C’è qualcosa di profondamente commovente nell’immagine del signore anziano e della signora accanto a lui, tutti e due lì, all’angolo di Washington Place e Greene Street a Manhattan. Questo luogo è carico di ricordi che scuotono profondamente chiunque conosca i dettagli dell’incendio della fabbrica di camicie del Triangle che il 25marzo 1911 uccise 146 lavoratori, per la maggior parte emigrate italiane ed ebree.
L’incendio, che fu causato dalla mancanza di adeguate misure di sicurezza, scoppiò alle 4 e 40 del pomeriggio di una giornata di sole primaverile, all’ottavo piano, e in pochi minuti si propagò agli altri due piani della fabbrica.
Molti riuscirono a scappare grazie al coraggioso intervento dei due operatori dell’ascensore, Joseph Zito e Gaspar Mortillalo, i quali andarono su e giù con l’ascensore cercando di salvare quante più operaie possibile.
Altri riuscirono a sfuggire alle fiamme salendo sul tetto, compresi i proprietari della fabbrica che quel giorno si trovavano lì. Al nono piano nessuno fu avvisato dell’incendio.
Quando ci se ne rese conto era ormai troppo tardi. Un’uscita era bloccata dalle fiamme. Un’altra dalle porte chiuse a chiave dai proprietari per far sì che le borse delle operaie potessero essere controllate all’ uscita dal lavoro, in caso qualcuna avesse preso di nascosto una camicia o un pezzo di stoffa. Non c’era via di scampo. Una cinquantina di operaie si buttò dalle finestre, schiantandosi sull’asfalto. La folla assistette impotente a questo spettacolo terrificante. In mezz’ora era tutto finito.
Erano giovani queste donne, queste ragazze. La piu anziana aveva 43 anni. Erano ragazzine, come la quattordicenne Rosaria Maltese, la zia del signore che osservo oggi, lì, in piedi, all’angolo sud est di quella che una volta si chiamava la Palazzina Asch (oggi Brown Building), dove si trovava la fabbrica.
Quest’uomo tiene viva la memoria di Rosaria, la zia che non conobbe mai, della sorella di lei, Lucia, di vent’anni, e della madre trentanovenne delle due ragazze - la nonna del signor Maltese - tutte e tre morte nell’incendio.
Ogni anno partecipa alle commemorazioni. “Una volta”, racconta, “portammo 146 fiori”.
Un fiore per ogni persona che morì nel peggiore disastro industriale della storia della città di New York. L’incendio del Triangle è riconosciuto dagli storici come un evento che cambiò l’opinione pubblica riguardo all’intervento governativo nei rapporti tra operai e proprietari di fabbrica e condusse ad importanti leggi sul lavoro.
E’ lì, questo signore, proprio di fronte a due delle targhe commorative a Washington Place (una terza si trova su Greene Street). Ma oggi non è il 25 marzo. Oggi è il 22 maggio 2014. E non c’è nessun anniversario.
Ma c’è un altro motivo per questo momento di commemorazione che ha portato una trentina di persone al sito del Triangolo. Il motivo è la signora che, visibilmente commossa, è in piedi accanto al signor Maltese.
E’ Laura Boldrini, dal 2013 Presidente della Camera dei Deputati in Italia, in visita ufficiale a Washington e a New York. Ha insistito per trovare il tempo, in queste giornate fitte di visite, per recarsi al sito della Triangle Shirtwaist Factory e rendere omaggio alla memoria delle vittime. Quando arriva stringe la mano ai presenti, tutti ansiosi di incontrarla. Poi rivolge l’attenzione al signor Maltese, gli stringe la mano e gli parla calorosamente.
Ad accompagnare la Presidente durante questa visita pomeridiana al sito della fabbrica del Triangle sono anche Natalia Quintavalle, Console Generale d’Italia a New York, e il Console Aggiunto Roberto Frangione, oltre a membri della delegazione della Presidente e a giornalisti italiani.
L’Italia è venuta a ricordare l’incendio. C’è anche Bob Lazar, ex direttore dell’Archivio del Sindacato Internazionale dei Lavoratori del Settore Tessile Femminile, e rappresentanti della New York University.
Dopo che la Presidente posa un mazzo di fiori ai piedi delle targhe commemorative, ci avviamo tutti al Labor Archive, a un paio di isolati di distanza, sotto la guida di Timothy Naftali, Direttore della Tamiment Library e del Robert F. Wagner Labor Archive alla New York University.
Dopo una breve fermata alla mostra su Verdi prendiamo l’ascensore per il decimo piano ed entriamo in una sala dell’Archivio della storia dei lavoratori. Erika Gottfried, Curatrice delle Nonprint Collections, infila sottili guanti bianchi prima di toccare i documenti d’archivio che sta per mostrare alla Presidente: fotografie, giornali, un’insolita collezione di caricature di attivisti di sinistra del primo novecento. E’ qui, in questa sala, che il signor Maltese con delicatezza tira fuori da una valigetta di pelle ricordi delle tre donne della sua famiglia e dell’incendio. Li fa vedere alla Presidente Boldrini, che li guarda con attenzione e riceve con gratitudine alcune carte - un cartolina con un’immagine delle due ragazze e della madre, la lista delle vittime ed altri ricordi - che il signor Maltese le vuole dare.
Ed è qui che ho l’opportunità di parlare con la Presidente dell’incendio e del significato personale che questo episodio storico ha per una come me che alla fine degli anni settanta ha partecipato alle dimostrazioni femministe a Catania, dove ero studentessa universitaria. Eravamo lì a protestare per i diritti delle donne e ci ricordavamo del legame di sorellanza che ci univa alle donne morte in un incendio di una fabbrica di New York circa 65 anni prima.
Allora non sapevo molto dell’incendio - non sapevo il nome della fabbrica né la data (pensavamo che fosse successo l’8 marzo e che la Giornata Internazionale della Donna fosse stata creata per commemorarlo) né di che tipo di fabbrica si trattasse, e senz’altro non sapevo che molte di queste donne erano italiane, persino siciliane, proprio come me. Dopo qualche anno mi trasferii negli Stati Uniti e diventai una studiosa di letteratura, e il mio femminismo sarebbe stato sopito per un po’.
Quando questo mio femminismo si sarebbe risvegliato attraverso il lavoro fatto assieme a delle scrittrici e studiose italo americane, con esso sarebbe riemerso il ricordo dell’incendio del Triangle che portavo nel cuore quando protestavamo sulle strade di Catania. Ne appresi i dettagli. E appresi chi erano le protagoniste.
Nel 2001, col sostegno di Stefano Albertini, Direttore della Casa Italiana Zerilli-Marimò alla New York University, che aveva generosamente aperto le porte della Casa ad eventi culturali che rappresentavano con dignità l’esperienza italo americana come un fenomeno culturale e storico complesso e complicato, il Collettivo delle Donne Italo Americane organizzò una commemorazione del novantesimo anniversario dell’incendio del Triangle. Quella commemorazione, e le conversazioni che la ispirarono, diedero vita ad una crescente ed ampia consapevolezza dell’incendio del Triangle come evento chiave della storia italo americana.
Mi ricordo che quell’anno in Italia parlai dell’incendio con studenti universitari e colleghi italiani, con la scrittrice Maria Rosa Cutrufelli e con Bruna Morelli a Radio Popolare. Sentivo il significato importante dell’Incendio come evento storico che legava donne italiane separate da un oceano. Volevo riportare il ricordo delle donne del Triangolo in Italia come parte di una storia condivisa. Quest’anno, nel 2014, il primo libro italiano sull’incendio (Camicette bianche di Ester Rizzo) è stato finalmente pubblicato in Italia e c’è persino un movimento per intitolare alcune strade alle vittime. Qualcosa messasi in moto tanto tempo fa si sta finalmente realizzando.
Durante questa visita ufficiale a Washington e a New York, la Presidente Boldrini ha incontrato italiani che sono venuti negli Stati Uniti per seguire aspirazioni di carriera che non potevano realizzare in Italia. Questa è un’esperienza che tocca la mia famiglia doppiamente. Sia io che mia sorella Claudia ci siamo trasferite negli Stati Uniti. Abbiamo studiato qui e abbiamo trovato il tipo di lavoro che desideravamo. Ci siamo sposate, abbiamo avuto figli. Ci siamo fatte una vita in questo paese, che adesso è il nostro paese, ma siamo anche italiane. E mentre distanza storica e condizioni economiche ci separano dalle donne e dalle ragazze della Triangle Shirtwaist Factory -moltissime emigrate recenti di allora - un legame profondo ci unisce: l’essere italiane ed italo americane. Avanti e indietro. Tra due paesi. Un piede qui e l’altro lì. E’ il nostro racconto, la nostra storia.
Dopo la visita al sito del Triangle e all’Archivio, al Consolato la Presidente Boldrini parla al pubblico presente dell’orgoglio che ha sentito nell’incontrare tutti questi italiani che sono venuti a realizzarsi professionalmente negli Stati Uniti. I cervelli in fuga. Sente orgoglio, dice, ma anche rabbia perché un paese che costringe i suoi figli ad andarsene è un paese che si impoverisce. Vuole cambiare questa traiettoria. Vuole essere un ponte. Le sue parole mi toccano il cuore. Non c’è nulla di trito o preparato nel suo discorso che è politico nel senso migliore della parola. Per la prima volta in tanti anni mi sento rappresentata da una figura politica italiana.
E ritorno a quell’immagine commovente di un’imprtante rappresentante dello Stato Italiano e un discendente di emigrati italiani di oltre un secolo fa che condividiono lutto e ricordo, da italiana e da italo americano.
Sì, sento la possibilità - la realtà di un ponte.
Edvige Giunta insegna alla New Jersey City University
Source URL: http://iitaly.org/magazine/focus-in-italiano/opinioni/article/la-possibilita-la-realta-di-un-ponte
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[1] http://iitaly.org/files/triangleshirtwaistfactorylauraboldrininew1401122236jpg
[2] http://www.i-italy.org/node/38077