Pare che la prima forma di comunicazione verbale fra esseri umani sia stata molto vicina a ciò che noi possiamo definire come “canto”. Cioè l’emissione dalla bocca di suoni legati tra loro secondo una struttura comunicativa in senso emotivo. I nostri primi antenati per parlarsi, insomma, usavano dei suoni formati con una logica dettata dai sentimenti o dalle urgenze del momento. Se potessimo ascoltare alcuni di questi “dialoghi” forse ci metteremmo le mani ai capelli, o sulle orecchie, eppure prima ancora del linguaggio c’era qualcosa di musicale tra noi.
Forse chi ascolta oggi certi brani di hip-hop avrebbe potuto facilmente capire i nostri antenati…Comunque la voce non a caso viene definita come “first instrument”: il primo mezzo per emettere suoni articolati e gradevoli (o sgradevoli, secondo i casi).
Nel jazz la voce ha avuto un ruolo di primo piano a ondate storiche: negli anni ’20 e ’30, ad esempio, cioè in quel periodo che viene comunemente definito “The Jazz Age” dove la popolarità di questa musica ha raggiunto il suo primo apice e dove sono nate tante di quelle canzoni che chiamiamo standard, o se vogliamo evergreen. Cioè talmente belle che hanno una vita eterna. La voce come strumento di grande attrazione nel jazz ha avuto una sua rinascita anche in tempi recenti, diciamo dagli anni ’90 in poi. Tanto che oggi persino cantanti che col jazz non hanno mai avuto a che fare cercano di cimentarsi con quel repertorio, da Rod Stewart a Lady Gaga.
Il fatto è che la voce se ha un timbro gradevole, se è bella e persuasiva, se è capace di toccare le corde più intime del nostro animo, ha un potere che a nessun altro strumento è concesso. Perché? Semplice: tra noi e il canto non ci sono intermediari, oggetti materiali come una tromba, un pianoforte o una batteria. C’è solo l’aria che trasmette le vibrazioni, e queste si traducono in sentimenti dentro. Immediatamente. Quante volte nell’ascoltare un cantante o una cantante ci siamo detti subito: “Questo è Frank Sinatra! Questa è Barbra Streisand! Ella Fitzgerald!”.
Il tono delle loro voci è così comunicativo e riconoscibile che ci è diventato familiare come quello dei nostri genitori o amici. Anzi, le andiamo a cercare queste voci quando ne abbiamo bisogno, quando nel segreto della nostra anima sentiamo la necessità di qualcuno che ci possa riconciliare con la vita se siamo depressi o tirare ancora più su quando siamo felici. Cantare ci appartiene, non ne potremo fare mai a meno. Per fortuna! Nel jazz italiano, però, a differenza della grande tradizione dell’Opera, non abbiamo quasi mai avuto grandi cantanti. Spesso degli umili imitatori degli americani, ma mai delle vere star. Sarà la barriera della lingua, perché la tradizione del jazz è di natura anglosassone e quindi molto differente dalla scansione delle lingue latine, o sarà altro, comunque oggi possiamo ritenerci fortunati ad avere una grandissima cantante italiana di jazz in America che si chiama Roberta Gambarini. Giustamente molto acclamata. E ne abbiamo almeno un’altra di straordinaria bravura in Italia: Maria Pia De Vito. E gli uomini? Purtroppo molto pochi.
Accontentimoci di aver avuto il grande Frank Sinatra che italiano di famiglia lo era, così come possiamo ancora essere orgogliosi di Anthony Dominick Benedetto, che ci delizia tuttora alla bella età di 88 anni col nome d’arte di Tony Bennett, nato anche lui da immigrati italiani. Il canto, comunque, ce lo abbiamo nel sangue!
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