Prima a teatro, poi il cortometraggio, adesso la versione filmica; ci dica: com’è nato il progetto?
È nato per la passione di culture diverse. Leonardo è l’architetto che unisce passioni, pensieri e parole, e quindi ho voluto partecipare a questa costruzione…insieme a Leonardo!
Lo spettacolo nasce all’interno di una mia ricerca iniziata negli anni ‘90 a Roma, al Teatro Eliseo, dove mettevo insieme i migliori filosofi e i migliori scienziati per domandarci cosa significasse conoscenza, e ho scelto come logo l’uomo di Vitruvio; è una ricerca che ancora mi inquieta, mi accompagna, e che ha trovato ad oggi sulla strada centinaia di repliche dello spettacolo e un progetto composto da due azioni: un cortometraggio, di 23 minuti, per i festival e per i sistemi educativi, come musei, università, college, workshop, e il film, che uscirà in primavera, di 75 minuti circa, previsto per le sale cinematografiche e successivamente per la televisione.
Ma come dicevamo, tutto è partito dal teatro...
Si, è un cinema che viene dal teatro, e questo è un ulteriore valore, perché unire l’interpretazione teatrale con il 4K (standard per la risoluzione della televisione e del cinema digitale, nda), utilizzare una drammaturgia di pensiero, coniugare un drone e portarlo dentro una cascata con le parole di Leonardo, questo mix, è la forza del film. Abbiamo mescolato gli strumenti tecnologici del cinema digitale più avanzato con un background fortemente di teatro europeo novecentesco.
Come procede la realizzazione del film?
Siamo a 60 minuti di girato e stiamo per completare; una parte verrà girata qui a New York per 2 giorni, dove andremo a prendere scorci naturalistici di Central Park, entreremo nella storica libreria Rizzoli, dopodiché ci concentreremo sui ponti e i percorsi di acqua, che sono temi che a Leonardo sarebbero piaciuti, come il concetto di verticalità. Leonardo di New York si sarebbe sicuramente innamorato di una cosa: the stone, la pietra. Perché senza la pietra, senza la sua riflessione sulla geologia, la città non sarebbe cresciuta.
Una volta tornati in Italia finiremo di girare due parti, a Firenze e Urbino.
Quali sono le altre location?
Il film ha due peculiarità: la lingua di Leonardo (il film è in lingua originale rinascimentale, nda) e il fatto di aver girato nei luoghi dove è nato, è vissuto, ha lavorato ed è morto. Ecco perché ho fatto il film: perché solo con il cinema possiamo far tornare in vita chi non c’è più. Quindi è stato girato a Vinci, Milano, Amboise, Vigevano, Vaprio d’Adda, Clos Lucé.
Come pensa che Leonardo sia rappresentato nell’immaginario collettivo americano?
Leonardo in America è il genio, e il genio piace al popolo. Questa è infatti una delle scene finali del film. Leonardo nel film non appare all’uomo di potere, ma in un sotterraneo di un castello deserto, dove di fronte ha il popolo, la gente. A loro fa una profezia: che gli uomini siano uniti dalla comunicazione. Leonardo è il più potente social network che abbiamo, li ha inventati. Perché ha messo insieme due elementi: l’identità dell’arte, l’immagine, di cui noi oggi viviamo, ma insieme ci ha offerto il metodo, perché è stato uomo di scienza. Oggi l’economia ha in mano un metodo, che è quello del digitale. Il digitale è un metodo di comunicare, non è un fine. Leonardo ha messo insieme un metodo della scienza con l’immagine dell’arte. Ecco perché dopo secoli continua ad essere un’icona. Questo è l’aspetto bello, l’aspetto brutto è che viene spesso percepito come un logo di marketing, come un brand, viene semplificato.
Quindi il tentativo è quello di riportarlo in profondità?
Non vi è dubbio. Leonardo chiede pensiero, chiede studio, chiede formazione. Non è un adesivo che possa essere messo sopra ogni cosa che possa funzionare genialmente, quella è bassa pubblicità. Noi cerchiamo un’altra via.
In questo film infatti gli dà voce con l’intervista impossibile.
Esatto. Il film parte con due giornalisti che si ritrovano entrambi a scrivere un pezzo per la ricorrenza dei 500 anni dalla morte di Leonardo. È quindi un omaggio anche ai giornalisti, a quel giornalismo che continua a fare domande dirette, che si nutre di curiosità. I due giornalisti sono uno molto giovane, a inizio carriera, tecnologico, che farebbe l’intervista anche a distanza. L’altro invece, a fine carriera, ancora con carta e matita, che chiede di andare a intervistare Leonardo nella sua casa. Entrambi fanno delle domande attraverso una sana ignoranza, ossia quelle senza pregiudizio, che vanno direttamente a volere una risposta.
Quanto è importante il rapporto con New York?
Leonardo amava l’idea di una città ideale, amava l’idea che la città fosse il risultato di energia e funzionalità.
E cosa intendiamo per città ideale nell’immaginario di Leonardo?
Una città dove uomini e merci hanno due vite separate, dove gli uomini hanno una qualità di vita e il movimento delle merci, del mercato, è parallelo e non sovrapposto. Ludovico Sforza non gli permise di realizzare questo suo progetto di città a doppio livello (città sotterranea dove si muovessero le merci, città superiore dove si muovessero gli uomini), e forse neanche New York ha realizzato questo ideale. Però c’è una spinta degli uomini a volere questo modello, a cercare di stare assieme con creatività. Questa è la prima dote che Leonardo ci ricorda: tenere insieme, con la creatività, la capacità del sapere con il saper fare, quindi anche una capacità di problem solving, e New York è una città che sicuramente si pone questo problema. Tra i tanti ruoli di Leonardo che metto nel film, pongo per l’appunto prima di tutto quello di eco-designer. È stato il primo nella storia a riflettere sulle forme della città e del vivere umano insieme alla natura, mai contro. Ci chiede infatti di essere inventori e interpreti di natura e di uomini, è la prima battuta di Leonardo nel mio film. Siamo sempre più razionali ma stiamo perdendo l’istinto animale. Seguirlo vorrebbe dire tornare a camminare verso la natura per cercare di ispirarci. Questa è una via che nel film è abbastanza presente: i flashback di Leonardo durante l’intervista nelle scene di interni, ce lo riportano di fronte a una cascata, a un tramonto, a un sentiero, in spazi aperti e naturali.
Procede dunque per immagini dicotomiche?
Dicotomiche e tricotomiche: il film inizia che Leonardo è alla fine della sua vita in Francia, poi con un flashback lo rivediamo adulto in Lombardia e bambino in Toscana. Nel corto sono due dimensioni, il bambino e l’anziano; nel film abbiamo tre Leonardo: il filosofo Leonardo alla fine della vita, che evoca il Leonardo artista, tecnico, che senza il bambino Leonardo non sarebbe esistito. Dovremmo tornare a giocare coi bambini, giocare come esercizio a capire.
Quali sono i prossimi appuntamenti?
Parigi, tra il 10 e il 20 novembre e Milano tra il 20 e il 30 Novembre. Dopo, ci piacerebbe cominciare un percorso educational nella rete delle università e dei festival di tutti gli Stati Uniti. Seguendo una via che ci porterà a concludere questo percorso il 18 ottobre 2019, dove il film sarà al centro di un workshop internazionale alla UCLA a Los Angeles. L’obiettivo è il mercato americano.
Source URL: http://iitaly.org/magazine/focus-in-italiano/arte-e-cultura/article/being-leonardo-da-vinci-intervista-massimiliano
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