“Mio papà faceva la pasta, mio nonno era un mugnaio, ci siamo occupati di farina per tre generazioni.”
Oscar Farinetti comincia a raccontarsi con queste parole e va avanti tra immagini e ricordi. Intorno a lui il presente ed il futuro, la vita di Eataly [3]. I colori, gli odori, i sapori, le umanità di un luogo che è diventato in pochissimo tempo una realtà pulsante. Un'oasi che vive nella New York più frenetica. Che fa fermare a riflettere, assaporare, annusare, conoscere.
“Nasco in mezzo a quaranta sacchi di semola, il mio primo ricordo olfattivo è l’acidità della semola. Lo sai, nella nostra memoria il ricordo più forte è quello che viene dal naso. Noi stessi esseri umani ci amiamo o odiamo per l’odore che sentiamo l’un l’altro. È un profumo straordinario quello del grano duro. Esprime le proteine, il glutine, le ceneri del nostro alimento principe. Noi italiani basiamo la nostra cucina sui carboidrati e quindi sulle semole e le farine, che sono il grano tenero macinato.”
Occhi intesi che scrutano l’interlocutore, parole ferme e libere al tempo stesso. Scorrono da sole, non si può interrompere. E così Oscar Farinetti ricorda come poi, in un certo momento della sua vita, ha dovuto lasciare quell’odore di semola…
“Nel 1978, quindi a 24 anni, comincio a lavorare da mio papà che oltre al pastificio aveva anche una torrefazione di caffè e supermercati. Aprì il primo ipermercato, anche con prodotti non alimentari. Lui odiava questo compartimento e mi disse: tu che hai studiato, occupati di quella roba lì, gli elettrodomestici!
Era un repartino di 5x4 metri con quattro lavatrici, sei frigoriferi una decina di televisori in bianco e nero, delle radio e degli stereo di allora… Avrei preferito occuparmi di cibo, ma accettai. L’indole poetica, che c’era e c’è sempre stata in me, prevale su tutto e mi fa innamorare anche di questi prodotti.”
Grande comunicatore Farinetti. La naturalezza con cui parla stupisce sempre. Incanta. Le sue parole diventano immagini facilmente. Espressioni fonetiche che si poggiano sull’aria che ha intorno e vivono in ogni particolare del luogo che ha creato.
E racconta: “La prima lavatrice, questa scatola bianca magica dove butti roba sporca ed esce pulita, mi è sembrata subito una cosa straordinaria! Immaginate che cosa ho pensato poi di un frigorifero? Questo armadio che conserva cibi e, come per magia, li fa durare più dei tempi naturali.
Osservavo la gente a cui vendevo un impianto stereo o una televisione. Vendevo gioia, qualità della vita. Ho capito subito che i passi da gigante che avrebbe fatto l’elettronica. Erano gli ultimi anni 70. Già allora si poteva intuire che non ci saremmo intorcinati per sempre intorno ad un filo del telefono, che quei Commodore 64 e Amiga sarebbero diventati un computer, un elettrodomestico di casa. Sentii che la tv prima o poi sarebbe stata interattiva e soprattutto compresi la sfera dei bisogni.
Gli elettrodomestici servono a togliere la fatica alla gente e soprattutto alle donne. Ferri da stiro, lavatrici, lavastoviglie, sarebbero diventati sempre più meravigliosi. E così che decisi che da grande avrei fatto quel mestiere lì: l’elettrodomesticaro.”
E l’elettodmesticaro fonda UniEuro [4], Trony [5]:
“La mia mission è diffondere qualità della vita: togliere la fatica, dare gioia. Quel reparto divenne sempre più grande e un giorno convinsi mio padre ad aprire altri negozi solo di elettrodomestici. Man mano il marchio – UniEuro – divenne più importante per gli elettrodomestici che per il cibo.
Nell’89 convinco mio padre a vendere tutte le attività alimentari di famiglia per dedicarmi ad un mestiere unico: l’elettronica da consumo. Tra l’89 e il 2002 riesco a costituire la più grande catena di elettrodomestici bianchi in Italia: UniEuro, poi Trony. Nel 2002 avevo circa 1 mld di euro di giro d’affari, 3000 dipendenti, una quarantina di dirigenti… Insomma andava benissimo.”.
Ma l’amore per il cibo rimane intatto. Anche se per un pò solo nel cassetto.
“Nell’89 mi comprai due aziende agricole, 2 o 3 ristoranti. La ristorazione è sempre stato il mio hobby, ma allora avevo un’altra priorità.”
Saranno i figli a riportarlo di nuovo ad occuparsi di 'farina' a tempo pieno. Inconsciamente o no, Oscar Farinetti aveva seminato qualcosa in famiglia.
“Nel 2002 vennero da me i miei tre figli, all’epoca avevano 22 -18 e 14. Mi dissero che non avevano mai pensato ad altro che lavorare con me. Capii che la loro vita era disegnata. Quel giorno decisi che avrei venduto UniEuro per tornare al mestiere di famiglia.”
Nella decisione di Farinetti la sensibilità di un padre che guarda al di là delle convenienze semplicemente economiche. Sa che deve coinvolgere i figli, farli crescere e partecipare con lui a qualcosa di nuovo.
“In un’azienda così grande, così importante, già fatta, già viva, i miei figli sarebbero sempre rimasti i figli di Oscar. Poi non avrebbero avuto il privilegio di partecipare alle speranze, alle emozioni, alle paure, all’adrenalina della costruzione di un’azienda. Pensate che adrenalina abbiamo avuto qui in quei sessanta giorni che hanno preceduto l’apertura …”
“Così con i miei figli abbiamo costruito questa nuova storia. Insomma abbiamo venduto. Presi un sacco di soldi (perché non mi affeziono alle cose ma mi piace dargli un valore, non certo per il denaro, ma per dimostrare che in quel periodo della vita ho combinato una cosa che è percepita), erano circa 500 milioni di euro.
E sono ripartito allora da zero per costruire Eataly. Era dal 2002 che pensavo a questa roba. Nel 2000 ho disegnato il primo Eataly di Torino che ho poi aperto a Gennaio 2007.”
Tutto questo tempo? Gli chiediamo.
“Ci vuole molto tempo a fare l’analisi. Un progetto si divide in due parti: l’analisi e poi la costruzione vera e propria.
L’analisi è la parte più importante, che non devi mai sbagliare. Se tu sbagli l’analisi parti nella direzione sbagliata e sei fottuto. Se indovini l’analisi e poi sbagli la costruzione non è un problema: torni indietro qualche mese e la rifai.
L’analisi è la visione dello scenario. Si fa così: si analizza uno scenario, un mercato, io ho un mio algoritmo per farlo, e prima o poi trovi una breccia. L’obiettivo è trovare una breccia: un modo di affrontare quel mercato a cui gli altri non hanno pensato. Dev’essere semplice, banale. C’è ancora una marea di cose semplici da inventare.
Non le troviamo perché andiamo su ragionamenti complicati pensando che la complicazione sia più moderna della semplicità. Invece la complicazione è un’arte antica e stupida, mentre l’arte del futuro è la difficoltà di essere semplici. Qui intorno trovate un sacco di cartelli con scritto: it’s difficult to be simple.”
La breccia in questo caso che mancava era un posto informale ma autorevole. “C’erano luoghi formali con prodotti per fighetti del gusto, per appassionati, molto cari, poca descrizione scritta, molta descrizione orale.
C’erano luoghi informali con prodotti mediocri dove la gente si trovava meglio come ambiente ma non trovava i prodotti giusti. Non vi era quest’abbinamento altamente professionale tra ristorazione e vendita”.
E mancava la cultura. Gli suggeriamo...
“Brava, hai centrato: nei luoghi di vendita mancava la didattica. Si è sempre pensato che la scuola è una roba, il mercato un’altra. Questo è sbagliato. Ho capito che se riusciamo a fare studiare il prodotto nel momento dell’acquisto è il massimo della vita. E quindi ho creato un luogo basato sul cibo italiano che integrasse mercato con ristorazione e didattica.”
Nasce così Eataly Torino, con un grande lavoro di costruzione:
“Andiamo a cercare i fornitori i collaboratori ecc. e apriamo il 27 gennaio 2007. Dal primo giorno abbiamo un successo clamoroso, perché questo è un format universale.”
Nel corso dell’intervista tante pillole di saggezza. Eccone un’altra:
“Vedi: noi mercanti soffriamo di una sindrome di mancanza di creatività. Noi subiamo la creatività di chi inventa un prodotto, lo compriamo già fatto, lo mettiamo su uno scaffale e per il solo fatto che lo mettiamo su uno scaffale pensiamo di goderne di un valore aggiunto. Poi subiamo la creatività di chi viene a comprarlo, che esibisce una grande creatività nella scelta. E quindi siamo lì in mezzo.
Molti mercanti si lamentano che non guadagnano, ma in realtà non sfoggiano nessun tipo di creatività, pensano che debbano godere di un valore aggiunto solo per il fatto che sono in mezzo. Li riconosci perché si lamentano sempre dello scenario, è sempre colpa degli altri.
Se la gente non compra e non va nei loro locali è perché è stupida. Loro non sbagliano mai, oppure la colpa è dei fornitori troppo cari o dello Stato che fa pagare troppe tasse. E’ sempre colpa di qualcun altro.
Oggi ci sono due tipi di persone. Quelli che danno sempre la colpa allo scenario, i nuovi falsi ottimisti. Non è mai colpa loro. E quelli pieni di certezze.
La gente non esibisce più dubbi, solo certezze. Ci si fa una piccola idea di una roba, senza informarsi, senza approfondire. Da quel giorno si ha la certezza su quella roba e si va a raccontarla in giro, in giro anche con un senso politico. Quindi a causa di questa troppa presenza di certezze e autostima, gli errori sono sempre di altri e mai di se stessi.”.
E 'ncertezza' è una parola importante per Farinetti.
“Si apre così una breccia enorme per noi umili che amiamo essere pieni di dubbi, di incertezze, che quando una roba non va ci domandiamo sempre dove abbiamo sbagliato, e abbiamo un’autostrada davanti, molto semplice.
Questo è un concetto che ho applicato a tutta la mia vita. Se quando voi scriverete questa intervista direte delle stupidaggini pazzesche, io la prima cosa che mi domanderò è: dove ho sbagliato a comunicare? Non penserò: guarda come hanno capito male le mie parole. No. Penserò dove ho sbagliato io.
Sento sempre all’interno di me il dovere che prevale sul resto. Ma ho negli anni anche imparato a coniugare il dovere con il piacere. E ciò mi aiuta moltissimo.”
“E ti devo rivelare una cosa su questo negozio. Io, ogni volta che apro un negozio, ne ho aperti 106 in 30 anni, ho sempre avuto l’abitudine di dedicarlo ad un valore metafisico. Eataly NY è dedicato alla supremazia del valore del dubbio rispetto a quello delle certezze.
E quindi entri e trovi un cartello con scritto “our policy”. Ho notato che gli americani in questo sono un pò monotoni: prima regola il cliente ha sempre ragione. Ma non è vero.
Ho fatto scrivere: prima regola, il consumatore non ha sempre ragione. Seconda regola: neanche Eataly ha sempre ragione. Terza regola: da questo meraviglioso dubbio nascerè la nostra armonia. Perché l’armonia nasce dai dubbi.
Se entrambi abbiamo dei dubbi tu mi stai ad acoltare e io ti ascolto. E allora il dubbio diventa curiosità, diventa intelligenza, ma soprattutto diventa armonia.
Poi c’e’ un altro cartello con Gio, Lidia, Mario, (Gio e Lida Bastianich, Mario Batali suoi soci americani), io con scritto: grazie per essere entrati. Abbiamo fatto Eataly per voi ma anche per noi. Non siamo così sicuri di aver centrato tutto ,anzi secondo noi ci sono delle robe sbagliate, ma state tranquilli: cambieremo.
E all’uscita c’è un altro cartello: nessuno è perfetto, neanche Eataly. Già chiediamo scusa, prima ancora che aprano i pacchetti. Stiamo dicendo: di sicuro abbiamo fatto qualche errore. Perdonateci. Però diteci dove abbiamo sbagliato. “
Con Eataly dunque è cominciata una storia meravigliosa. Mentre parla sembra di ascoltare quasi il racconto di un cantastorie di altri tempi. Ma siamo nel presente. E che presente.
“E’ stata una valanga straordinaria irrefrenabile. Non ha limiti. E’ un format universale. Il massimo obiettivo per un mercato è riuscire a costruire un format universale. Esempio: Autogrill è la più grande catena del mondo di ristorazione stradale.
Ma quello italiano è diverso da quello americano che è completamente diverso da quello inglese.
Eataly ha questa caratteristica. A Torino è uguale a qui, a Tokio lo stesso, però con questa novità mia che deriva dal fatto che io che amo la letteratura, la poesia, amo i libri diversi l’uno dall’altro e quindi il format tutto uguale poi mi dà fastidio. Su questa base di universalità del format, ho installato accanto un ragionamento metafisico di personalizzare ogni Eataly con qualcosa di speciale.
E quindi succede che quello di Bologna, premiato più bel negozio del mondo da Innovation Retail a Berlino, è in realtà una libreria di 2000 metri quadri con dentro un’Eataly piccola di 600 metri, ma quando sei in quei 600 metri sembra di essere qui.
L’eataly di Roma, che apriremo il 9 dicembre del prossimo anno, sarà unita a un teatro, il teatro Valle.
Eataly di NY è legato al concetto dell’integrazione e alla biodiversità umana e nei cibi. A New York ho creduto di capire, ultimamente, perchè questo popolo è diventato potente nel mondo. Il motivo è semplice: ha accettato l’integrazione. L’integrazione tra i popoli ha creato una potenza bestiale, il contrario di quello che la Lega dice.
Ho capito anche che questa biodiversità umana si è trasferita nei prodotti, ho cominciato a vedere che ci sono gli swiss cards. E mi sono chiesto: ma che sono i cardi svizzeri? O gli spinaci francesi…
Ho capito che in 400 anni di storia i francesi hanno portato qui i loro spinaci, che si sono aggiunti alle varietà locali e così anche per il cardo svizzero. Ho studiato l’ortofrutta americana, ho studiato il pesce del golfo di NY, ho studiato le carni del Montana. Ho studiato la farina straordinaria americana e questo latte incredibile. E ho deciso che l’Eataly di NY sarebbe stato frutto di un’integrazione tra la raw material americana e il savoir faire italiano.”
E torna al pane… al suo pane… sembra quasi chiudersi un circolo magico.
“Pensate al mio pane: è pazzesco, c’è la farina americana di questo fanatico di Slow Food che fa questa farina organica macinata a pietra, molto simile a quella che noi (Eataly) usiamo in Italia. Poi lo sperma, il lievito, è italiano e quindi abbiamo dato questo timbro.
Mi sono portato dall’italia in una borsa in nero - che se mi pigliavano mi mandavano in galera -questa materia viva che è il lievito italiano vecchio di 30 anni. Il forno arriva da Barcello, perchè gli spagnoli sono stati i più bravi a coniugare la cottura a legna con la pulizia e con la semplicità.
E poi il mio chef, il mio capo del pane a Torino che ho fatto venire qua. E’ andato via tre giorni fa, è rumeno. Quindi pensate questa farina americana con il lievito italiano, il forno spagnolo e un uomo rumeno che lo fa.
E’ il massimo, è il pane più buono del mondo. E’ il mondo. E così per la nostra pizza, per il nostro pesce che è qua del golfo, ma cucinato con le nostre olive e capperi. E così per tutto il resto.”
E alla fine ci scappa anche una domanda su Nichi Vendola [6] che nel suo recente brevissimo passaggio a New York non si è fatto mancare una visita ad Eataly.
Il presidente della Regione Puglia [7], entusiasta come un ragazzino, ha voluto fare un tour e Oscar Farinetti lo ha accompagnato da vecchio amico. Descrivendogli ogni angolo del suo paese delle meraviglie (Vedi foto nello slide show).
“Ho un buon rapporto con tutti i politici italiani a prescindere dalla mia origine. Sono figlio di un comandante partigiano e quindi sono orientato a sinistra geneticamente.
Ma ho anche amici di destra e con loro ho un rapporto molto buono. Con Nichi ho in comune l’attitudine a cercare di mettere un pò di poesia in quello che faccio. E’ fondamentale. Se ci riesci crei un magia che piace alle persone”
Salutiamo Oscar Farinetti. Sembra sia più importante vendere valori che prodotti. E’ questo il segreto del suo successo?
“Non riesco a raccontarti una bugia. Non riesco a venderti un pomodoro dicendoti che è un san Marzano e invece è un qualsiasi pomodoro pugliese. Se hai questi valori non puoi raccontare bugie. Il vero marketing che funziona è quello della verità. Nei momenti di crisi soprattutto, il furbettino non ha la meglio. Quando mi chiedono: che idee mi dà per fare un buon mercato? Io rispondo: dì la verità. Dire la verità paga.”
Source URL: http://iitaly.org/magazine/focus-in-italiano/fatti-e-storie/article/pane-tre-generazioni-oscar-farinetti-e-la-poesia
Links
[1] http://iitaly.org/files/eatalyjpg-0
[2] http://www.i-italy.org/node/16265
[3] http://eatalyny.com/#1
[4] http://www.unieuro.it/
[5] http://www.trony.it/
[6] http://www.nichivendola.it/
[7] http://www.regione.puglia.it/