Ci sono volute diverse ore prima di poter mettere le mani sul mio computer e scrivere dell’improvvisa scomparsa di una persona a cui la cultura italiana deve molto e che ho avuto l’onore di conoscere e frequentare.
L’ho saputo mentre ero a Washington per il Gala 40mo anniversario della Niaf (Italian American Foundation), istituzione che come molte altre deve tanto alla Baronessa Zerilli-Marimò, icona della promozione della cultura italiana in America. Subito un grande vuoto dentro di me, e poi la voce rotta per telefono di quello che forse è stato il suo più grande amico, oltre che collaboratore, Stefano Albertini direttore della sua Casa Italiana da diciassette anni. Sarà una perdita difficile da realizzare, tanto era viva la sua presenza, anche se negli ultimi anni passava più tempo a Montecarlo che negli Stati Uniti. Ma “La Baronessa”, come tutti la chiamavamo, ci è stata vicina egualmente, attraverso email, commenti al nostro lavoro, incoraggiamenti, incontri quando veniva a New York e voleva sapere come procedeva il nostro progetto. Era consapevole che stavamo portando avanti un lavoro non facile, e voleva sapere tutto. La ricordo nel nostro ultimo incontro, ferma e materna al tempo stesso, pronta a fare le sue critiche come i suoi apprezzamenti. Lì nella sua stanza d’albergo, dopo aver venduto la sua splendida casa davanti al Central Park—luogo straordinario, dove sono passati tanti nomi che fanno parte della storia americana e italiana. I suoi occhi scrutavano tutto con dolcezza, pieni di curiosità. E quel giorno sono andata via sempre più grata per i consigli ricevuti da una donna che mi appariva non solo lucida e razionale ma giovane dentro, costruttiva, piena di vita. E soprattutto una persona che sapeva ascoltare, virtù oggi sempre più rara. Devo molto a lei come donna, e non parlo di donazioni o finanziamenti. E’ stata per me un vero “mentor”. Era la sua fiducia, il suo ottimismo, nonostante la profonda consapevolezza delle difficoltà di un’impresa editoriale a New York, che me la faceva sentire vicina e mi rendeva indispensabile vederla. Il nostro è stato un rispettoso rapporto da donna a donna, tra due persone molto diverse, ma che condividevano una grande passione per la trasmissione della cultura italiana. Mariuccia Zerilli-Marimò. Una signora d’altri tempi, ma così “contemporanea”, attenta a tutto ciò che di nuovo nasceva intorno a lei, si è sempre dedicata con grande generosità e senza risparmiarsi alla diffusione della cultura italiana negli Stati Uniti. Non solo attraverso contributi finanziari ma partecipando personalmente ai progetti che sceglieva di seguire. E’ così che è entrata a far parte, direi con estrema dolcezza, del tessuto culturale profondo del mondo italiano di New York e degli Stati Uniti. Abbiamo parlato tante volte del suo passato, di quel marito che l’ha lasciata cosi presto e che lei ha voluto far rivivere attraverso un impegno vastissimo di promozione culturale. Ne abbiamo parlato in privato, come davanti ad una telecamera. E lei era sempre coerente, una persona vera, che certo conosceva bene le regole dell’alta società, ma sapeva rimanere se stessa, sempre. Donna elegante e sofisticata, era anche capace di una semplicità disarmante. Era vicina ai giovani con una dolcezza ed intensità rare, e per questo soprattutto la nostra redazione sotto i trentanni amava lavorare con lei, come del resto tutti i collaboratori, gli interns e lo staff della Casa Italiana che la ricorderanno per sempre. E due tra i tanti, i più vicini credo: Julian Sachs ed Elsa de Giovanni. E che dire del mondo accademico? I nomi di Ruth Ben Ghiat e di Antonio Monda vengono subito alla mente per la loro assidua frequentazione della Casa. E poi la fondazione Tiro a Segno, importante risorsa da lei voluta come liason con mondo italo-americano. Per lei infatti promuovere la cultura italiana ha sempre significato anche avvicinarsi alla cultura italo-americana, scongiurando quella cesura tra i due mondi che, soprattutto anni fa, rischiava di approfondirsi. Tra i suoi amici e collaboratori di una vita infatti, tantissimi americani, italiani ed italo-americani. Come anche nel Board della Casa, alla cui ultima riunione avevo assistito la scorsa primavera, per filmarne una parte. La Baronessa si muoveva sempre a suo agio tra i suoi amici e collaboratori di una vita, come Matilda Cuomo, Katherine LaGuardia, Dominic Massaro, Steve Acunto, tra gli altri... Mariuccia Zerilli-Marimò ha contribuito a realizzare tanti progetti importanti, ma la Casa Italiana della NYU era certo la sua creatura speciale. Fondata nel 1990, per ricordare ed onorare il marito Guido, industriale farmaceutico, diplomatico e raffinato intellettuale, utilizzando il patrimonio ereditato per cause benefiche, è diventata, negli anni, uno straordinario centro della cultura italiana. E Stefano Albertini, suo storico direttore, ha lavorato con lei in maniera esemplare, contribuendo a valorizzare un impegno filantropico che non ha uguali nel mondo per profondità e competenza. Una magica vicinanza che lasciava già far intendere che il suo lascito, un giorno, non sarebbero state solo le mura di un luogo stupendo, le sue mille attività, le borse di studio, ma anche una direzione culturale e organizzativa in grado di perpetuare la sua missione. Grazie a tutto questo la sua presenza continuerà ad essere viva, perché la cultura è fatta di passione e di libertà che lei, prima di tutto, ha trasmesso a tutti. Il suo mecenatismo è stato tanto tanto piu’ prezioso perche portato avanti senza preconcetti e condizionamenti, e sempre nel rispetto della diversità. Un modello certo per molti e un invito a seguire le sue orme. Baronessa Mariuccia Zerilli-Marimò, sei con tutti noi.
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