I can never forget that era when our fields were emptying out, left to desolation and poverty. Even though my job moved me quite young to Rome and then abroad, I could never leave my roots behind. In fact, living abroad, especially far away, strengthens your ties to your homeland, to the point that, even when I was in Japan, I would travel thousands of miles every year to return to my beloved Sicily with my wife and small children. The flight from Tokyo to Rome was endless—it lasted 24 hours!

Salina has a very particular history of immigration, as detailed in the Aeolian Emigration Museum founded and run by Professor Marcello Saija. Can you briefly give us a sense of that history?

Thanks to his extraordinary passion and dedication, Marcello has really given a soul and a spirit to these migrations. He has collected thousands of documents and photographs on Aeolian immigration from the end of the nineteenth century in North and South America to the post-Second World War migrations to Australia and New Zealand. And he retraced the paths and journeys taken by immigrants, all the sacrifices they made, and how they were finally able to find success.
 

You have a special relationship with New York City. Not only did you live here when you were Ambassador to the UN, but you also worked as vice-consul here in the beginning of your career. And before that you came to Columbia University as a Fulbright scholar. It is difficult to imagine such disparate experiences: The fascinating, frenetic city that never sleeps... and these minuscule, wind-beaten islands bursting with flowers and surrounded by water. And yet something must tie you to these territories, these landscapes. What is it? 

It’s true. After Sicily, New York is probably the place where I have lived the longest. One year as a student, two as vice-consul, and seven as Ambassador. I almost feel more comfortable in New York than in Rome! But I always remember my Sicilian roots. When I arrived in New York as a young student in June of 1954, the first thing I did was look for my fellow ‘countrymen’ from San Filippo del Mela, a quaint little town just north of Milazzo. Those people knew my forefathers. They threw a wonderful party for me. It was my ‘initiation’ into a varied cosmopolitan world made up of so many different people. That’s how New York appeared to me when I first arrived.

What are the places that you love most in Salina, the ones that you miss most while traveling around the world as a diplomat? Tell us something that could persuade Americans to come visit this small Mediterranean paradise.

I love absolutely everything about Salina… Obviously my house the most; it’s situated on the edge of a forest reserve on an isolated promontory. It’s not easy to get to, especially when the sun is at its peak. I really love Pollara, the crater of an ancient volcano half immersed in the turquoise waters of the Tyrrhenian Sea, where the house for the film Il Postino (The Postman) is located. But above all I love the Rinella area and the unforgettable sight of its slopes in May, when they’re covered with gorse. The yellow flowers are so striking against the blue sea. 

“I was born on September 24, 1954, in Alba, the ‘capital’ of the Langhe hills. My father was from Barbaresco, my mother from Barolo,” says Oscar Farinetti, mulling over his homeland. The cities where his parents come from are also home to two famous namesake wines.

But today we’re standing in front of Eataly, the megastore on 5th Avenue, and Farinetti’s words are a breath of fresh air amid the traffic of Manhattan. Fresh air, it turns out, will be the
subject of much of our interview.

“Alba is incredibly situated: south of Turin, in the plain of the Tanaro river, a 34-mile straight
shot from the Ligurian seaside city of Savona. To the west are the beautiful hills of Roero, to the east the beautiful hills of Langhe. The latter are ‘kissed’ by God because they produce slightly rounded hazelnuts considered the best in the world as well as important Italian red wines: beside Dolcetto and Barbera, the legendary Nebbiolo grape, which is produced by the conjunction of the Marin (costal) winds coming from the shores of Savona and the fresh air of the maritime Alps that come down from Monviso. The winds create a distinctively humid microclimate that leaves a little morning frost on the Nebbiolo vines that we call, unsurprisingly, “Marin”. Nebbiolo grapes, aged for three years in Barbaresco and four in Barolo, are used to make Barbaresco and Barolo wine.”

Oscar could go on forever talking about wine. But we cut him off. We want to know about the older town of Alba. Then we can get back to its extraordinary natural surroundings and what men made with them.

“In ancient Roman times, the town was called Alba Pompeia. It was pretty well known, and
it was close to Pollenzium (now Pollenzo), the most important Roman city in Northern Italy, now home to the University of Gastronomic Sciences. [Farinetti is an affiliate of the school.] There was a coliseum that could fit 25,000 people. Back then, a city with over 25,000 inhabitants was like a city with five million today. It was the last “gate” before entering Gaul. In Julius Caesar’s day, it was the last Roman outpost. North of Turin was Gaul. Afterward, the development of Alba underwent several different phases.”

The Middle Ages being one fundamental phase, as it was for many Italian cities, especially in the center and north.

“Right. That marked the beginning of castles and municipalities. There were 100 municipalities in the Langhe, each with an average of 1,000 inhabitants. Every hilltop had a castle and surrounding village. You can still see many of them: Grinzane Cavour, Barolo, Serralunga d’Alba, Govone, Magliano Alfieri, Roddi, Mango and Beneve. Agriculture flourished.”

A little way away is Savoy, a prominent territory since the Middle Ages, now split between France, Italy and Switzerland. Savoy is the seat of the Savoy dynasty, where the future kings of Italy came from...

“The Savoys settled in the area and built a castle in Santa Vittoria for vacations. In the mid
1800s Carlo Alberto built his court in Pollenzo. He created the first prototype of a farmstead. He saw the enormous potential in Piedmont’s cuisine and agriculture. His son, Vittorio Emanuele, the first King of Italy, bought Fontanafredda and settled there with his lover, Bela Rosin. That was a thriving period for the Langhe, too, up until World War One. Then came “la malora” (‘ruin’)”.

You’re referring to the title of Beppe Fenoglio’s book. Fenoglio was an important writer who came from the Langhe. His home in Alba is now a museum and center for literary studies.

“La Malora (Ruin) is an extraordinary novel. It begins: “It was raining all over the Langhe,
and up in San Benedetto my father was getting wet underground for the first time.” So it begins with the rain, with the soil, with the death of his father. And it recounts the hunger of those times, the epidemics. The population dwindled. Farming dwindled. It didn’t take a turn for the better till after the Second World War.”

And today we have a new marvelous territory...

“I remember a lesson on change held in Fontanafredda by Alain Elkann. He read the first three pages of La Malora, which takes place about sixty years ago, and then two pages from the Michelin guide. What a contrast! In a span of twenty kilometers around Alba there are now 22 restaurants with Michelin stars. And besides Barolo and Barbaresco, there’s another big secret: white truffles.”

What’s the reason for the Langhe’s success compared to other nearby places? Why is the Langhe prosperous and rich while, for example, Monferrato, in the province of Asti, is not?

“It’s true. When you get off the turnpike in Asti, you pass poor Monferrato where they sell
Barbera for next to nothing, whereas we sell Barolo for 30 Euros a liter. They have truffles, too,
but no one knows about the truffles of Asti. It’s chance. It depends on the men born in a certain
time in history. In the Langhe we owe everything to one person, Giacomo Morra. He owned the
Hotel Savona, the first place in Italy to get a Michelin star. In 1946 he found a truffle weighing
two and a half kilograms and decided to give it as a gift to President Truman. It made headlines around the world! In 1947 he gave one to Hitchcock, then one to Sophia Loren, Brigitte Bardot. Every year he gave one to a big star. Around the world, the white truffle became synonymous with Alba.”

So the truffle is the first ambassador of the Langhe?

“Yes, it put the Langhe on the map. But we have a phenomenal economy in all sectors.
Ferrero produces the world’s supply of Nutella. There’s Miroglio, the second biggest Italian
apparel firm. The Pallinis invented Famiglia Cristiana, the second biggest Italian weekly. Now we have Unieuro Elettrodomestici and Eataly...Alba is an insane hotbed of activity.”

The Langhe area also has ties to the anti-fascist Resistance Movement.

“True. But it’s not as though we did anything out of the ordinary. We just knew how to tell
our story. Thanks to major writers like Cesare Pavese and Beppe Fenoglio. Once told, a thing
lives on. If it’s not told, then it’s already dead. The people of Alba have a great talent for telling
their story.”

And how do you account for that?

“We believe that everything happens on account of the wind. The answer is always in the
wind. The moist winds from the gulf of Genoa and Savona reach the cold air from the Alps, so
you can breathe in the sea air while you’re in the hills. This biodiversity extends to the vegetables and animals as well as to human beings, to their creative minds...

What part of the Langhe do you love best?

“I live in Novello, in the area of Barolo. Novello, Barolo, Morra and Monforte form a rectangle of beauty, a valley of splendors that is the valley of Barolo. Full of castles. Everything’s
special, and the period of the grape harvest is extraordinary. After that comes truffle season.”

What about tourism? Is the area well known to foreigners?

“Tourism grows forty percent every year. It mostly attracts rich tourists. They eat well and
sleep in castles... The number of rooms in agriturismi has tripled.”

And how do you spend your time?

“Walking in the countryside, visiting castles, wine cellars, farms, museums. There’s always
something to do.”

Do you have any advice for American tourists?

“Spend at least three days in the Langhe. It’s the best place to eat in Italy. The quality of life
is best. And the hilly panorama is first-rate. It’s on par with Montalcino and Chianti. Tuscany
only has one advantage over us – a hundred more days of warm weather! There’s a reason the
wine produced in Langhe is called Nebbiolo. We’ve got the fog (nebbia in Italian). But the
Langhe is cooler. And it’s good that fewer people come here. So come, but don’t come all at
once.”

Finally, is there a particular dish and wine you’d recommend?

 “We have the richest cuisine in Italy. A menu with 18 to 22 appetizers. Five first courses,
various second courses. And then there’s the cheese, among them Robiola. Gourmands consider beef from Piedmont to be the best in the world. The only beef to eat cruda (raw) raw. I’d recommend eating carne cruda with a glass of Dolcetto. Then try agnolotti al plin (pasta stuffed with three roast meats) with Barbera Superiore d’Alba. After that, brasato al Barolo and a glass of Barolo. For dessert, a light amaretto cake, a delicacy you have to eat with a glass of Moscato d’Asti.

How’s that for the ultimate journey?
Breathtaking landscapes, hillsides dotted with castles,
vine-laden slopes, a whole lot of history and one culture’s gift for storytelling. Not to mention
Oscar Farinetti’s gift for keeping this story alive in the world.

ENGLISH VERSION >>>

Dovevo intervistarti, era la prima volta. Sono entrata quasi intimorita a casa tua. In quello che, nel mio immaginario, era un tempio del design. E lo era. La luce filtrava da un enorme finestrone  e attraversava una lunga sala. C’era un profondo silenzio, ma sembrava ci fosse musica. Mozart forse...
 

In fondo, a sinistra una grande scrivania nera. Una lastra di metallo, di quelle che si usano per coprire gli scavi dei lavori in corso per le strade di New York, che solo tu potevi immaginare di usare in modo così accogliente per disegnare.  Lì seduti, intorno, avremmo fatto la nostra prima intervista video e lì - ma questo ancora non lo sapevo - avremmo poi avuto altre lunghe chiacchiarate senza tempo.
 

Ho cominciato chiedendoti perchè hai lasciato Milano. Mi hai risposto: “Perchè è troppo piccola, è provinciale. Il soffitto è troppo basso. Sono venuto a New York pensando che il soffitto fosse più alto e ho scoperto che qui il bello è che il soffitto non esiste.”

E’ stata questa risposta l’inizio della nostra amicizia. Adesso lo so. In poche, ma efficaci parole, mi hai fatto anche capire il perchè della mia scelta di vivere a New York.
 

E la nostra frequentazione è cominciata quasi da subito, ovvero da quel giorno in cui tu, ad una presentazione ufficiale, hai voluto trasmettere quell'intervista su un grande schermo. Non me lo aspettavo proprio.

Sapevo che i contenuti erano buoni,  ma avevo un pò il timore di un tuo riscontro estetico. Sì, è vero, ti temevo. Quando ho visto che la presentavi con orgoglio, seduta in un angolo della sala ho versato lacrime di felicità.
 

Conversazioni senza tempo. Li definirei così i nostri pomeriggi passati a parlare. Parlare di design, e non solo di design. Ma non era strano per te. Il design permeava ogni tuo respiro, il tuo rigore toccava ogni argomento.
 

‘Rigore’, una parola che potrebbe sembrare noiosa, ma che con te proprio non lo era. C’era la tua matita che lo disegnava, con quelle mani precise che non dimenticherò mai. C’era l’ordine e c’era anche il disordine ordinato, che piano piano mi hai fatto scoprire di te. Già il famoso Canone Vignelli. Quella formula, soprattutto per le giovani generazioni per te così fondamentali. Quelle regole che non comprimono la ceatività, ma la sviluppano.

Avevo davanti a me l’intellettuale in tutta la sua purezza. Un approccio alla vita denso di curiosità, desiderio di continuo approfondimento. Quel superare la superficie, sempre e comunque. Quella ricerca di fare sempre meglio, anche le stesse cose.
 

Parlavamo, e le tue domande mi davano l’impressione di darti oltre che di ricevere. Mi chiedevi di tutto, la tua curiosità cresceva in maniera esponenziale appena si trattava di qualcosa di tecnologico. Ricordo quando ti misi in mano il mio iPhone per puntare a un QR code e vedere un video su Youtube. I tuoi occhi, il tuo sorriso, la tua voce, diventavano quelli di un bambino. Stupiti davanti ad una nuova scoperta. Steve Jobs, come amavi parlarne… e poi il computer con tutto quello che comportava. Con quella difficoltà che dicevi di avere nell’usarlo. Ma forse non era proprio così. La tua matita prendeva semplicemente il sopravvento. Era una battaglia che non potevi vincere. Ma ricordo bene quando ti mettevi affianco a Mauro Sarri, che riportava sul computer i tuoi disegni. L’attenzione con cui lo seguivi. E poi davanti a te, sempre il tuo MacBook Air, il tuo iPad, il tuo iPhone. Immancabili.
 

Vero, la matita vinceva sempre. Un’altra delle cose, con cui mi hai stupito, è stata un foglio abbandonato sulla scrivania prima di una tua partenza. Sopra c'era la lista di cosa dovevi portare. Una lista che non era scritta, ma disegnata nei minimi dettagli, dagli indumenti intimi al caricatore dell’iPad.
 

E,  Massimo, sei stato accanto al nostro progetto editoriale come pochi. Lo hai fatto con infinita generosità. Seguendolo da vicino, ma anche con una rispettosa distanza. Hai visto nascere il nostro magazine, hai dato consigli per semplificarne la grafica, ci hai regalato un nuovo logo. Hai discusso con me sui contenuti.
 

Ci sono stati due momenti in cui hai preso la matita all’improvviso, come fai spesso tu, e lo hai fatto per noi davanti a me.
Non li dimenticherò mai. Quando hai cominciato a ripensare il nostro logo e quando hai disegnato la nostra 500. La matita, disegno in bianco e nero e poi quei pastelli che coloravano. Magici. L’insicurezza della tua mano, bellissima, che cercava all’inizio, il percorso giusto, i tratti perfetti. Poi la sicurezza della tua mente che aveva trovato la strada. Ed il tuo confrontarti con noi, il tuo chiedere anche consigli. “Che ne dici?”.
 

Una 500 tricolore? Poteva essere qualcosa di esteticamente pericoloso. Massimo, lo avevi capito prima di tutti. Hai voluto disegnarla tu. E’ per questo che mi hai detto: “Letizia non posso permettere che i-Italy giri a New York con una macchinetta banale. Vedrai, si noterà e sarà bella”.
 

E come posso dimenticare il giorno che l’hai vista realizzata? Te l’abbiamo portata sotto casa e tu hai cominciato a girarci intorno. Dieci volte? Si almeno. Ti piaceva, anche se il rosso non era esattamente quello che volevi. Ma ti piaceva. E la sera del Gala de LaFondazione, mi inseguivi dicendo: “Letizia, guarda che voglio tornare a casa con te, dentro la macchinetta!”
 

La mia redazione ti amava. Sei dentro il cuore di tutti. Quando lavoravamo insieme, filmavamo, tu interagivi con tutti.  Ricordavi i loro nomi. Uno per uno. Volevi sapere di loro. E Iwona Adamczyk, la nostra foto-reporter, che scrive di Italia e ama l’Italia più di tutti noi,  forse era la tua preferita.
 

Sono molti i ricordi che abbiamo insieme, Massimo. Eppure sono solo tre anni che ci siamo frenquentati. E, ora che non ci sei più, non posso spostare la mente da quelle ore dentro casa tua. Non ci saranno più. Sono tanti i momenti vissuti insieme.
 

Ricordo con quanta attesa hai aspettato dei mobili per coprire dei libri che distraevano lo sguardo nella tua sala. Chiunque avrebbe immaginato Massimo Vignelli alla ricerca di una soluzione costosa e 'firmatissima'.
 

Ma quello che secondo me – e te lo dico senza ombra di dubbio – è il più grande designer contemporaneo, sapeva amare anche IKEA. Raccontavi con ferma convinzione  come sono bellissime certe soluzioni anche economiche che la ditta svedese propone. E infatti ne scegliesti una proprio per i tuoi libri.
 

Mentre parlavamo, una presenza costante. Quella di Lella. La tua compagna, la tua vita, inghiottita nell’Alzaimer. Piano piano ho capito che la portavi dentro. Ancora di più.  Anche quando non era, silenziosa, seduta nella nostra stanza. Anche quando mi dicevi: Lella non c’è.

E ho capito che l’intellettuale ancora una volta aveva preso il sopravvento in te. La studiavi, studiavi la sua malattia, la sua mente. Avevi chiesto aiuto alla tua intelligenza per amarla sempre di più.
 

Lella. E negli scorsi mesi esce il tuo omaggio a lei. Stupendo. Elegante. Unico. Design by Lella, una panoramica sul lavoro che avete sviluppato insieme, non solo nel campo del design, ma anche degli interni, oggetti di arredamento, allestimenti, moda, gioielli. Un  libro elettronico che riassume tutta la vostra vita, ma che soprattutto celebra Lella e  le donne. Le donne nel design. Tutte le donne.
 

Lo so che mandarlo in giro in formato elettronico fa parte di una tua scelta. Della tua constatazione che la rete ha vinto sulla carta – la carta che è stata fondamentale per il tuo design – ma io spero che presto venga pubblicato, che diventi un libro da toccare.
 

Le donne, i giovani, i bambini, le coppie nel lavoro. Punti importanti per te. Rispettavi l’universo femminile come pochi sanno fare. Amavi i giovani e lo facevi in maniera critica e costruttiva al tempo stesso. Eri vicinissimo ai bambini.  
 

Ti immedesimavi subito con le altre coppie, che come la tua, lavoravano insieme. Ed è successo anche con noi quando hai conosciuto il mio compagno. Lo hai fatto entrare nella tua vita. E con lui parlavi anche di politica, argomento che io non amavo troppo toccare.  Quanti consigli ci hai dato. Speriamo di riuscire a seguirli.
 

Chiudo questo ricordo di te che rivolgo a te. Prima di tutto. Lo faccio riportando una tua email. Email che cosa mi ha rivelato ancora una volta la tua grandezza non solo intelluttuale, ma anche umana.

“Ti ringrazio per avermi portato copie di i-Italy e soprattutto per lo spazio dedicatomi. Sei veramente un tesoro. La rivista diventa sempre meglio e sempre più vera…. Nel testo dell'intervista c’è un grosso errore di interpretazione e traduzione, ma non importa tanto i lettori non se ne accorgono… Tu hai tradotto "scala " con "scalinata". Il fatto è che non parlavo di scalinate, ma di scala come valore intangibile, che in inglese si traduce in "scale" con lo stesso significato intangibile che ha in italiano. Il difetto è che in italiano si usa la stessa parola, ed il significato cambia nel contesto d'uso. Se tu sostituisci "Staircase" con "Scale", vedrai che tutto va a posto. Non parlavo di scalinate, ma di ben altro….! Prova a  rileggere quel paragrafo e vedrai la differenza.

Come ti ho detto non ti preoccupare, non è una pubblicazione scientifica, che altrimenti ci farei una brutta figura, ma qui nessuno se ne accorge ( almeno spero…)

Il più grande designer della contemporaneità. Mi dispiace che, ancora una volta, l'Italia se ne è accorta troppo poco. Anzi pochissimo. Lo so, tu dici:  tutta colpa del soffitto...

Massimo, grande Massimo.