Apprendiamo dalla cronache che la Corte dei Conti ha avviato una procedura per chiedere 234 miliardi di euro a S&P come risarcimento dei danni apportati all’Italia per averne declassato la valutazione senza tenere conto dell’ingentissimo valore del patrimonio artistico e culturale. Coinvolte anche le agenzie Moody’s e Fitch. Solleva lo stesso problema anche la magistratura di un piccolo centro pugliese, Trani.
Insomma qualcuno comincia ad accorgersi dell’immenso valore, non solo culturale ma anche concreto, dei nostri musei, gallerie d’arte, basiliche, cattedrali, chiese, conventi, castelli, palazzi, residenze nobiliari, rovine, resti e zone archeologiche di due millenni fa. Impossibile secondo me quantificare con precisione il valore di questo patrimonio per quanto riguarda l’avere. Per il dare è un po’ più facile perché i costi di gestione, mantenimento, restauri e comunicazione di quanto sopra elencato è possibile raccogliendo dati concreti.
Sicuramente i luoghi sacri della cultura italiana sono dei costi. Non tutti i luoghi, mostre d’arte, chiese e siti archeologici producono file di gente disposta a pagare il biglietto per vedere ed ammirare quanto è in esposizione. Ciò accade in genere per opere trasformate in fenomeni di cultura di massa dal mercato dell’arte che produce valori enormi, largamente gonfiando le cifre nei passaggi da un proprietario all’altro. Più è stellare l’ultima cifra di vendita, più si allunga la fila di gente che paga il biglietto, curiosa di vedere il fenomeno, di mercato oltre che di arte.
A proposito dei luoghi sacri della cultura italiana, ricordo un dibattito televisivo di questa mattina. Ho sentito un giovane sindaco del nord affermare, con serena sicurezza, che il danaro di provenienza statale è una droga tossica per l’economia, ed in conseguenza proponeva di trasformare musei, gallerie e zone archeologiche in chiassose Disneyland da divertimento di massa finalizzate alla produzione di utili, per mezzo di hotel, luoghi di accoglienza, ristoranti e simili. Messo a tacere, ma non convinto, dalle parole autorevoli e precise da Philippe Daverio, informatissimo storico e critico dell’arte, comunicatore di straordinaria efficacia.
Vogliamo aumentare il numero dei biglietti d’ingresso venduti in musei e gallerie d’arte? Dobbiamo creare fra i giovani la cultura che genera la curiosità ed il piacere della fruizione del patrimonio artistico.
Qual è il luogo dove si trasmette e si forma la cultura delle nuove generazioni? La scuola. Ebbene, proprio in questi giorni, per la legge Gelmini di intervento nelle scuole statali, le ore di insegnamento di storia dell’arte sono state drasticamente diminuite, o cancellate nei licei.
Come italiana mi vergogno profondamente per questo provvedimento. (Metto in parentesi che per qualificarlo mi viene in mente un aggettivo: asinino). Mi vergogno per un governo che può serenamente cancellare la Storia dell’Arte dalla scuola italiana, una materia formativa che dà una ricchezza personale, non quantificabile in termini di danaro, ma che dura tutta la vita.
E chi reintrodurrà la Storia dell’Arte nei licei? Aspettiamo i miliardi di S&P, Moody’s e Fitch.