Parliamo con Aurelio De Laurentis con calma. La mattina dopo la grande serata alla Convention della NIAF. A riflettori spenti. L’affollata hall dell’ Hilton di Washington ed una musica soffusa, rigorosamente italiana, fanno da sottofondo alla nostra conversazione.
A caldo le sue impressioni su questa serata italo-americana….
“La grande organizzazione americana è la prima cosa che mi colpisce. Come al solito, quando si muove, si muove alla grande. Tutto è predeterminato e predisposto, siamo come dei soldatini che devono eseguire un percorso. E’ studiato, preciso.
Questo riconoscimento mi riempie di interesse e anche di gioia. Ho visto un grande sentimento di amicizia tra l’Italia e l’America. Oggi sono in gioco eccellenze che uniscono il continente americano e quello europeo.
E l’Italia è privilegiata nel campo della moda, nel campo delle auto, del cibo, dell’arte in Europa. Non credo che ci sia nessuno che riesca a stare dietro al nostro Paese.
Mi spiace che poi in Italia ci perdiamo dietro a dei giochi distruttivi, forse siamo dei malati inguaribili che sul proprio territorio pensano soltanto e come distruggersi attraverso l’invidia. Non capiscono che il germe americano ha dato questa grandissima spinta sulla base del rispetto reciproco. Si premia chi effettivamente spinge l’economia in America, ed esiste il cosiddetto sogno americano. L’ultimo arrivato, da qualunque paese del mondo, non viene osteggiato perché è straniero. Viene aiutato a esprimere la propria personalità e il proprio ingegno. Così si realizza il grande sogno americano.”
E cosa può fare il cinema?
“Deve puntare a un certo punto su due realtà, la massima localizzazione dando un rafforzamento alla lingua italiana e anche alla sua specificità dialettale, ma al tempo stesso produrre dei film che rappresentino l’Italia in lingua Inglese. Attraverso il gusto che comunque non viene nascosto da un fatto linguistico. Quando Milos Forman venne in America e presentò ‘Qualcuno volò sul nido del cuculo’ vinse nove oscar senza tradire l’ identità culturale del paese dove si era formato.”
C’è ancora bisogno di svecchiare l’immagine dell’Italia all’estero?
“Va fatta un’operazione di penetrazione nel mondo dei giovani. Vedo con grande piacere che è diventata un moda studiare l’italiano. Però bisognerebbe fare interventi nelle università americane. Portare Giorgio Armani, Montezemolo, i grandi rappresentanti della musica. Noi italiani spesso pensiamo che la musica nostra sia provinciale, in realtà la musica è musica, è universale non ha la barriera linguistica.”
Qualche dettaglio in più su come pensa di approcciare il mondo universitario…
Credo che si possa organizzare un network distributivo. Ho sempre dato grandissima importanza alla distribuzione del prodotto.
Le università sono dei bacini di utenza che rappresentano la voce del Paese. Soprattutto la novità di un popolo giovanissimo quasi sempre lontano dal condizionamento politico e da qualunque tipo di posizione dominante. Ogni ragazzo porta la propria piccola esperienza. Allora vorrei creare un network di presentazione del cinema Italiano. Vorrei mettere in rete cinquecento università e quando esce un film in Italia trasmettere la stessa conferenza stampa negli atenei americani. Presentare l’autore, quell’attore, quello scrittore, quel regista e poi proiettare il film nelle università, facendo pagare un biglietto unico di dieci dollari. E l’università si trattiene un 50% e l’altro 50% torna ai produttori Italiani.”
Ci sta già lavorando o è solo un’idea?
“Io posso dare l’idea, posso supervisionarla, per me è come un gioco da ragazzi fare qualunque cosa che si attiene alla distribuzione. L’ho visto con il Napoli, nessuna società costruisce e progetta come noi. Abbiamo inventato 452 prodotti, dalle moto, alle biciclette ai giocattoli per i bambini e ce le distribuiamo anche da soli.
Ho diciotto società da portare avanti, ed il calcio mi ha distratto. Credo che la scuola del cinema in un paese come l’Italia sia una grande scuola da far conoscere ancora al mondo. Io sono trentasei anni che resisto, la mia società si chiama “Filmauro” ma non ci avvicino nemmeno l’aggettivo “international” che di solito si mette quando uno vuole fondare una società già fallita. La mia non è mai fallita, rimane lì inossidabile , ho prodotto più di cento film e ne ho visti distribuiti e acquisiti più di quattrocento e ancora andiamo avanti. Non so fino a quando si potrà fare questo lavoro in Italia, un pò mi sono anche annoiato.
Del resto prima del Napoli io stavo lavorando negli Stati Uniti con Gwynet Paltrow, Jude Law e Angelina Jolie, ma il Napoli è come una specie di portaerei. E’ come dieci film insieme allo stesso tempo. E ora mi interessa far esplodere il calcio negli Sati Uniti. Ma mi auguro anche di ritornare anche con la mia grande passione del cinema negli USA”.
E porterà il Napoli negli USA?
Si il prossimo anno il Napoli a New York. Dobbiamo combattere con i calendari che sono talmente pieni che non lasciano spazio. E’ una vecchia idea quella di venire a fare un’apparizione al Giant Stadium…
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