Il Salinadocfest è prima di tutto un miraggio, un sentimento. L’idea è nata dieci anni fa, mentre facevo un viaggio in nave. Stavo lasciando l’isola dove, da quando ero piccola, vado a trascorrere le mie vacanze e parte dell’anno d’inverno quando la pena di vivere nella capitale si fa più opprimente. E come sempre di fronte alle coste che si allontanavano provavo quella fitta di dolore che prende quando lasci una persona che ami.
Rileggevo le pagine di Don Chisciotte, che come me si sente libero solo quando viaggia, in movimento. Il Don Chisciotte, per cui esiste solo il viaggio, mai il traguardo.
Un amico al porto mi aveva salutato con un’espressione malinconica sul viso: - quando la nave supererà la punta di Milazzo – mi disse - tu non ci penserai più e noi torneremo ad essere invisibili nella nostra solitudine isolana. Mi tornarono in mente le parole di un film girato in Sardegna dai miei “due padri”, Padre Padrone, quando Gavino Ledda, pastore sardo laureatosi in glottologia contro il volere del padre, si rivolge agli spettatori, mentre la macchina da presa panoramica inquadra un paese desolato dell’entroterra sardo.
“Ora la vedete così la nostra Sardegna – diceva –, bella e con il sole. Ma tornateci in inverno, quando le piazze sono vuote, e la solitudine uccide la nostra giovinezza”.
Pensai al destino di noi documentaristi, destinati come gli isolani all’invisibilità nel nostro paese, condannati all’isolamento e alla solitudine.
Giorni prima durante una cena con gli albergatori e i ristoratori del luogo, tutti amici di infanzia che hanno intrapreso l’unica carriera possibile in un’isola, quella del turismo, avevamo fantasticato sotto l’effetto della dolce malvasia eoliana, di possibili futuri scenari per l’isola, che è così bella quando arriva l’autunno, il mese delle vendemmie, e che si fa conoscere solo nel mese più caotico dell’anno, Agosto. – Facciamo qualcosa che allunghi la stagione turistica a Settembre - mi avevano detto –, ed io in un momento donchisciottiano avevo risposto: - Ma certo! Portiamo nell’isola che amo il lavoro che amo! –
Così decisi di mettere insieme le mie due passioni (l’amore per il cinema e per le isole) e di fare un Festival dedicato al documentario narrativo nell’isola di Salina, per riaccendere le luci su un genere dimenticato e su un arcipelago che un tempo fu meta di grandi registi, ma anche pellegrinaggio di molti scrittori viaggiatori: già Goethe definiva la Sicilia “un deserto di fecondità”, con un ossimoro che rende bene la contraddittorietà delle nostre isole, bellissime e terribili; Alexandre Dumas in Viaggio in Sicilia è ancora più preciso: “Bordeggiammo per una parte della giornata; avevamo il vento sempre contrario. Passammo poi in rivista Salina, Lipari e Vulcano scorgendo, ad ogni passaggio tra Lipari e Salina, lo Stromboli scrollare all’orizzonte il suo pennacchio di fiamme”; oggi Lidia Ravera, in A Stromboli: “E’ la lontananza, la chiave di questa ottusa felicità. Sono, finalmente, lontana. Da che cosa esattamente non lo so, ma mi pare che non abbia importanza. Dalla terraferma. Dalla città. Dalla realtà. Non lo so. Mi sento lontana e basta”.
Isolani sì, Isolati no! fu da subito il nostro motto e nel giro di due anni il Ministero dei Beni Culturali e l’Assessorato al Turismo della Regione Sicilia ci inserirono nei loro calendari dei grandi eventi. Avevano colto la nostra sfida per un turismo culturale e destagionalizzato che portasse il mondo nell’isola attraverso la cultura e aprisse nuovi spiragli ai giovani isolani.
All’inizio non è stato facile. Gli isolani erano diffidenti come sempre succede quando arriva lo straniero con idee “folli” e persino incoscienti, come sempre in ogni gesto nuovo e rivoluzionario (penso ancora a un film come Allonsanfan e alla spedizione fallita dei protagonisti traditi dagli stessi contadini che erano andati a salvare). Ma come Chisciotte non ci siamo mai persi d’animo e non ci siamo mai lasciati battere dalle sconfitte; fino a quando un giorno approdata come ogni anno al molo di Salina, fui raggiunta da un amico del porto, lo stesso che mi aveva salutato malinconicamente anni prima. Aveva sotto mano alcuni dvd che custodiva gelosamente: erano documentari che durante l’inverno si era procurato a Messina, “perché ormai – diceva - passo il mio inverno a vedere documentari”.
Capii che ce l’avevamo fatta. Così iniziammo questa avventura meravigliosa che compie oggi 8 anni e che per ogni edizione ha avuto un tema, frutto della riflessione attenta sulla realtà che ci circonda: Il mio paese nel 2007 (dove l’aggettivo “mio” voleva mettere l’accento sul carattere personale e soggettivo del documentario, che niente ha a che fare con il reportage televisivo). Miglior documentario Primavera in Kurdistan di Stefano Savona (bellissima selezione con, tra gli altri, Grido di Pippo Delbono Il passaggio della linea di Pietro Marcello Il fantasma di Corleone di Marco Amenta). Fughe e Approdi nel 2008, gli anni dei primi sbarchi del Mediterraneo. Miglior documentario Come un uomo sulla terra di A.Segre e D. Imer. Gli invisibili. Miglior documentario Padre nostro di Carlo Lo Giudice. L’identità (per i 150 anni del nostro paese). Miglior documentario Corde di Marcello Sannino. Confini e orizzonti: Uniti dal Mediterraneo (per l’anno delle primavere arabe).
Miglior documentario Taharir di Stefano Savona. Esercizi di Resistenza: Quale futuro? Miglior documentario Le cose belle di A. Ferrente e G. Piperno. Bene comune. Miglior documentario Il muro e la bambina di Silvia Staderoli.
Grazie al SDF e alla potenza del documentario, che vogliamo definire un vero e proprio “defibrillatore sociale”, abbiamo riattraversato la storia del nostro paese degli ultimi otto anni: la perdita della cultura come bene comune; le politiche migratorie che hanno tradito il fondamento stesso della civiltà (il diritto a spostarsi); il Mediterraneo come muro del lutto e del pianto, e non più come crocevia di scambi e conoscenze, il rapporto tra identità e alterità; la rimozione degli invisibili. Una nave chisciottesca che non smette di lottare contro i suoi mulini a vento e che ha le sue due grandi àncore a prua e a poppa, nella letteratura impegnata del nuovo secolo e nel cinema della realtà, il documentario narrativo, consapevoli che si può – si deve – documentare la realtà raccontando una storia, con un punto di vista, un intreccio narrativo, la musica, dei personaggi.
E ora pronti per una nuova edizione, che dedicheremo al grande tema di questo secolo: DONNE E MEDITERRANEO, per cercare di capire cosa significa oggi essere una donna nel nuovo scenario culturale sociale e politico di ieri, di oggi e di domani.
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